Testo della Corte
d’appello di Palermo, ultime pagine della sentenza:
“In definitiva, la Corte
ritiene che sia ravvisabile il reato di partecipazione alla associazione per
delinquere nella condotta di un eminentissimo personaggio politico nazionale,
di spiccatissima influenza nella politica generale del Paese ed estraneo all’ambiente
siciliano, il quale, nell’arco di un congruo lasso di tempo, anche al di fuori
di una esplicitata negoziazione di appoggi elettorali in cambio di propri
interventi in favore di una organizzazione mafiosa di rilevantissimo
radicamento territoriale nell’Isola: a) chieda ed ottenga, per conto di suoi
sodali, ad esponenti di spicco della associazione interventi para-legali,
ancorché per finalità non riprovevoli; b) incontri ripetutamente esponenti di vertice
della stessa associazione; c) intrattenga con gli stessi relazioni amichevoli, rafforzandone
la influenza anche rispetto ad altre componenti dello stesso sodalizio tagliate
fuori da tali rapporti; d) appalesi autentico interessamento in relazione a
vicende particolarmente delicate per la vita del sodalizio mafioso; e) indichi
ai mafiosi, in relazione a tali vicende, le strade da seguire e discuta con i
medesimi anche di fatti criminali gravissimi da loro perpetrati in connessione
con le medesime vicende, senza destare in essi la preoccupazione di venire
denunciati; f) ometta di denunciare elementi utili a far luce su fatti di
particolarissima gravità, di cui sia venuto a conoscenza in dipendenza di
diretti contatti con i mafiosi; g) dia, in buona sostanza, a detti esponenti
mafiosi segni autentici – e non meramente fittizi – di amichevole
disponibilità, idonei, anche al di fuori della messa in atto di specifici ed
effettivi interventi agevolativi, a contribuire al rafforzamento della organizzazione
criminale, inducendo negli affiliati, anche per la sua autorevolezza politica, il
sentimento di essere protetti al più alto livello del potere legale. Alla
stregua dell’esposto convincimento, si deve concludere che ricorrono le
condizioni per ribaltare, sia pure nei limiti del periodo in considerazione, il
giudizio negativo espresso dal Tribunale in ordine alla sussistenza del reato e
che, conseguentemente, siano nel merito fondate le censure dei PM appellanti. Non
resta, allora, che confermare, anche sotto il profilo considerato, il già
precisato orientamento ed emettere, pertanto, la statuizione di non luogo a
procedere per essere il reato concretamente ravvisabile a carico del sen.
Andreotti estinto per prescrizione.
<<<<<<<<<<<<<<<<<<>>>>>>>>>>>>>>>>>>
PER QUESTI MOTIVI
La Corte, visti gli artt.
416, 416bis, 157 e ss., c.p.; 531 e 605 c.p.p.; in parziale riforma della
sentenza resa il 23 ottobre 1999 dal Tribunale di Palermo nei confronti di
Andreotti Giulio ed appellata dal Procuratore della Repubblica e dal
Procuratore Generale, dichiara non doversi procedere nei confronti dello stesso
Andreotti in ordine al reato di associazione per delinquere a lui ascritto al
capo A) della rubrica, commesso fino alla primavera del 1980, per essere Io
stesso reato estinto per prescrizione; conferma, nel resto, la appellata sentenza.
Visto l’art. 544, comma 3,
c.p.p.; indica in giorni novanta il termine entro il quale verranno depositate
le motivazioni della sentenza.
Palermo, lì 2 maggio 2003.
IL CONSIGLIERE est. IL
PRESIDENTE
(Dr.
Mario Fontana) (Dr. Salvatore Scaduti
Nessun commento:
Posta un commento