venerdì 30 novembre 2012

Le illustrazioni di Ivan Jakovlevič Bilibin



Una piacevole sorpresa a Pisa.

Mi affascinano molto le fiabe popolari russe ed i loro personaggi, anche grazie all’opera di Aleksandr Sergeevič Puškin.

Puškin ci ha proposto, tra le altre, "Il pesciolino d'oro", "La principessa e i sette cavalieri", "Lo zar Saltan", quest’ultima musicata da Nikolaj Andreevič Rimskij-Korsakov, che evidentemente amava molto il lavoro del suo connazionale, poiché la sua ultima opera “Il Gallo d’Oro”, si basa sul poema “Il racconto del gallo d'oro” dello stesso Puškin.

Illustrazione per "L'Uccello di Fuoco"
Spesso, in varie edizioni, le illustrazioni che corredano queste ed altre fiabe, esaltandone la bellezza ed il fascino, sono opera di Ivan Jakovlevič Bilibin (1876 – 1942), pittore ed illustratore anch’egli russo. Recentemente, in occasione della visione della mostra “Wassily Kandinsky, dalla Russia all’Europa” a Pisa, ho avuto la possibilità di ammirarne dal vivo alcune, che mi hanno emozionato permettendomi di scoprire peculiarità di questo artista e del suo lavoro.

"Fiaba dello Zar Saltan"




Bilibin per anni, autonomamente e nel corso di diverse spedizioni etnografiche organizzate dal Museo Russo di Pietroburgo, si è impegnato ad annotare visivamente le testimonianze del folklore russo con matite, inchiostri e acquarelli, visitando villaggi sperduti e Governatoriati della Grande Russia. Si appassiona alla varietà dei manufatti dell'artigianato artistico ed alle architetture rurali di questi luoghi, che poi compaiono spesso nelle sue tavole illustrate, acquistando così un importante valore a livello documentaristico.

Inoltre rimane conquistato dalla magia della natura che circonda villaggi sospesi nel tempo, ideale cornice per le leggende del folklore russo, a cui unisce, nelle illustrazioni così come nella sua opera grafica, un attento studio dei caratteri cirillici delle icone ortodosse, così stilisticamente vari a seconda delle scuole e che ben si prestano alla sua personale rilettura in chiave "Art Nouveau" dell’opera dell’illustratore.





"Vassilissa la bella"
"Vassilissa la magnifica"

"Fiaba dello Zar Saltan"
mi ricorda molto "La Grande Onda" di Hokusai


mercoledì 28 novembre 2012

Il Mio Miglior Incubo! (2011)

Così diversi, così distanti, così compatibili...


Sembra che il cinema francese abbia inaugurato, negli ultimi anni, un piccolo filone: l’incontro ed i rapporti fra personaggi agli opposti. Dopo gli apprezzabili ed anche divertenti “Giù al Nord!” e “Quasi Amici”, ho visto “Il mio migliore incubo!”, di Anne Fontaine.

Mentre i primi due sviluppano il tema in chiave sociale, “Il mio migliore incubo!” torna alla già collaudata coppia uomo/donna. Benoît Poelvoorde ed Isabelle Huppert interpretano i loro personaggi, tanto rozzo ed ignorante lui quanto algida e sofisticata lei, esasperandone le caratteristiche fino al limite della farsa. Fino al limite perché in realtà ne risulta una commedia a tratti brillante e con una certa dose di intelligenza e sarcasmo, che poggia sulla bravura dei protagonisti e sulle situazioni che si vanno a creare. 

La trama e relativa sceneggiatura non sono, giocoforza, prettamente originali, per quanto non sia un problema, giacché nelle commedie ciò che serve è anche un po’ di prevedibilità, ma è presente un capace gioco sul contesto e le vicende, che si sviluppano senza cadere nella trivialità od in stucchevoli banalità, come in altri prodotti invece accade sovente.

Isabelle Huppert e André Dussolier
La Huppert simpatica e capace di prendersi un po’ in giro è, almeno per me, una novità, dopo averla vista per anni interpretare donne carogne, disturbate, nevrotiche o anche solo antipatiche. Poelvoorde è efficace e riesce anche solo con la propria fisicità e le espressioni facciali a caratterizzare personaggio e situazioni. Inoltre è presente, e gli rendiamo grazie, André  Dussollier (Parole, Parole, Parole; Un cuore in inverno; Tre uomini e una culla, tra gli altri) misurato nella propria interpretazione e capace di mettersi al servizio dei due protagonisti con una certa, non comune, eleganza.

Isabelle Huppert e Benoît Poelvoorde
La seconda parte del film rischia di perdere la spinta iniziale, ma poi riesce a riprendersi con oneste trovate ed evitare la noia, quali la discussione sull’arte, elegante ed originale, la cena con autentico artista concettuale giapponese e giusta dose di sarcasmo, la Huppert nell’autolavaggio belga.

Voto: 7+

martedì 27 novembre 2012

Giallo, Noir & Thriller/2


Titolo: La Signora in Verde
Autore: Arnaldur Indriđason
Traduttore: Cosimini Silvia
Editore: TEA – 2009
  
 
Noir originale ed affascinante, ben scritto e che si basa prevalentemente sull’atmosfera che si crea, sulla descrizione dei paesaggi e situazioni dai toni cupi e su un’ottima ricostruzione di una vicenda passata, fondamentale per risolvere un “cold case” veramente intrigante. Non mancano gli elementi “forti”, quali violenza sui più deboli, morte, solitudine, insensibilità su temi quali la maternità extra-matrimoniale e la disabilità considerata una punizione.

Indriđason ci propone il commissario Erlendur, solitario, cupo, afflitto da dolori intimi e personali, come un cane sciolto, però lontano da eroismi o individualità dettate da un carattere ribelle o anticonformista. È un uomo afflitto e sofferente che in questo episodio, più che risolvere un caso, ne facilita la messa in luce ed i chiarimenti, permettendo al lettore di farsi raccontare la soluzione dagli indagati stessi.

Notevole ed a tratti impeccabile noir, che ha, tra l’altro, il merito di presentarci gli anni della seconda guerra mondiale da una prospettiva insolita, dall’Islanda, terra talmente lontana che neanche ci si immagina possa aver avuto un ruolo in quel fondamentale passaggio storico. Un’Islanda che ci viene presentata anche attraverso la sua società passata e la sua contemporaneità.

Intendiamoci, l’indagine è fondamentale e centrale, ma ciò che attribuisce fascino e corpo al romanzo è principalmente la scrittura, che riesce ad introdurre temi e tematiche, collaterali e funzionali al susseguirsi della vicenda e della ricostruzione del caso, senza appesantire o distrarre la componente prettamente noir, qui espressa magistralmente.

Voto: 8,5

lunedì 26 novembre 2012

Autunno/3


In Bruges - La coscienza dell'assassino (2008)



Ambientazione insolita per un noir moderno, rispettoso del classico, intelligente e brillante.

Bel noir per la regia di Martin McDonagh, che con penna arguta firma anche la sceneggiatura.
Padronanza di un piacevole ed efficace stile di ripresa (primi e primissimi piani da gustare e che non stancano, buone riprese di insieme che fanno da ottimo contraltare), particolare sapienza nella sceneggiatura e nei dialoghi pressoché perfetti (Woody Allen e Tarantino dosati con intelligenza ed humour ed un buon bagaglio di esperienze e competenze teatrali).

Il trio di protagonisti, di stanza nella città belga di Bruges (Brugge per i fiamminghi), si presenta al meglio. Il qui bravissimo Colin Farrell interpreta bene turbamenti, rimorsi e disagio interiore e sociale di un giovane sicario che ha sulla coscienza la morte di un bambino. Il più calmo e riflessivo Brendan Gleeson, anche fisicamente, mette in campo una notevole potenza espressiva. Ralph Fiennes, il boss, è poco presente, ma si sente sempre sottotraccia e quando compare trasmette inquietudine anche solo con la postura ed uno sguardo penetrante.

È presente una non comune capacità di giocare con gli stereotipi del film noir e d’azione, senza diventare demenziale, con vari particolari ed elementi disseminati lungo il film che poi vengono ripresi nello svolgimento della trama (occhio ai gesti, alle movenze, ai dettagli dei brillanti dialoghi).




I dialoghi fra Farrell e Gleeson sono splendidi.
Da antologia il monologo sui nani e la relativa discussione che ne scaturisce.

Grazie a questo film ho scoperto il senso del Purgatorio: "Il purgatorio è quando non sei troppo male, ma neanche troppo bene. Come il Tottenham!".


Voto: 8+

domenica 25 novembre 2012

Bravo e Cattivo



Alan Rickman: un cattivo tutto da gustare

È un dato di fatto che molti film che vengono girati e messi, colpevolmente, in circolazione, sono discretamente brutti ed in qualche occasione persino irritanti, per quanto grossolanamente confezionati e sceneggiati o pessimamente recitati. Alcuni vincono persino qualche oscar, magari in categorie non propriamente di primo piano (canzone più o meno originale, trucco, effetti sonori e così via), o addirittura fanno registrare ingenti incassi.

Rimane però da considerare che ci sono elementi che rendono godibile anche un film non bello o che presenti vari difetti e mancanze. È il caso della presenza di un “cattivo”, un “villain” di spessore, in grado di riscattare, almeno in parte, un prodotto altrimenti irrimediabilmente mediocre.

Un esempio? Ricordate “Robin Hood - Principe dei Ladri”? (non è un riferimento al defunto segretario del mai sufficientemente biasimato PSI, nonostante l’anno di uscita, 1991, lo faccia pensare). Quello dove un imbarazzante Kevin Costner ed una legnosa Mary Elizabeth Mastrantonio riescono a rendere involontariamente comica persino la scena d’amore centrale, con tanto di canzone di Bryan Adams di accompagnamento. 

Alan Rickman e M.E.Mastrantonio
Ebbene in quel concentrato di scempiaggini e disastrose interpretazioni, emerge lo Sceriffo di Nottingham, ottimamente interpretato e genialmente caratterizzato da Alan Rickman, tanto bravo da oscurare e far dimenticare per qualche minuto Robin Hood, Lady Marian (fortunatamente) e persino il pur capace Morgan Freeman,  tirato dentro una storia ed un prodotto che fa gridare vendetta al cospetto delle divinità della settima arte.

Inoltre Alan Rickman, tra l’altro uno degli attori britannici migliori grazie ad una straordinaria versatilità ed eleganza recitativa, in precedenza aveva interpretato il tanto affascinante quanto pericoloso terrorista tedesco Hans Gruber in Trappola di cristallo, primo episodio della saga di Die Hard con protagonista Bruce Willis. Da quel momento non mancheranno occasioni di ammirare questo bravo attore in altri ruoli da cattivo o da personaggio ambiguo, inquietante, allo stesso tempo attraente e da biasimare o come avversario/alter ego del protagonista (quasi sempre un buono, un eroe o idolo delle genti). Non ultimi l’insegnante di pozioni Severus Piton nella saga cinematografica di Harry Potter ed il perfido Giudice Turpin, nel singolare musical-thriller di Tim Burton, Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street, accanto agli irrinunciabili (per Burton) Johnny Depp ed Helena Bonham Carter.

Alan Rickman/Hans Gruber: il terrorista meglio vestito del mondo
Alan Rickman/Turpin - Sweeney Todd
Alan Rickman/Severus Piton, in cerca del fratello Renato Zero
 

venerdì 23 novembre 2012

Giallo, Noir & Thriller/1




Titolo:     Budapest noir
Autore: Kondor Vilmos
Traduttore: Sgarioto Laura
Editore: E/O - 2009

Un bel noir che unisce una scrittura curata e avvincente a personaggi tipicamente europei, ben delineati, ma che ricordano i "classici" noir statunitensi (D. Hammet per esempio). A mio parere descritta efficacemente la situazione dell'Ungheria nel 1936, momento storico di passaggio e di grandi cambiamenti, una scelta non scontata e che conquista.

Il protagonista è un giornalista di cronaca giudiziaria, Zsigmond Gordon, che ci viene ben presentato e che viene supportato, nello sviluppo della vicenda, da figure varie che ben si inseriscono nella trama, coinvolgendo il lettore ed intrattenendolo con uno stile molto più che “onesto” e che, nei punti giusti, ammicca al gusto per l’hard-boiled.

Voto: 7,5



1936 - Budapest, Palazzo del Parlamento di notte

lunedì 19 novembre 2012

Educazione e Cartoni Animati

Valori e funzioni educative delle serie animate.

Non mi ritengo un nostalgico dei cartoni animati che guardavo quando ero più piccolo (e che ogni tanto riguardo su Anime Tv…), ma una riflessione l’ho fatta. Intendo condividerla!



I personaggi dei vecchi cartoni, per lo più i buoni, anche quelli più controversi, per raggiungere i loro obiettivi, per realizzare il proprio Sogno, per affermarsi, o anche solo per sfangarla o far passare il tempo, si sottoponevano ad estremi sacrifici, facevano incredibili rinunce, dovevano sopravvivere ad indicibili sofferenze, affrontare schiere di avversari o terribili ed agguerriti nemici dal grande ingegno, sempre mettendo in campo incredibili risorse e qualità.

Mimì Ayuara con gadget d'allenamento

Pensiamo a Mimì Ayuara ed ai suoi massacranti allenamenti, con catene ai polsi e sberle ricevute a ripetizione, contorno di malattia polmonare e fidanzato che muore.


L'Uomo Tigre ed un rimedio naturale contro il mal di gola



A seguire l’Uomo Tigre, che si gioca la vita in ogni incontro che disputa contro gli scagnozzi di Tana delle Tigri e di Mister X.
il fascinoso Rocky Joe



Ricordiamo Rocky Joe, che per riscattare un’infanzia ed adolescenza a dir poco problematiche e redimersi, in qualche modo, dopo l’esperienza del carcere, si getta a capofitto in estenuanti allenamenti di pugilato per poi, “romanticamente”, morire sul ring.


Forza e Volontà in Candy Candy
Le serie più apprezzate dalle bambine proponevano figure femminili con un’etica e dei principi forti e apprezzabili. Candy Candy con il suo carattere e grande forza se la cava sempre e comunque, la pur scanzonata Mila Hazuki si impegna alla grande ed affronta avversarie ed infortuni con indomita fierezza, per tacere di Lady Oscar o di Peline Story, con i loro riferimenti storici ed i rimandi alla letteratura ottocentesca.




Oliver Hutton
il Trio di sorelle "Occhi di Gatto"
Neanche in serie animate, per così dire, più “leggere” mancano sacrifici ed esempi di grande impegno e dedizione alla causa, ad esempio Holly e Benji, dove non solo i protagonisti del titolo, ma tutti i giovani calciatori si impegnano al massimo in allenamenti e partite, offrendo comunque un esempio di serietà e duro lavoro per divenire dei campioni, accettando le sconfitte e godendo delle vittorie senza irridere gli avversari. Oppure Occhi di Gatto, dove conturbanti sorelle-ladre si ingegnano per recuperare opere d’arte in nome di una missione e visione ideale di giustizia. Il giovane Sampei impara a poco a poco i segreti della pesca e gira il mondo, con umiltà, apprezzando anche le doti degli altri e con grande rispetto di chi incontra, come gli ha insegnato il vecchio ed affettuoso nonno.

I tre "cattivi" di Yattaman
Persino nel demenziale Yattaman si possono riscontrare elementi a loro modo pedagogico-ideali, nel farsesco scontro tra i noiosi ed un po’ antipatici “buoni” ed i caricaturali “cattivi”. Tacendo delle serie con protagonisti Robot Giganti (Mazinga, Goldrake, Daitarn,…) sempre e comunque, in modo manicheo, paladini e difensori della razza umana o comunque impegnati a vigilare sulla sorte di amici e parenti meno dotati di forza, poteri superiori, doti aliene e così via.

Insomma, pur con qualche grossolanità e sfumatura discutibile, queste serie animate offrivano esempi da seguire, quantomeno per impegno, capacità di concentrazione, doti virtuose, abilità e sacrificio per crescere, migliorarsi ed emergere. Si ottengono risultati applicandosi rigorosamente e facendo anche qualche sacrificio, sia per vincere una partita, pescare una carpa, avere ciò che si desidera, “farsi una posizione” o anche solo per sopravvivere. Quindi una funzione educativa in senso lato e vasto, anche con confini labili e sfumati, ce l’avevano, diamine!

Ed ora?
Quale accidenti di insegnamento etico o morale, che tipo di esempio può arrivare ad un bambino dai protagonisti di Yu-Gi-Oh! oppure di Bakugan ed altre serie di quella risma: delle mezze tacche senza arte né parte, dei pirletti con discutibili acconciature che spendono le loro giornate lanciando carte, sfere, trottole ed altri oggetti vari, da cui fuoriescono esseri imbarazzanti per quanto sono futili, incoerenti e dalla bruttezza inspiegabile! Peraltro quando questi personaggi sono in difficoltà o con le spalle al muro, nella gran parte delle occasioni vengono salvati da interventi esterni, indipendenti da loro, che più che ricordare i “Deus ex machina” fanno pensare a clamorosi “colpi di culo”, oppure da errori ingenui e grossolani dell’avversario di turno (sembra difficile ma ci sono esseri più stupidi dei protagonisti di questi cartoni animati).

Che cosa ne trae un ragazzino in formazione? Se proprio deve appassionarsi alle carte, meglio Scala 40 o Tresette, oppure incontrarsi con gli amici per far girare trottole e giocare con le biglie.

Anche ammesso che il bambino che ha seguito tali serie si dedichi nel tempo libero al relativo, e colpevolmente legato a strategie commerciali, gioco delle carte, sapete che per confrontasi con gli amici bisogna spendere cifre non indifferenti per avere la serie completa? Inoltre spesso in questi giochi vince chi ha il reddito familiare lordo più alto e di conseguenza ha speso di più, poiché le card migliori e più forti, quelle che fanno vincere, sono quelle con il prezzo più alto e più rare (in barba ad intelligenza tattica, strategia e fantasia). Anticipazione del campionato di calcio, per cui la propria squadra vince solo se ha un Presidente plurindagato, ladro e truffatore ma ricco sfondato, disposto a spendere cifre esorbitanti per giovani uomini tatuati in boxer che rincorrono un pallone. 

Se poi durante un ipotetico futuro torneo di ramino, il bambino divenuto nel frattempo uomo, dovesse trovarsi in difficoltà che succederebbe? Invocherebbe l’intervento di un qualche essere che deve sorgere da un quattro di fiori o da un Jack di quadri, accuserebbe l’avversario di barare, attenderebbe che questi commetta una “maronata”, facendogli così vincere la partita senza sforzo? Griderebbe al complotto o all’oscuro disegno messo in piedi da Moggi? Tacendo poi, per non infierire, della strada segnata verso la dipendenza da gioco d’azzardo, video lottery e video poker.

Ovviamente tutto questo è sarcastico e volutamente esagerato, esposto in modo satirico, ma un pensiero comunque, ogni tanto, ce lo dedico.





Vedi anche:
Eroi, Superstar ed i Cartoni Animati 
Parallelo di Esperienze 

sabato 17 novembre 2012

LOVE & SECRETS (2010)


Ambiguità, vita borghese e disagio.

Ieri sera ho visto, al cinema, Love & Secrets, di Andrew  Jarecki.

Quella che inizialmente potrebbe sembrare la rappresentazione di una storia d’amore o di una famiglia americana, tra borghesia e provincia, diviene un percorso nelle “gesta” e nella cronaca di fatti realmente accaduti, anche se resi con nomi di fantasia e qualche minima modifica.

Al di là della trama, facilmente reperibile su svariati siti di cinema e dintorni, pongo l’attenzione sulla convincente prova recitativa degli attori e su qualche scelta registica.

Ottimo Ryan Gosling, ambiguo magistrale psicotico che si veste anche da donna (il riferimento a “Psycho” non è fuori luogo), per una recitazione ancora una volta convincente (vedasi anche “Le Idi di Marzo” e “Driver”); brava Kirsten Dunst, moglie e donna vittima resa con notevole sensibilità e stile; Frank Langella, compassato padre imprenditore per una recitazione misurata ed efficace.

Non è propriamente thriller, anche se forse ha provato, senza troppa convinzione, a divenirlo, ma la regia ha comunque azzeccato le inquadrature dei protagonisti, valorizzandoli e potenziando le qualità recitative dei singoli ed i dialoghi a due (marito-moglie; figlio-padre). A mio vedere, volutamente, non è presente un’indagine psicologica, scelta spesso rischiosa, ma la presentazione di un uomo ed il suo disagio, delle conseguenze di ciò che vive, con una certa coerenza ed autonomia stilistica.

Voti?
Film: 6/7.
Interpreti: 7,5.

Happy Birthday Mr Bond!


 Buon Compleanno James Bond...


1962. Un cerchio bianco attraversa lo schermo, la canna di una pistola segue i passi di un uomo. Uno scatto improvviso, uno sparo “in macchina” e una colata di sangue. Partono gli splendidi titoli di testa di Maurice Binder accompagnati da un motivetto destinato a diventare celebre. Un agente segreto viene inviato in missione in Giamaica. Licenza di uccidere di Terence Young segna l’inizio di un mito.

James Bond, cinematograficamente, compie 50 anni!
Un omaggio ad ogni film, con il gusto ed il divertimento di attribuire i voti, con leggerezza ed un po’ di affetto…


Agente 007 - Licenza di Uccidere (1962)  voto: 6,5 (il primo, affascinante e divertente)
Licenza di Uccidere












Daniela Bianchi/Tatiana Romanova

Agente 007 - Dalla Russia con Amore (1963) voto: 7,5 (ironia, scenari di ogni tipo e sequenze elettrizzanti; Tatiana Romanova/Daniela Bianchi bellissima)








Agente 007 - Missione Goldfinger (1964) voto: 8 (scene coinvolgenti ed emozionanti; umorismo ed un Sean Coonery/James Bond pronto alla battuta, ambiguamente distaccato dagli avvenimenti ma pronto ad intervenire)


 








Agente 007 - Thunderball: Operazione Tuono (1965) voto: 6,5 (un vero thriller; attori molto bravi, ma troppo lungo e si perde in alcune convenzioni e concessioni allo spettacolo)
Agente 007 - Si Vive Solo Due Volte (1967) voto: 6+ (molto spettacolare e gran tecnica, buoni dialoghi, ma troppe comparse e troppa Asia molto convenzionale)
Agente 007 - Al Servizio Segreto di Sua Maestà (1969) voto: 5 (cambia l’attore che interpreta James Bond e va tutto a rotoli; sceneggiatura piatta e scene da sbadiglio)
Agente 007 - Una Cascata di Diamanti (1971) voto: 6+ (torna Sean Connery, ma non basta; la storia annaspa e si salva per gli effetti speciali usati senza parsimonia)

 

















Agente 007 - Vivi e Lascia Morire (1973) voto: 5 (primo con Roger Moore; poca azione e non bastano la verve e l’ironia del protagonista e Paul Mc Cartney nella sigla d'apertura)
Agente 007 - L'Uomo dalla Pistola d'Oro (1974) voto: 5,5 (da godere l’istrionico agente segreto, ma il duello con il nemico di turno, l’ottimo Cristopher Lee, alla fine fagocita il tutto e si rivela un boomerang perché il film non riesce a svilupparsi al meglio)
Agente 007 - La Spia che mi Amava (1977) voto: 7 (azione continua, belle trovate ed un “cattivo” di spessore)
Roger Moore e Barbara Bach - La Spia che mi amava

Agente 007 - Moonraker: Operazione Spazio (1979) voto: 5,5 (buon ritmo e grandi effetti, ma la narrazione è debole; in parte si salva grazie a Roger Moore)
Agente 007 - Solo per i Tuoi Occhi (1981) voto: 6,5 (narrazione scattante e coinvolgente; buona regia; ci si diverte)
Agente 007 - Mai Dire Mai (1983) voto: 7 (ritorno di Connery con eleganza  e maestria; buona fotografia ed interpreti convincenti al servizio di una storia accattivante; scene sontuose)
Kabir Bedi - Octopussy Operazione Piovra
Agente 007 - Octopussy: Operazione Piovra (1983) voto: 6,5 (narrazione povera, ma humor, sequenze divertenti e azione classica e convincente lo salvano)

Agente 007 - Bersaglio Mobile (1985) voto: 4,5 (scialbo e troppo prevedibile, l’azione è presente ma non conquista; il “cattivo” è troppo caricaturale)
Agente 007 - Zona Pericolo (1987) voto: 5 (cambia James Bond, uno strazio; tutti i personaggi sono vuoti e la recitazione non aiuta; azione pressoché nulla)

Agente 007 - Vendetta Privata (1989) voto: 4,5 (irritante per quanto è disarticolato, povero di spessore e brutto)
Agente 007 - Goldeneye (1995) voto: 7 (arriva Pierce Brosnan, simpatico e attraente; buoni dialoghi, charme e gag che poi, con intelligenza, cedono il passo all’azione ed all’avventura)
Agente 007 - Il Domani Non Muore Mai (1997) voto: 5,5 (storia prevedibile, narrazione zoppicante; le belle donne non mancano ma ovviamente non è sufficiente)
Agente 007 - Il Mondo Non Basta (1999) voto: 5 (storia ripetitiva e poco coinvolgente; ritmo serrato ma troppi personaggi mal delineati; c’è Maria Grazia Cucinotta che, bontà sua, esce di scena quasi subito)

Pierce Brosnan

Agente 007 - La Morte Può Attendere (2002) voto: 5,5 (più action-movie che spy story; diverse donne, ma recitazione rozza; effetti speciali superflui; Pierce Brosnan è in forma, diverte, ma è mal supportato)





Eva Green/Vesper Lynd
Agente 007 - Casino Royale (2006) voto: 6,5 (si volta pagina e decisamente si propende per l’action-movie, ma con discreti risultati; scene mozzafiato o comunque godibili; attori molto nel proprio personaggio, con Daniel Craig che si “fa” un James Bond tutto suo ed evita il confronto con i precedenti; Eva Green/Vesper Lynd da applausi)


Agente 007 - Quantum Of Solace (2008) voto: 6 (pregevole sotto il profilo puramente visivo, meno per quanto riguarda la storia e la narrazione; volendo riferirsi e aderire all’attualità, regista ed attori si prendono troppo sul serio, mancando una dose di ironia e leggerezza che non guasterebbe)


Cos’è che appassiona così tanto schiere di fan in tutto il mondo, garantendone un successo praticamente all’infinito? In ogni film una pericolosa missione da compiere, dei villains (cattivi) con piani criminali da sventrare, donne bellissime dal fascino insidioso e dai nomi allusivi ed evocativi, auto superaccessoriate – dalla mitica Aston Martin DB5 di Missione Goldfinger (1964) di Guy Hamilton alla subacquea Lotus Esprit di La spia che mi amava (1977) di Lewis Gilbert – e gli indispensabili gadget che permettono a 007 di salvare di volta in volta il mondo. Ma è proprio James Bond la chiave del successo. Affascinante, ironico, sicuro di se e in grado di far cadere ai suoi piedi qualsiasi donna, raffinato, colto, abilissimo con la sua Walther PPK e con qualsiasi tecnica di difesa.

Ursula Andress/Honey Rider