Departures: smarrirsi e poi ritrovarsi tra la morte e la vita.
Ieri sera, casualmente e grazie all'intuito di chi ho al mio fianco, ho visto in televisione un film straordinario: Departures del regista giapponese Yojiro Takita.
Scrivo
straordinario per sensibilità, profondità, regia raffinata e recitazione
intensa, contenuta e sempre efficace. Una vera e propria occasione per
riconciliarsi con il cinema che sa
essere d’autore, ricercato ma non noioso o inutilmente estetizzante.
Praticamente
ogni scena ed ogni dialogo sono efficaci e pressoché perfetti, sia dal punto di
vista visivo che di contenuto. Eleganza
e raffinatezza al servizio di una
emozionante storia, con al centro la morte,
il rispetto per essa e la celebrazione, nell’ordinario e nel quotidiano, della vita, delle sue gioie e dei suoi
dolori.
Trama: Daigo Kobayashi è un
giovane violoncellista costretto a tornare nella sua città natale dopo lo
scioglimento dell'orchestra di cui faceva parte. Per mantenere se stesso e sua
moglie, Daigo accetta un impiego come cerimoniere funebre, ovvero colui che
compie il rito di lavaggio, vestizione e posizionamento nella bara dei morti
per accompagnarli nel trapasso. La sua nuova occupazione non è ben accetta tra
parenti e amici, soprattutto da sua moglie, ma il costante contatto con la
morte e con coloro che hanno subito la perdita di uno dei propri cari, aiuterà
invece Daigo a comprendere quali siano i più importanti legami e valori nella
vita (da cinematografo.it)
Mi
sono emozionato durante la visione di più scene,
impreziosite da una fotografia
talmente rispettosa dei protagonisti, dei loro volti e sentimenti da sembrare
assente. La colonna sonora ha
esaltato i paesaggi fisici e dell’anima, le musiche accompagnano con grazia lo spettatore ed il protagonista
attraverso un percorso di scoperta di se stessi e dei significati più intimi
delle nostre esistenze. Tutto ciò rende
questo film un autentico gioiello.
Departures, film del 2008, ha vinto una lunga serie di
meritatissimi premi, tra cui l’Oscar al
miglior film straniero, “battendo” nel 2009 opere come “Valzer con Bashir”
e “La Classe”.
Regista e attori
sono riusciti a trattare al meglio un tema che è ancora un tabù, ovvero la morte, presentato con grande rispetto e
calore, senza cadere nel melenso o rendere un’immagine esotica di un paese, il Giappone, e di una cultura, quella giapponese, ancora molto lontani da
noi. Personaggi delineati molto bene
e con garbo. Morte presentata, attraverso l’incontro ed il contrasto tra moderno e tradizionale, tra piccoli paesi di provincia e grande città, per
farci riflettere sulla vita e sull’amore, quello che doniamo e quello
che riceviamo. Non mancano “concessioni”
(poche) al gusto occidentale, ma sono “furbizie”
che, a mio giudizio, rendono ancora più valido un film, poiché si nota
quanto si eviti l’autoreferenzialità e l’elitarismo, tipico di alcuni circuiti.
il protagonista con il "principale" Sasaki/Yamazaki Tsutomu |
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