martedì 4 giugno 2013

I Fantasmi di Henry James



«Henry James amava troppo il mondo che conosciamo per crearne uno che non conosciamo. Non possedeva affatto la fantasia del visionario; la sua vocazione era drammatica, non lirica. […] I fantasmi di Henry James non hanno nulla in comune con i vecchi spettri violenti: i feroci pirati grondanti sangue, i cavalli bianchi, le signore senza testa che vagano per oscuri sentieri e lande battute dal vento. Hanno le loro origini dentro di noi. Sono presenti ogni qual volta l’emozione supera le nostre capacità espressive; ogni qual volta nell’ordinario emerge l’alone dello straordinario». Virginia Woolf, I racconti di fantasmi di Henry James (1921).

I fantasmi che ci propone Henry James si mostrano alla luce del sole, sono fantasmi che camminano senza bisogno di catene o bianche lenzuola, non si servono di effetti speciali, non si presentano attrezzati ed accompagnati da macchie di sangue, grida, rumori sinistri od ultraterreni e altri elementi gotici.
Henry James
Ho letto Il “Giro di Vite” (1898) e “Gli Amici degli Amici” (1896), dove il romanziere attinge dalle tematiche soprannaturali, evidentemente per lui interessanti e stimolanti, e vi aggiunge situazioni nuove, non inventa nuove apparizioni ossessionanti, ma ne sfrutta le potenzialità per un’indagine nell’animo umano e nelle coscienze dei personaggi che presenta. L’autore in queste due brevi opere, e a quanto ho rilevato anche in altre, attraverso la “sua” tecnica di presentare le vicende attraverso il ricordo e la narrazione di uno dei personaggi, ha utilizzato l’ormai un po’ abusato racconto di fantasmi, di presenze inquietanti, di apparizioni inspiegabili per arricchirlo e rendere così qualcosa di nuovo e straordinariamente moderno, per l’epoca in cui le ha scritte.
Ne “Il Giro di Vite” e ne “Gli Amici degli Amici” la cosa che più interessa alle due protagoniste è la percezione, il rilevare i fantasmi (o quel che sono), in entrambe infatti la percezione e la conoscenza si sostituiscono all’oggetto percepito o da percepire. Nella prima opera l’istitutrice è spaventata in minor misura dalla visione di Peter Quint che non dalla possibilità che i ragazzi a lei affidati abbiano anch’essi la stessa visione, mentre la giovane donna in procinto di sposarsi nella seconda storia è scossa e resa inquieta dalla possibilità e poi dalla certezza che il fidanzato, dotato di particolari “capacità”, si intrattenga con il fantasma, o presenza, di una amica deceduta poco tempo prima, e che è stata all’origine di un processo di autocoscienza e presa di contatto con il proprio intimo più vero.
“Come puoi nasconderlo, quando sei perdutamente innamorato di lei, inebriato dalla felicità che lei ti offre – Frenai il suo pronto diniego con un gesto della mano – L’ami come non hai mai amato e, passione per passione, lei te ne restituisce in egual misura! Ti domina, ti tiene stretto, ti possiede! Una donna, in una situazione come la mia, intuisce, sente e vede. Non sono una sciocca, una somara, che deve essere ‘attendibilmente informata’. Tu ti avvicini a me meccanicamente, pieno di scrupoli, con gli avanzi della tua tenerezza e i rimasugli della tua vita. Ma io posso rinunciare a te. Non posso, invece, condividerti. La parte migliore di te appartiene a lei; so quanto vale e ti cedo liberamente a lei per sempre!”.
(Gli Amici degli Amici - trad. Barbara Placido)



Henry James ci presenta i nostri fantasmi e ci mette nelle condizioni di affrontare noi stessi, più che qualcuno che, altro da noi, provenga da un’aldilà o da zone sconosciute, poiché alcune delle vicende narrate non è escluso che accadano solo nella mente dei protagonisti (governante, fidanzato) e non nella realtà (il dubbio rimane). Questo è veramente moderno e non ci meraviglia il fatto che il Cinema se ne sia accorto. Pensiamo anche solo al film “The Others” con una intensa Nicole Kidman.

“La mia implacabile gelosia – era questa la maschera di Medusa. Non era morta con la morte di lei, le era sopravvissuta, plumbea, e si nutriva di indicibili sospetti”.
(Gli Amici degli Amici - trad. Barbara Placido)

«Sarebbe sbagliato sostenere che il fantastico possa esistere solo in una parte dell’opera. Vi sono testi che mantengono l’ambiguità sino alla fine, il che vuol dire anche al di là. Richiuso il libro, rimarrà l’ambiguità. Un esempio degno di rilievo è quello del romanzo di Henry James: Il giro di vite. Il testo non ci consentirà di decidere se dei fantasmi si aggirano nella vecchia proprietà o se si tratta di allucinazioni dell’istitutrice, vittima del clima inquietante che la circonda» Cvetan Todorov, La letteratura fantastica (1970).
The Others di AlejandroAmenabar


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