giovedì 30 aprile 2020

Porco Rosso, molto più che "carino"


Da qualche settimana pressoché tutti i titoli dello Studio Ghibli sono a disposizione su Netflix.
Questo ha permesso anche a chi non aveva mai visto alcune produzioni su DVD oppure al cinema di poter godere di meravigliosi film ed emozionanti storie. Qualcuno anche solo per semplice curiosità si è avvicinato a questi, magari sperando di comprendere le ragioni di tanto successo e di tante lodi. Tempo fa avevo parlato de “Il mio vicino Totoro”, anche con l'idea di poter aiutare chi ancora conservava una certa freddezza nei confronti di quello che non è difficile definire un titolo “fondamentale” del Cinema d'Animazione (se non del Cinema tout court).

Ora, prendendo a pretesto le parole rivoltemi settimane fa, da chi lo definiva “abbastanza carino” e sosteneva “pensavo di meglio”, riporto le mie considerazioni su “Porco Rosso”.
Vado dritto al punto: “Porco Rosso” è splendido!
Tra le innumerevoli motivazioni che posso portare a sostegno di questa mia esclamazione, ne scelgo tre: La Scrittura, Il Messaggio, L'Omaggio all'Italia.

La Scrittura
Favola per adulti con un certo gusto rétro, con tratti nostalgici per qualcosa che forse si è perso per sempre, il film poggia e si sviluppa su una scrittura solida ed immediatamente affascinante. Come in molte altre pellicole firmate da Miyazaki, la trama è semplice e lineare ma ben strutturata ed avvincente, in fondo elementare, ma in cui non mancano azione, avventura, ironia e magia. Un susseguirsi avvincente ed emozionante di duelli, inseguimenti e scazzottate, a cui si aggiunge il romanticismo che pervade l'intero film. Romanticismo nel senso più letterale, ovvero unione fra mente umana e mondo fisico, base per un fenomenale processo creativo. Inoltre il protagonista, Marco Pagot, è senza dubbio un chiaro esempio di eroe romantico, connotato da audacia e coraggio, così come da intuito ed istinto, ma anche solitario e vittima di se stesso, del proprio esilio volontario e del non riuscire a conseguire pienamente i propri obiettivi.
È qui che la scrittura, nella stesura del personaggio, raggiunge alti livelli in campo cinematografico. Marco, l'aviatore, è vittima di un sortilegio, una maledizione che gli ha fatto assumere le sembianze di un maiale. Non sappiamo quando è accaduto, né perché e chi ne sia l'autore, ma lo spettatore lo incontra a cose fatte, senza bisogno di “spiegoni” o flashback di sorta. È un gran bel personaggio, che rimanda a quei capolavori hollywoodiani di tanti anni fa. Un Humphrey Bogart in impermeabile e con la faccia triste, un John Wayne pronto a fare a pugni “alla vecchia maniera”, che lo spettatore prende subito in simpatia, facendosene conquistare dopo pochi fotogrammi. Un solitario che colpisce e lascia il segno, senza tante parole (solo quelle giuste al momento giusto) e con i fatti, di quelli che devono il loro fascino come anche la loro credibilità narrativa al fatto di non esplicitare la spiegazione causale che li muove e che aziona l’intreccio. Un protagonista shakespeariano, dal momento che dalle opere de “il Bardo di Avon” la sceneggiatura prende la scelta di portarci il suo carattere così com'è, senza che nel plot narrativo vi sia necessariamente un elemento esplicativo chiave. Chi ha scritto il film ha volutamente occultato il principio logico od etico, la motivazione che segna il via e spiega il dipanarsi dell’azione. Shakespeare adottava quello che allora era un nuovo principio (tuttora efficacissimo), che consisteva non tanto nella costruzione di un mistero da svelare, ma nella creazione di un’opacità strategica, una indeterminatezza da accogliere e che fungeva da base per la storia ed i protagonisti.
Porco Rosso funziona soprattutto grazie a questo: sappiamo che è uno dei buoni della storia, ma non sappiamo esattamente cosa lo muova, cosa lo avvicini e allontani da Gina che di lui è innamorata; sappiamo che è antifascista, ma non vi è alcuna teorizzazione del perché lo sia, è antifascista e basta, forse per istinto, come John Belushi in The Blues Brothers diceva I li odio i nazisti dell’Illinois”, così Porco Rosso, lapidariamente afferma “Piuttosto che diventare un fascista meglio essere un maiale”; intuiamo che ha un passato doloroso e terribile, ma non ci sono passaggi leziosi ad appesantire il ritmo e la narrazione, lo prendiamo così come ci viene proposto e nella sua opacità, senza bisogno di spiegazioni o integrazioni.

Il Messaggio
Al di là della simbologia legata al maiale, che presenta diverse chiavi di lettura, ovvero la degradazione dell'uomo a contatto con gli orrori della guerra, oppure la vergogna di Marco per essere l'unico sopravvissuto alla battaglia aerea in cui sono morti tutti i suoi compagni, o ancora un tipico insulto da parte dei fascisti, rimane evidente come “Porco Rosso” sia il film più politico di Miyazaki.
In altre opere c'è il chiaro messaggio ecologista, il pacifismo, la condanna della guerra e delle armi, l'avvicinarsi a tematiche emancipatorie quando non propriamente femministe, ma solo in questo film (finora) ritroviamo una evidente posizione politica. Una presa di posizione nei confronti di un regime, quello fascista italiano, sostenuta anche dalla descrizione accurata di alcune delle conseguenze sociali della politica adottata durante quel cupo e tragico ventennio. Qualcosa di simile ad una denuncia, che però non diviene mera e contrapposta ideologia, in quanto non viene apparentemente formulato un modello alternativo all'oggetto della critica. Sembrerebbe che l'avversione del protagonista (alter ego del regista?) nei confronti del fascismo sia legata alla sua idea di libertà, alla sua voglia di volare, senza alcun vincolo e senza dover sottostare agli obblighi di un regime che vorrebbe uniformarlo alla massa. Una posizione anarcoide, che risponde non a dettami o regole imposte, ma che rende conto solo alla propria etica ed al proprio senso morale, quasi una legge interiore che rispetti il proprio e l'altrui. Un messaggio ed una visione generale che impregni il proprio essere ed i conseguenti comportamenti e scelte, che sembra concretizzarsi nel finale dell'opera, che non racconta in maniera esplicita il destino di Marco Pagot dopo gli eventi narrati, ma che lascia presupporre che il protagonista abbia fatto perdere le proprie tracce per seguire una visione, una condizione, di libertà e di autonomia.

L'Omaggio all'Italia
Il film è probabilmente uno degli omaggi più sentiti e più belli dell'animazione giapponese alla storia e alle bellezze del nostro Paese. Un amore che traspare in ogni inquadratura, in ogni singolo fotogramma e in ogni dettaglio di “Porco Rosso”, e che dovrebbe renderci fieri di ciò, o quantomeno grati di tanto amore e attenzione.
L'ambientazione è l'Italia degli anni '20, in pieno periodo fascista, fra l'Istria e Milano. Il rifugio del protagonista è un isolotto sperduto nel Mar Adriatico vicino alla costa croata, uno scenario che si può desumere abbastanza facilmente dalla narrazione stessa e da una cartina, impugnata ad un certo punto da Marco Pagot, dove figurano nomi di isole e città della zona realmente esistenti. Una location ricorrente del film è l'Hotel Adriano. Nonostante l'assenza di riferimenti espliciti, è possibile riconoscere l'Isolino di San Giovanni nel Lago Maggiore come fonte di ispirazione primaria per questa ambientazione. Per quanto riguarda gli scenari milanesi, la fanno da padrone i Navigli, presenti nel film, visti come ampi canali dove gli idrovolanti potevano planare e decollare a piacimento. Poco importa se questo non era e non è tuttora possibile, tutto rientra nell'omaggio a cui si faceva riferimento, per cui “l'idealizzazione” del contesto rientra nel risultato. Inoltre l'ulteriore omaggio di Miyazaki alla nostra Italia si può notare anche nella rappresentazione accuratissima e dettagliata di tutti gli aerei presenti nel film, molti dei quali corrispondenti a modelli realmente esistiti. Infine il nome del protagonista, Marco Pagot, è un altro chiaro omaggio del regista ai fratelli Nino e Toni Pagot, famosi fumettisti e animatori italiani, creatori del personaggio di Calimero, che collaborarono con Miyazaki stesso alla creazione della serie animata Il Fiuto di Sherlock Holmes (trasmessa con poca fortuna dalla Rai più di 30 anni fa).



1 commento:

  1. Grazie per questo bellissimo post. Quando ho visto Porco Rosso per la prima volta, sono rimasta allibita al pensare alla scarsissima distribuzione che aveva avuto nel nostro paese, che è così evidentemente amato nella pellicola. Varie ragioni, come ben sappiamo. Hai tratteggiato splendidamente molti elementi che costruiscono sapientemente il fascino dell'opera. E, grazie alla citazione finale, vorrei suggerirti un post sul Moriarty della serie animata su Sherlock Holmes che io, come pochi altri, ho seguito e adorato! Ancora oggi, pure di fronte a Cumberbatch e RDJ, mi sale spontaneo il pensiero 'ma perché non è un cane?!'.

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