Quando
ero adolescente e per diversi anni a seguire il volto di Forest
Whitaker in “Bird”, il film di Clint Eastwood, era quello
di Charlie Parker. Quel collage di scene dalla vita di Parker
mi rimase dentro a lungo, per l'interpretazione del protagonista e
per la musica che lo accompagnava. Un passaggio fondamentale della
non lunga vita e carriera artistica di Charlie Parker avviene alla
fine degli anni quaranta, quando decide di unire il vigore del
bepop alle atmosfere sognanti e romantiche tipiche di un'orchestra.
Ebbe
l'intuizione di far dialogare il suo sax alto con suoni più morbidi
e compositi, operazione di dubbia riuscita e su cui incombevano
critiche e aperte ostilità, persino da parte dei colleghi ed amici.
Ma Charlie Parker, da conoscitore ed amante di Béla Bartók, Arnold
Schoenberg e Igor Stravinsky, nonché dei suoni distintivi della
musica da camera, mostrò la sua arte e la voglia di andare
oltre i confini della musica jazz. Oltrepassò gli allora
angusti spazi definiti per il suo strumento, per la sua musica e ne
reinventò morfologia e sintassi, di fatto rendendo la strada un po'
più aperta e libera per chi venne dopo.
Provate
ad ascoltare Laura per credere.
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