Renoir |
Di lui ricordo la calma ed il sorriso leggero e sempre
presente. Mi piaceva quel suo modo di guardare l’interlocutore e donargli
attenzione e considerazione, senza prendersi troppo sul serio, senza farlo
pesare. Chi parlava con lui si sentiva accolto discretamente e con familiarità,
quasi che tutto potesse essergli riferito, in modo ovvio e naturale, non come
una confessione, ma più come confidenza. Lo si metteva al corrente di cose
personali, anche piccoli segreti, con la certezza che li avrebbe ascoltati,
accarezzati e poi custoditi per farne occasione di semplici, ma allo stesso
tempo profondi, dialoghi. Scambi di battute che sarebbero rimasti nella memoria
e nel cuore di chi lo incontrava e faceva un po’ di strada insieme a lui.
Ma più di tutto mi riempiva le giornate la sua ironia e la
prontezza con cui riusciva a parlare di cose serie, difficili, di piccoli e
grandi drammi. Sempre senza smarrire una dolcezza che comunque si coglieva
dietro le parole e le espressioni, anche buffe, che faceva. Non ti prendeva in
giro, ti abbracciava con tutto sé stesso attraverso le battute e le modulazioni
della voce. Dovevi avere la pazienza di andare oltre quel leggero velo che, in
un primo momento, nelle prime occasioni in cui parlavi con lui, si avvertiva
quasi ad invitarti di andarci piano, di non avere fretta di entrare in
confidenza, di rispettare e dare valore ai tuoi, ai suoi tempi. In seguito
sarebbe stato più semplice, ti saresti affidato a lui, quando ne sentivi il
bisogno, e non avresti mai pensato che fosse lì, di fronte a te, per
infastidirti o renderti la vita più difficile. Gli davo il benvenuto e si
faceva accogliere, perché era lui, per primo, ad accogliere me. Mi faceva
entrare nel suo sentiero e camminavamo insieme, sicuro che non avrei smarrito
la mia strada, ma semplicemente modificata un po’, verso una meta che ancora
non conoscevo, ma che lui, placidamente sornione, sembrava avere già chiara.
Una volta, a pranzo, lei, preoccupata del suo peso,
drammaticamente in conflitto con il suo corpo e perciò concentrata solo sulla
sfida con sé stessa e i pochi chili che le coprivano un animo addolorato e
tormentato, non ne voleva assolutamente sapere di mangiare. Altri, prima di
lui, avevano cercato di convincerla, di farla ragionare, dichiarandosi sinceramente
allarmati dalla sua condizione. Loro insistevano per il suo bene, la
rassicuravano, capivano il suo turbamento, ma lei avrebbe dovuto mangiare,
altrimenti si sarebbe seriamente ammalata.
Prima di quanto programmato lui arrivò e dopo averci salutato tutti e
scambiato una rapida occhiata con ognuno di noi, le si rivolse e sorridendole
augurò buon appetito. Alle lamentele e imprecazioni che la ragazza aveva fino a
quel momento proferito si sostituirono risate e battute dei presenti. Lei,
rimasta in silenzio per alcuni secondi che parvero più lunghi di quanto
fossero, ricominciò a dire che stava ingrassando e che sarebbe diventata ancora
più brutta, anche se solo un chicco di riso fosse entrato nella sua bocca.
“Riso?” esclamò lui, “ma il riso non fa ingrassare, hai mai visto un cinese
grasso? Certo, possono essere brutti,
hai ragione, ma non sono grassi!”. Sconcerto negli occhi degli altri adulti che
avevano ascoltato tali parole. “Per cui – continuò – ora buon appetito e mangia
con calma, per la bruttezza cominceremo ad organizzarci subito dopo pranzo!”.
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