Viene
legittimamente da chiedersi perché la Marvel Studios, la Walt Disney
Studios Motion Pictures e la Disney Pictures producano e
distribuiscano film sui
con i supereroi. A parte fare soldi a palate ovviamente, anche
grazie al capitolo merchandising.
Dato che non
vi scorgo altri fini o risultati, deduco che se ne freghino altamente
della qualità dei film e della recitazione dei protagonisti, non
siano interessati a presentare storie e sceneggiature, sviluppi delle
trame e tipologie dei personaggi anche solo in parte apprezzabili e
rispettose di uno spettatore che, superati i 13 anni, risulti dotato
di un quoziente intellettivo quantomeno nella media, oltre che di una
capacità critica anche solo poco più che di base.
Prendiamo
“Doctor Strange” del
2016. Neanche uno dei peggiori, anzi si guadagna onestamente la
sufficienza secondo il mio parere. Dalla psichedelia anni 60-70 alla
contemporaneità, il personaggio creato da Stan
Lee e dal disegnatore Steve
Ditko avrebbe parecchio da offrirci, pur
essendo, di fatto, un eroe minore nell'universo fumettistico Marvel.
Una seconda linea potremmo dire, ma nel cinema, nel progetto degli
studi Marvel, persino lo stregone supremo serve. A fare soldi, come
detto, ma anche a “tirare la volata” per gli altri film e
personaggi.
Ne
consegue quindi che il film delude, rivelandosi purtroppo infarcito
di situazioni e accadimenti già visti e con dialoghi già sentiti,
che dopo due ore di visione sinceramente stancano un po'.
L'aver preso una non prima scelta fra i personaggi dei cinecomic
poteva essere motivo di merito, ma l'utilizzo fattone e l'operazione
nel suo complesso diventano elementi di biasimo. Il tutto si riduce,
deve ridursi all'Unum marveliano fatto di infiniti “Avengers” e
svariati “Thor” (che non a caso il nostro
dottore stregone incontra alla fine del film, dopo i titoli di coda!)
per cui non c'è spazio per approfondimenti, variazioni stimolanti,
originali digressioni o anche solo qualche efficace e valida libertà
drammaturgico-narrativa.
Assistiamo
in effetti alla solita
trafila,
fatta da introduzione dello speciale individuo, tragedia/lutto
personale che diviene primo momento chiave, incontro con uomo/donna
del destino (secondo momento chiave),
a cui segue un addestramento (che
sorpresa!!),
faccia a faccia con il villain di turno e finale presa di
consapevolezza del proprio ruolo (con
annessa morte/scomparsa del mentore).
Tutto
ben girato, si intende, con milioni di pixel usati a profusione e con
maestria, in modo che luci, colori, capovolgimenti spaziali e anche
temporali, lotte ed inseguimenti riempiano gli occhi dello
spettatore, il cui cervello rimane in stand by per sperare che non si
riavvii mai, o almeno il più tardi possibile.
Sceneggiatura
e filosofia sono quelle standard della casa di produzione, senza
osare, anzi lo script ha la colpa di non concedere adeguato spazio a
situazioni e personaggi, troppo velocemente presentati e appena
sufficientemente sviluppati, con in più sprecando malamente il
“cattivo” affidato
al di solito capace e apprezzabile Mads
Mikkelsen. Quest'ultimo è uno degli ottimi
nomi scelti per i vari ruoli, a riprova che il casting è stato fatto
molto con la testa rivolta agli incassi e poco con l'obiettivo di
rendere un film "in grande" un grande film. Battute a parte fa gioco
scrivere che non è oro tutto quel che luccica, anche se le
potenzialità narrative e visive ci sarebbero e qualche passaggio
piacevole è presente, ma il gusto che rimane
a visione ultimata è quantomeno amarognolo e lascia un vago senso di
insoddisfazione.
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