L'attore
statunitense Ethan Hawke è indubbiamente molto noto per la
lunga serie di film e personaggi interpretati, per il suo impegno
come regista ed anche come scrittore (Minimum Fax ha pubblicato
alcuni suoi libri). Per chi ha circa 40 anni il buon Hawke è
stato innanzitutto e forse un po' è ancora, soprattutto, il timido e
represso Todd Anderson de “L'Attimo Fuggente”.
Proprio il
film di Peter Weir, quello del “Carpe Diem”, di “O
Capitano! Mio Capitano”, di Walt Whitman e del fiume Congo che
“scava con la testa”.
Era il 1989
quando il film uscì, pochi mesi prima che l'Occidente si convincesse
di aver vinto e si illudesse di aver fatto sì che la Libertà
prevalesse contro il “Male”. L'Occidente libero e democratico si
apprestava a godersi la caduta del Muro (come se ce ne fosse solo
uno!) e gli adolescenti di buona parte del mondo, persino in
Italia, si entusiasmavano per le vicende di quel gruppo di studenti
negli Stati Uniti degli anni 50. Gli USA ancora per qualche tempo si
sarebbero sentiti innocenti e dalla parte della ragione e del giusto,
prima che si cominciasse ad ucciderne i presidenti e si ponessero le
basi per le battaglie sui diritti civili.
Chi
frequenta la Welton Academy in quel periodo (solo maschi,
ricordate la famosa scena della telefonata da parte di Dio?), per
volere dei genitori entra in una istituzione formativa che prevede e
perpetua una rigida separazione delle classi, con la pretesa, o la
scusa, di preparare la futura classe dirigente. Una istituzione che
prende, forma e restituisce uomini destinati a divenire, nel loro
intimo essere, “carne da macello”.
Contro
questo sembrava stagliarsi la figura del professor John Keating,
un Robin Williams che a fatica teneva a bada la sua natura istrionica
non sempre centrata ed opportuna nei vari film interpretati.
Ebbene io ed
i miei coetanei e compagni di scuola non potemmo non innamorarci di
questo film e dei suoi protagonisti. Cosa c'era di più esaltante di
un professore che ti fa urlare in aula, giocare a pallone durante
l'ora di letteratura declamando versi, ti invita a “sentire” la
poesia, ti sprona a goderti i tuoi giorni “succhiando il midollo
della vita”, sempre senza “strozzarti con l'osso”? Come si
poteva non invidiare gli studenti Todd Anderson, Neil Perry, Knox
Overstreet, Charlie “Nuwanda” Dalton, Steven Meeks, Gerard Pitts
e detestare il traditore Richard Cameron? Un gruppo tanto fortunato
da accogliere gli insegnamenti del professore di lettere Keating e,
abbandonati, strappati i testi classici, si ritrova in una grotta per
leggere poesie, suonare male il sassofono, fumare sigarette e parlare
di sesso, il tutto senza preoccuparsi della morale e del decoro. Si
vedeva, si voleva vedere in ciò più che un richiamo, un vero
impulso, quasi un ancestrale istinto alla libertà da una repressione
sociale ma anche intima, privata, perfino auto-imposta.
Ora, a
distanza di quasi 30 anni, mi viene da pensare che prendemmo una
grossa cantonata. “L'Attimo
Fuggente” ci sembrava un film sulla e
per la libertà, e per tanti anni ancora io stesso mi sono illuso che
avrei potuto “cogliere l'attimo”, persino con i miei tanti ed
enormi limiti. Pensavo che non mi sarei fatto stringere da norme,
consuetudini, tradizioni e cliché, sociali, privati ed emotivi.
Invece, penso ora, quello era un film
sull'illusione. Acutamente e dolorosamente
un'opera sull'illusione della libertà. Dopo
tre decenni di vita e di esperienze, di film e di libri letti, di
studi ed esami, giungo ad affermare che “L'Attimo Fuggente” era
un avvertimento, una predizione. Forse qualcuno dei miei amici e
amori di allora continua a ritenerlo un invito, una spinta per
smuovere gli spettatori, gli adolescenti incerti ed inerti ed
indicare una via. Probabilmente può esserlo, ma la via che viene
proposta è quella del martirio, tanto tragico e doloroso quanto
inevitabile.
I fatti:
Neil Perry mette fine
ai suoi giorni sparandosi in testa con la pistola del padre, che gli
vuole impedire di recitare. Nuwanda
viene espulso per aver picchiato il traditore Cameron,
che invece riceve un encomio poiché si è più o meno
consapevolmente piegato alle volontà e “desiderata”
istituzionali. Gli altri sono costretti
all'abiura nei confronti dell'amato professore, scelto come unico e
solo colpevole della tragedia prima ricordata. Ben
poco è servito che le pagine del manuale di letteratura, scritto da
un immaginario professore emerito di nome Jonathan Evans Pritchard,
siano state strappate via, giacché il tutto si risolve in un gesto
puramente estemporaneo, senza vere, auspicabili conseguenze a lungo
termine.
Martirio
quindi anche del professor Keating, il difensore del pensiero libero,
che viene in un attimo rimosso dall’incarico. Avranno anche
imparato a pensare con la loro testa, alcuni (pochi)
studenti di Welton, ma la Società
è più potente. Sempre sarà più potente. Anche i membri della
setta dei poeti estinti finiranno dietro una teca di vetro,
immortalati in una fotografia polverosa e muta. Anche loro
sussurreranno “carpe diem” ai prossimi iscritti alla Welton, più
giovani ma che ugualmente saranno inquadrati dietro lavori che non
vogliono svolgere e ruoli sociali che gli sono stati calzati addosso
da quando sono nati. E anche loro resteranno in realtà inascoltati.
Con
durezza ed un po' di rammarico scrivo che il bel film che ci ha fatto
sognare di vita, libertà, speranza e amore per noi stessi e gli
altri risulta in realtà un film di sconfitta, di tristezza, di
uomini morti e di repressione. È un
film che dopo aver fieramente sorretto e profuso la speranza, giunge
ad annientarla. La speranza che non può esistere in una società che
si considera già
libera e democratica, e se ne fa vanto in ogni luogo ed in occasione.
Onore.
Disciplina. Tradizione. Eccellenza. Queste le quattro parole che
connotano la Welton Academy. Queste le quattro parole che si fanno
vuote nel momento stesso in cui vengono pronunciate. Onore.
Disciplina. Tradizione. Eccellenza. Eppure molti adolescenti di
quegli anni, ancora senza social network e telefonino, scrivendo sul
diario le frasi del film, i versi di Walt Whitman, nel mio caso anche
indossandoli stampati su una maglietta, si sono a loro volta illusi
di poter essere padroni della propria vita, liberi di fare ed essere
ciò che sentivano dentro di loro, liberi anche di vivere i “vuoti”
della propria anima per prenderne consapevolezza, senza fretta o
imposizioni. Magari liberi ed in grado, se avessero voluto, di
prendere parte a una rivoluzione o a qualcosa di simile, di poter
offrire le proprie energie ed il proprio entusiasmo per far
migliorare tutti quanti, essere veramente liberi e democratici, di
poter essere parte della società in modo paritario, senza venirne
schiacciati.
Ma alla
fine Todd Anderson sale su quel banco, e con lui la macchina da
presa, e con lui tutti gli spettatori, come ultimo commiato. Un
ultimo, disperato e velleitario gesto di ribellione che segna la fine
della setta dei poeti estinti. Li estingue una volta per tutte. Quel
“grazie, ragazzi” è il dolcissimo e perduto saluto di un uomo
sconfitto a una generazione che come lui sarà sconfitta, se non
accetterà i dogmi, le regole e le imposizioni di chi decide, pone e
dispone. Di chi agisce liberandosi e schiacciando i diversi, i non
inquadrati, chi denuncia l'assurdità, l'iniquità e l'ingiustizia di
uno stile e di una visione.
In
un college molto tradizionale nel New England degli anni Cinquanta,
capita un professore simpatico e anticonformista, che esorta i
ragazzi ad affrontare lo studio e la vita seguendo le proprie idee e
non quelle dei nonni. Uno degli studenti, entrato in conflitto con i
genitori, si suiciderà. La responsabilità viene rifilata al prof.
Lui sarà cacciato, ma i suoi allievi non lo dimenticheranno. (da
mymovies.it)
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