“Come tutti gli altri
funzionari dello Stato di grado elevato, il capodivisione non teneva i signori
ministri in particolare considerazione. Questi ultimi cambiavano di continuo,
infatti, in base ai giochi di forza politici, mentre lui no, lui e i suoi colleghi
restavano al loro posto. I ministri, portati alle stelle dai partiti per poi
essere spazzati via questi stessi partiti, somigliavano perlopiù a poveri
naufraghi aggrappati disperatamente alle zattere del potere. Non avevano né la
giusta visione per comprendere i labirintici iter del lavoro ministeriale né la
giusta sensibilità per le sacre regole della burocrazia fine a se stessa. Nella
stragrande maggioranza dei casi, erano uomini rozzi e mediocri che non sapevano
far altro che sforzare la loro voce sguaiata per parlare in riunioni di piazza
o bussare con fastidiosa insistenza alle porte di servizio degli uffici
ministeriali per raccomandare i loro compagni di partito o le loro famiglie.
Leonida e quelli come lui avevano invece imparato l’arte del governo né più e
né meno come i musicisti imparano il
contrappunto esercitandosi per anni con scrupolo indefesso. Possedevano una
squisita e raffinata sensibilità per le mille sfumature dell’organizzazione e
della decisione. I ministri non erano altro (ai loro occhi) che fantocci
politici, anche se, obbedendo allo stile dell’epoca, assumevano atteggiamenti
quanto mai dittatoriali. Loro comunque, i capidivisione intendo, proiettavano
la loro ombra di stabilità su questi tiranni. Quale che fosse la risciacquatura
politica degli uffici che dirigevano, non veniva mai meno la sicura efficacia
del loro comando. Di loro c’era bisogno, questo era il fatto. Alteri ed
arroganti come mandarini, era abitudine dei funzionari starsene modestamente in
disparte. Disprezzavano le esibizioni, i giornali, la pubblicità personale dei
politici, da essi ritenuti eroi di una sola stagione.”
“Una scrittura femminile azzurro pallido, di Franz
Werfel – trad. Renata Colorni”
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