mercoledì 19 dicembre 2012

I Cinque Western che preferisco



I cinque film western che mi piacciono di più

Non sono i più belli che ho visto, tantomeno i 5 migliori mai girati, in entrambi i casi probabilmente John Ford occuperebbe gran parte delle posizioni, bensì quelli che ricordo meglio, che si sono guadagnati uno spazio privilegiato nel mio immaginario, nel mio cuore e che ancora non mi sono stancato di vedere, anche solo per qualche scena.

Li presento in ordine sparso, senza un tentativo di classifica, che magari proverò a fare in un’altra occasione (con meno “chiacchiere”). Allora via!!

Soldati a cavallo di John Ford (1959).
Il duetto formidabile dei due attori principali (John Wayne/William Holden), qui in gran forma, esalta il lavoro sui caratteri dei personaggi, con ritmo, ironia ed azione. Il racconto è coinvolgente ed appassiona per l’umanità rappresentata e la capacità di direzione del regista, che manda un chiaro messaggio agli spettatori: la stupidità della guerra, in particolare di quella di secessione americana che costò alle due parti in lotta un altissimo numero di morti. La guerra, anche condotta con il rispetto per il nemico, è sempre senza senso, questo simboleggia il personaggio interpretato da William Holden, il medico del film antagonista di John Wayne che invece, fedele al suo personaggio dell'uomo rude ma ligio ai suoi doveri, assolve l'assurdo compito che gli è stato affidato: lui progettista di ferrovie, deve distruggerle.

John Wayne
Le battute di John Wayne e le scene da ricordare non si contano. Uomini rudi ma giusti nel selvaggio west, paesaggi che fanno da sfondo alla storia narrata, la scazzottata risolutiva tra il colonnello e il maggiore medico, i soldati amanti del whiskey, le sparatorie, ma soprattutto quella in cui i ragazzi dell'accademia militare, in nome del loro patriottismo sudista, vanno all'assalto, schierati al suono dei loro tamburini. In questa si vedono i soldati nordisti che, nell'ideale ottimistica visione del regista, le cui simpatie sembra siano proprio per il Sud, si limitano ad evitare lo scontro o a risolverlo con qualche sculacciata.
William Holden











I magnifici sette di John Sturges (1960).
Yul Brinner e Steve McQueen
Ampiamente debitore dell’opera di Kurosawa (i Sette Samurai), il film propone, in modo chiaro e coinvolgente, riconoscibile e non banale, i temi dell’onore, dell’amicizia virile e del rifiuto di fronte all’ingiustizia. Stupende interpretazioni di un cast di celebrità. Un superbo Yul Brynner. Il simpatico e ben calato nella parte Steve McQueen che propone, nella sua prima grande interpretazione, la sua “faccia da schiaffi” preparandosi a “La Grande Fuga” (1963). Un ruvido ma accattivante Charles Bronson e gli altri “magnifici” non sono da meno, e come ogni grande film deve avere un grande “cattivo”, il Calvera di Eli Wallach è da custodire per capacità recitative e sapienza registica, poiché Sturges lo utilizza in modo ragionato ed efficace.

Sentieri Selvaggi di John Ford (1956).
John Wayne in ruolo memorabile, probabilmente tra le sue migliori interpretazioni. Il suo personaggio, il difficilmente comprensibile e controverso Ethan Edwards, ci propone una grande complessità psicologica, in cui onore, affetto, senso della giustizia, dolore, odio e ostilità molto vicina a vero e proprio razzismo si compenetrano e ci donano un grande ritratto umano e di sentimenti. Da sottolineare la sapienza registica di John Ford, con la scelta di dilatare al massimo possibile gli avvenimenti e gli “indizi” narrativi e di sceneggiatura, disseminati in 2 ore di magnifico cinema e la sua visione su temi quali la guerra, il rispetto, l’onore, l’incontro/contrasto con il diverso, con i relativi conflitti interiori e tra i personaggi che ne vengono generati. Il paesaggio umano e mentale e lo stile fordiano sono qui ai suoi livelli più alti, con dramma, ironia e spettacolarità che non si sovrappongono, ma viaggiano conformi nel tormento descrittivo di un racconto e di uomini e donne molto reali e lontani da stereotipi e oleografie di comodo. Da rivedere più volte per cogliere e godere di temi, scelte di stile, narrazione coinvolgente, sfumature psicologiche e narrative. Per emozionarsi di una vicenda che, anche figurativamente, ha carattere circolare (la porta del ranch all’inizio del film si apre e John Wayne/Ethan Edwards arriva accolto dai suoi cari; la stessa porta alla fine di questa memorabile pellicola si chiude con lo stesso uomo che si allontana, solo).















Balla coi lupi di Kevin Costner (1990).
Riesce a non essere retorico, nonostante il grande rischio. Questo film possiede un immenso fascino visivo che sa ben sprigionare attraverso grandiose sequenze. La fotografia è straordinaria ed il montaggio, sapiente ed equilibrato, ci permette di gustarci 3 ore (4 nel director’s cut) di un’opera che merita un posto nel Cinema. Si superano i generi per temi trasversali, comunque socialmente e storicamente connotati. Contesto storico e sociale ben ricostruiti, personaggi molto veri e probabilmente aderenti alla realtà. Fedeltà e rigore che generano calore ed evitano eccessi e solipsismi visti altrove. Interpreti molto bravi e Kevin Costner che si fa ricordare per qualcosa di veramente valido.

Per qualche dollaro in più di Sergio Leone (1966).
"Il Monco"/ "Ragazzo"/Clint Eastwood
Memorabile galleria di personaggi, molti di questi alle prese con tremende memorie del loro passato: dai due bounty-killers al bandito drogato, dal gobbo magistralmente interpretato da Klaus Kinski al vecchietto della ferrovia. Tutto è dominato dalla percezione della morte e dall'inarrestabile brama di vendetta, pronunciata distintamente dal suono di un carillon intriso di ricordi incancellabili. Convincenti Clint Eastwood (Il Monco) e Lee Van Cleef (Colonnello Douglas Mortimer). Terribile nella sua follia intrisa di obnubilescenza e lucidità, a volte sovrapponibili, Gian Maria Volontè (El Indio). Un copione quasi shakesperiano per attori molto diversi tra loro, che lo stile di Leone riesce ad unire in un’opera che non lascia tregua, dove risulta riconoscibile la mano del regista che ci presenta un film dall’andatura epica, sia nella sceneggiatura che nelle inquadrature, che risultano quasi più importanti di tutto il resto. Secondo capitolo della Trilogia del Dollaro, probabilmente il più equilibrato e quello maggiormente appagante.
"Il Colonnello"/ "Vecchio"/Lee Van Cleef
"El Indio"/Gian Maria Volontè
















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