Autore: Sacco
Joe
Traduttore: Daniele
Brolli
Editore: Mondadori
Strade Blu - 2010
Rafah è una città
palestinese nella Striscia di Gaza, posta sul confine con l'Egitto.
Rafah è stata più volte spianata dai
bulldozer ed è considerata un luogo emblematico del conflitto che vede
protagonista lo stato di Israele
contrapposto, dal 1948, ai suoi vicini “arabi”. Sepolti negli archivi,
giacciono i ricordi di un sanguinoso incidente che ebbe luogo nel 1956, in
occasione del quale soldati israeliani uccisero 111 palestinesi. Joe Sacco in quest’opera grafica si
impegna nello sforzo di ricostruire quanto accadde quel giorno a Rafah,
cercando di rivelare i suoi aspetti drammatici e l’oggettiva impossibilità di
pervenire ad una verità condivisa su questo conflitto pluridecennale: nello
specifico, quanto avvenne in quel luogo si trattò di un massacro a sangue
freddo o di uno spaventoso errore?
Joe Sacco in quest’opera grafica, ci illustra
di fatto, cinquant'anni di storia, morte, bugie, violenza: questo
reportage-inchiesta mostra il susseguirsi serrato di guerre, fa ascoltare le
voci di profughi, sopravvissuti, vedove e capi religiosi, facendo toccare con
mano il cuore pulsante di una tragedia, ancora tremendamente, nervosamente,
attuale
Sono
essenzialmente due le riflessioni che mi sono nate dalla lettura di quest’opera,
per la prima prendo a prestito le parole di Harry Truman: "Io ho molta paura che
gli ebrei siano come tutti i diseredati. Quando saranno in cima saranno
intolleranti e crudeli come la gente è stata con loro, quando loro erano sotto".
Quanto alla seconda il mio
pensiero va, d’istinto, al film Rashomon
di Kurosawa, poiché l’autore di Gaza 1956 riesce, non so quanto
volontariamente, a presentarci una efficace dimostrazione sulla relatività e
sulle mille sfaccettature della verità. Inoltre leggere e vedere come i vari
testimoni e narratori dei fatti in oggetto, per diretta o indiretta esperienza,
si contraddicano a vicenda, inventino e rielaborino dati e vicende, con
esagerazioni, con aggiunte ed omissioni, a volte colpevoli, simultaneamente mi
ha provocato fastidio, fatto nascere una certa repulsione per determinati usi e
costumi e reso maggiormente consapevole come non ci possa essere una verità,
una condivisione reale, alla base di qualsiasi accordo o trattato che coinvolga
quei popoli e quelle zone. Non esprimo valutazioni sullo
stile di Sacco, riconoscibile dal
tratto quasi fotografico ed efficace anche quando si prende la libertà di scomporre
vignette e didascalie.
Un’ultima annotazione riguardo a
chi, mostrando superficialità e poca onestà culturale, “sponsorizza” questo
lavoro di Sacco per sostenere la
Palestina, i Palestinesi e la loro “causa”: attenzione, nessuna delle due parti
in conflitto ne esce bene dalle pagine di Gaza
1956, anzi forse sono proprio i Palestinesi stessi a rischiare di uscirne
peggio, soprattutto se si applicasse alla lettura un certo schematismo, quando
non pigrizia e faciloneria, che spesso è l’anticamera della faziosità più
urticante.
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