Spazi chiusi, individuo, famiglia e
società: le crisi individuali e le relazioni nel cinema di Sidney Lumet.
Sidney Lumet è stato un regista che ha diretto più di 40 film, con uno stile personale che è
stato definito un “non stile”, talmente era difficile da individuare, ma
diretto e facile da sentire. Lui stesso definiva un buon stile non tanto quello
che si vede, ma quello che si percepisce.
Ci
sono elementi comuni nei suoi film, temi e modelli che ritornano in più
opere e che in alcune vengono ripetuti, spesso con originalità di direzione e
capacità di tirare fuori il meglio dagli interpreti (non a caso molti degli
attori da lui diretti hanno ricevuto, a ragione, svariati premi e
riconoscimenti).
Gli spazi chiusi. Sia uno spazio fisico, oppure uno spazio metaforico, o
entrambi nello stesso momento, in alcuni film viene proposta ed accentuata
attraverso studiate soluzioni stilistiche, una prospettiva claustrofobica delle
vicende narrate e degli ambienti in cui si svolgono. È così in “La parola ai giurati” (1957), quasi
interamente girato su un solo set, la stanza in cui si riunisce la giuria, dove
si passa da inquadrature distanti, d’insieme, a primi e primissimi piani ed
inquadrature molto ravvicinate. La stessa cosa accade ne “L’Uomo del banco dei pegni” (1964) ed in “Quel pomeriggio di un giorno
da cani” (1975), dove
pressoché l’intera vicenda si svolge all’interno della banca dove viene tentata
la rapina, o in “Assassinio
sull'Orient Express” (1974), sviluppato in un vagone del
noto treno. Nuovamente Lumet tornerà
in un’aula di tribunale prima con “Il
Verdetto” (1982) e poi con “Prova ad incastrarmi”
(2006). Lo spazio, per l’appunto con una componente claustrofobica, è
metaforico nel non eccelso, ma ben diretto, “Un’estranea fra noi” (1992), dramma poliziesco ambientato in una
comunità ebraica ortodossa chassidica, nel coinvolgente “Vivere in fuga” (1988), dove un’intera famiglia è costretta a
stravolgere periodicamente la propria vita per sfuggire all’arresto, e
nell’eccelso “Quinto Potere” (1976),
in cui vita reale e finzione, televisione e spazi di vita si mescolano.
"La parola ai giurati" |
Crisi dei protagonisti. Il tema del personaggio in crisi è presente in più
opere, particolarmente riuscito è nei film in cui il protagonista acquisisce lo
status di eroe solo nel momento in
cui accetta di fare i conti con questa crisi. Il realismo sociale, che il
regista svilupperà soprattutto nelle pellicole in cui protagonista sarà la
città di New York, è preceduto da
una sorta di realismo morale, dove la distinzione tra bene e male, buoni e
cattivi spesso è labile. Si pensi al giurato Henry Fonda, tanto più umano ed “eroico” in quanto non è totalmente
convinto dell’innocenza dell’imputato ma è comunque deciso a concedergli il
beneficio di un “ragionevole dubbio”, oppure al Rod Steiger de “L’Uomo del
banco dei pegni”, vittima dell’orrore nazista che, incapace di elaborare il
senso di colpa per essere sopravvissuto alla sua famiglia, diventa un carnefice
emozionale, rinchiudendosi tra le sbarre del suo esercizio (altro spazio
chiuso) ed escludendone il mondo esterno. Sarà solo il sacrificio del suo
garzone Jesus, alla fine del film, a rompere la sua corazza, facendogli
scoprire il dolore, e in definitiva costringendolo a fare i conti con se
stesso. Protagonisti in crisi ci sono anche in “Serpico” (1973), “Quinto
Potere” e nell’ultimo film diretto da Lumet, “Onora il padre e la madre” (2007), dove attraverso un uso sapiente
del flashback viene proposta la vicenda di due fratelli, traditi e traditori e
colpevoli di una tragica mediocrità.
Rod Steiger ne "L'Uomo del banco dei pegni" |
Indagine sociale e sulle relazioni
tra i personaggi. “L’Uomo del banco dei pegni” propone una trama
delle relazioni, all’interno di una New York marginale, commentata dalla musica
di Quincy Jones, che si basa su una
struttura di stampo famigliare: Sol Nazerman si configura al contempo come
figura paterna (per Jesus il garzone) e filiale (per l’anziano Mendel), fulcro
dunque di due rapporti ugualmente problematici. Tradito nel primo caso e
traditore nel secondo, anticipa una serie di caratteri che verranno, seppure
calati in contesti diversi e dotati di maschere differenti, in altre opere,
come in “Onora il padre e la madre”. Una situazione non troppo
dissimile è presente in “Serpico”,
in cui, con equilibrio tra analisi sociologica ed azione, la pellicola utilizza
la denuncia del potere istituzionale (la polizia) per ampliare il discorso relazionale: l’integerrimo
protagonista è la cartina di tornasole che mette in rilievo il tradimento
operato da tutte le componenti famigliari, dall’impotenza del “padre” (il capo
della polizia) alla corruzione dei “fratelli” (i colleghi del distretto). Tutti
o quasi gli elementi fin qui citati si trovano riassunti in “Quel pomeriggio di un giorno da cani”. Alienato come e
più di Serpico, e al pari di questo coinvolto in un rapporto/scontro con una
figura autoritario/paterna (il detective Moretti di Charles Durning), Sonny
Wortzik è il personaggio con cui “viene abilmente scavalcata la linea che
separa la farsa dalla tragedia”. Lumet, con “Prova ad
incastarmi”, si spingerà anche oltre, conferendo tratti quasi
da eroe a tutto tondo al personaggio di un mafioso, convinto di incarnare un
modello umano e sociale positivo proprio perché pone al di sopra di tutto il
valore di quella famiglia che, altrove, i personaggi lumetiani tradiscono o
dalla quale vengono traditi (e qui ritorna “Onora il padre e la madre”).
Questi
elementi sono presenti anche in altri film, riusciti come nell’intreccio
propriamente familiare di “Vivere in
fuga”, e meno riusciti come in
“Gloria” (1999) o “Sono affari di famiglia” (1989).
"Onora il Padre e la Madre" |
Rimane
la bravura del regista nella direzione degli attori e nel gestire al meglio
anche qualcosa che, in mani meno abili e guidate da minore lucidità, poteva
risolversi solo in drammi in spazi chiusi. Lumet invece ci ha spesso proposto con
bravura e grande considerazione dello spettatore, la tensione tra protagonista/interno e società/esterno, che riassume e
condensa la sua arte.
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