I cinque film western che mi piacciono di più.
Non sono i più belli che ho visto,
tantomeno i 5 migliori mai girati, in entrambi i casi probabilmente John Ford occuperebbe gran parte delle
posizioni, bensì quelli che ricordo meglio, che si sono guadagnati uno spazio
privilegiato nel mio immaginario, nel mio cuore e che ancora non mi sono
stancato di vedere, anche solo per qualche scena.
Li presento in ordine sparso,
senza un tentativo di classifica, che magari proverò a fare in un’altra
occasione (con meno “chiacchiere”). Allora via!!
Soldati a
cavallo di John Ford (1959).
Il duetto formidabile dei due attori principali (John Wayne/William Holden), qui in
gran forma, esalta il lavoro sui caratteri dei personaggi, con ritmo, ironia ed
azione. Il racconto è coinvolgente ed appassiona per l’umanità rappresentata e
la capacità di direzione del regista, che manda un chiaro messaggio agli
spettatori: la stupidità della guerra, in particolare di quella di secessione
americana che costò alle due parti in lotta un altissimo numero di morti. La
guerra, anche condotta con il rispetto per il nemico, è sempre senza senso,
questo simboleggia il personaggio interpretato da William Holden, il
medico del film antagonista di John Wayne che invece, fedele al suo
personaggio dell'uomo rude ma ligio ai suoi doveri, assolve l'assurdo compito
che gli è stato affidato: lui progettista di ferrovie, deve distruggerle.
John Wayne |
Le battute di John Wayne e le scene da
ricordare non si contano. Uomini rudi ma giusti nel selvaggio west, paesaggi che fanno
da sfondo alla storia narrata, la scazzottata risolutiva tra il
colonnello e il maggiore medico, i soldati amanti del whiskey,
le sparatorie, ma soprattutto quella in cui i ragazzi
dell'accademia militare, in nome del loro patriottismo
sudista, vanno all'assalto, schierati al suono dei loro tamburini. In questa si
vedono i soldati nordisti che, nell'ideale ottimistica visione del regista, le
cui simpatie sembra siano proprio per il Sud, si limitano ad evitare lo scontro
o a risolverlo con qualche sculacciata.
William Holden |
I
magnifici sette di John Sturges (1960).
Yul Brinner e Steve McQueen |
Ampiamente debitore dell’opera di Kurosawa (i Sette Samurai), il film
propone, in modo chiaro e coinvolgente, riconoscibile e non banale, i temi
dell’onore, dell’amicizia virile e del rifiuto di fronte all’ingiustizia.
Stupende interpretazioni di un cast di celebrità. Un superbo Yul Brynner. Il simpatico e ben calato
nella parte Steve McQueen che
propone, nella sua prima grande interpretazione, la sua “faccia da schiaffi”
preparandosi a “La Grande Fuga” (1963).
Un ruvido ma accattivante Charles
Bronson e gli altri “magnifici” non sono da meno, e come ogni grande film
deve avere un grande “cattivo”, il Calvera di Eli Wallach è da custodire per capacità recitative e sapienza
registica, poiché Sturges lo utilizza in modo ragionato ed efficace.
Sentieri
Selvaggi di John Ford (1956).
John Wayne
in ruolo memorabile, probabilmente tra le sue migliori interpretazioni. Il suo
personaggio, il difficilmente comprensibile e controverso Ethan Edwards, ci
propone una grande complessità psicologica, in cui onore, affetto, senso della
giustizia, dolore, odio e ostilità molto vicina a vero e proprio razzismo si
compenetrano e ci donano un grande ritratto umano e di sentimenti. Da
sottolineare la sapienza registica di John
Ford, con la scelta di dilatare al massimo possibile gli avvenimenti e gli
“indizi” narrativi e di sceneggiatura, disseminati in 2 ore di magnifico cinema
e la sua visione su temi quali la guerra, il rispetto, l’onore,
l’incontro/contrasto con il diverso, con i relativi conflitti interiori e tra i
personaggi che ne vengono generati. Il paesaggio umano e mentale e lo stile
fordiano sono qui ai suoi livelli più alti, con dramma, ironia e
spettacolarità che non si sovrappongono, ma viaggiano conformi nel tormento
descrittivo di un racconto e di uomini e donne molto reali e lontani da
stereotipi e oleografie di comodo. Da rivedere più volte per cogliere e godere
di temi, scelte di stile, narrazione coinvolgente, sfumature psicologiche e
narrative. Per emozionarsi di una vicenda che, anche figurativamente, ha
carattere circolare (la porta del ranch all’inizio del film si apre e John Wayne/Ethan
Edwards arriva accolto dai suoi cari; la stessa porta alla fine di questa
memorabile pellicola si chiude con lo stesso uomo che si allontana, solo).
Balla coi
lupi di Kevin Costner (1990).
Riesce a non essere retorico, nonostante il
grande rischio. Questo film possiede un immenso fascino visivo che sa ben
sprigionare attraverso grandiose sequenze. La fotografia è straordinaria
ed il montaggio, sapiente ed equilibrato, ci permette di gustarci 3 ore (4 nel
director’s cut) di un’opera che merita un posto nel Cinema. Si superano i
generi per temi trasversali, comunque socialmente e storicamente connotati. Contesto
storico e sociale ben ricostruiti, personaggi molto veri e probabilmente
aderenti alla realtà. Fedeltà e rigore che generano calore ed evitano eccessi e
solipsismi visti altrove. Interpreti molto bravi e Kevin Costner che si fa ricordare per qualcosa di veramente valido.
Per
qualche dollaro in più di Sergio Leone (1966).
"Il Monco"/ "Ragazzo"/Clint Eastwood |
Memorabile galleria di personaggi, molti di
questi alle prese con tremende memorie del loro passato: dai due bounty-killers
al bandito drogato, dal gobbo magistralmente interpretato da Klaus Kinski al vecchietto della
ferrovia. Tutto è dominato dalla percezione della morte e dall'inarrestabile
brama di vendetta, pronunciata distintamente dal suono di un carillon intriso
di ricordi incancellabili. Convincenti Clint
Eastwood (Il Monco) e Lee Van Cleef
(Colonnello Douglas Mortimer). Terribile nella sua follia intrisa di
obnubilescenza e lucidità, a volte sovrapponibili, Gian Maria Volontè (El Indio). Un copione quasi shakesperiano per attori molto diversi tra
loro, che lo stile di Leone riesce ad unire in un’opera che non lascia tregua,
dove risulta riconoscibile la mano del regista che ci presenta un film dall’andatura
epica, sia nella sceneggiatura che nelle inquadrature, che risultano quasi
più importanti di tutto il resto. Secondo capitolo della Trilogia del
Dollaro, probabilmente il più equilibrato e quello maggiormente appagante.
"Il Colonnello"/ "Vecchio"/Lee Van Cleef |
"El Indio"/Gian Maria Volontè |
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