mercoledì 27 febbraio 2019

La Gente



La gente non è cattiva, mia cara. È idiota, il che è ben diverso. La malvagità presuppone un certo spessore morale, forza di volontà e intelligenza. L’idiota invece non si sofferma a ragionare, obbedisce all’istinto, come un animale nella stalla, convinto di agire in nome del bene e di avere sempre ragione. Si sente orgoglioso in quanto può rompere le palle, con licenza parlando, a tutti coloro che considera diversi, per il colore della pelle, perché hanno altre opinioni, perché parlano un’altra lingua, perché non sono nati nel suo paese o perché non approva il loro modo di divertirsi. Nel mondo c’è bisogno di più gente cattiva e di meno rimbambiti.

(Carlos Ruiz Zafón in "L'Ombra del Vento" - trad. Lia Sezzi, Mondadori)


lunedì 25 febbraio 2019

Citazioni Cinematografiche n.291

Tony Stark: Ho salvato New York. Ricordate? Un esercito di alieni ostili attraversò un buco nello spazio... erano a cento metri da noi. Siamo gli Avengers. Possiamo bloccare trafficanti d'armi tutto il giorno ma... quello lassù, quello... quello è il game over. Come pensavate di sconfiggerlo?  
Steve Rogers: Insieme.  
Tony Stark: Perderemo.  
Steve Rogers: Allora faremo anche quello insieme.
(Tony Stark/Iron Man/Robert Downey Jr. e Steve Rogers/Captain America/Chris Evans in "Avengers: Age of Ultron", di Joss Whedon - 2015) 



domenica 24 febbraio 2019

Non credo più tanto alla collettività



...
In questo locale cosa altro vuoi fare
Non si può parlare e non voglio ballare
La rivolta ormai è un fatto personale
Lasciatemi stare.
 
 
 
(The Zen Circus - Non Voglio Ballare)
 
 

giovedì 21 febbraio 2019

Un topo oltre Topolino: Brisby e il segreto di NIMH

Quando mi trovo a parlare di cinema d'animazione con qualcuno ben al di sotto dei 30 anni spesso devo fare i conti con qualche abitudine consolidata, da parte mia e loro s'intende, ed anche con il fatto che per buona parte di loro i film d'animazione partono essenzialmente da Toy Story (con uso del computer e stilemi di caratteri che lo connotano irriducibilmente). Ebbene i miei interlocutori danno per scontate determinate tecniche ed anche per unica una modalità d'approccio alla narrazione ed alle immagini. Perciò noto la tendenza a semplicistiche, ma in fondo non del tutto colpevoli, distinzioni ed a qualche tutto sommato innocuo pregiudizio.





Questo però rende loro più difficile considerare e approcciarsi a prodotti più vecchi, differenti per tecniche utilizzate, per scrittura e narrazione (tema a me sempre molto caro). Per fare un esempio, senza cadere sempre nell'animazione giapponese ed i suoi “mostri sacri”, recentemente ho fatto cenno ad un film del 1982 per la regia di Don Bluth, “Brisby e il segreto di NIMH”.


Fino a qualche anno prima il buon Don Bluth aveva lavorato per più di vent'anni per la Disney, collaborando a diversi successi della “Casa del Topo”, senza però essere riuscito ad esprimersi compiutamente come avrebbe voluto. Destino tra l'altro condiviso con altri grandi artisti, fra cui Tim Burton e John Lasseter (sì proprio il regista di “Edward Mani di Forbice” ed il fondatore della Pixar). Ebbene, una volta lasciata la Disney che cominciava un non breve periodo di crisi creativa e artistica, Bluth fondò una sua casa di produzione ed il primo lungometraggio fu proprio “Brisby e il segreto di NIMH”.

Ironicamente mise a protagonista del film un roditore, infatti lui ed i suoi collaboratori lavorarono all'antropomorfizzazione dell'animale simbolo dell'ex datore di lavoro: un topo. Così una graziosa topolina è al centro della storia, una giovane madre rimasta vedova e costretta ad affrontare un tumultuoso trasloco dalla comoda tana in cui vive. Dal punto di vista tecnico tutto nella tradizione, forse anche con un certo gusto di antico, ma il momento è storico. Ovvero la prima vera sfida alla Disney, che se non otterrà poi grande successo al botteghino comunque negli anni a seguire si rivelerà un buon prodotto, con più di un elemento tecnico e di costruzione della storia che ancora oggi dicono la loro.



Per farla breve “Brisby e il segreto di NIMH” è un film che intende presentarsi come fuori dal proprio tempo, quasi demodé, o meglio sospeso in un limbo che per conquistare una sua immortalità volge lo sguardo con struggente tenerezza al passato. Ancora oggi è come se si compisse un viaggio a ritroso, dal punto di vista tecnico, ma così facendo il film riesce a salvarsi dalle inevitabili usure del tempo, quelle che hanno colpito ed ancora colpiscono i prodotti che rincorrono i gusti del pubblico moderno e le mode del momento (ottenendo grandi incassi, si intende, ma avviandosi ben presto all'oblio ed all'essere superati da altri appetiti). Anche grazie a qualche scena “scura” e ad un sapiente utilizzo del buio e della luce, sia in senso fisico che come concetti, a distanza di quasi quarant’anni dalla sua realizzazione la storia di Brisby, tratta da un romanzo di Robert C. O’Brien, è ancora straordinariamente attuale. Merito del messaggio ecologista, senza dubbio, con la denuncia e anche la ridicolizzazione degli esperimenti umani sui topolini, ma anche del linguaggio cinematografico, elegantemente morbido, ricco di sfumature, e della sceneggiatura nobilmente semplice così da essere godibile e rigodibile.

mercoledì 20 febbraio 2019

Dampyr #227 - Pirati!

Mar delle Antille e Pirati per Dampyr n.227. Sceneggiatura lineare, non banale, bensì dinamica e densa d'azione, dove Harlan si trova coinvolto in una faida fra pirati vampiri, una parte dei quali dedita a traffici loschi.
Pirati”, come opportunamente si intitola l'albo, mette quasi in secondo piano i protagonisti della serie, che lasciano spazio e parole ad una fra le figure più affascinanti ed utilizzate nei romanzi e serie d'avventura. Passato e presente si alternano per mettere i predoni dei mari al centro di quella che è di fatto un'avventura di passaggio, volgarmente si direbbe un numero riempitivo, ma che presenta più di un motivo di interesse.

La scrittura, come detto, ma anche i disegni di Simone Delladio, che con tratto pulito ed elegante definisce tavole ricche di particolari, con personaggi sempre ben caratterizzati e dotati di grande espressività. Sicuramente apprezzabile è il fitto tratteggio a trama di tessuto, molto efficace e di impatto nel delineare le ombre e donare il senso di profondità.



Molti anni fa, all’epoca d’oro della pirateria, il Maestro della Notte Akhar Nun condannò una ciurma di pirati a un’eternità di buio e sofferenza, in un vascello sommerso nelle profondità … Cercando i responsabili di morti misteriose tra gli uomini di mare delle Antille, Harlan e soci s’imbattono non solo nei vendicativi non-morti, ma anche nell’equipaggio segreto del loro nemico Akhar Nun… (da sergiobonelli.it)

lunedì 18 febbraio 2019

Citazioni Cinematografiche n.290

Serg. Tom Flaherty: Be', Rico, a quanto pare stiamo per fare quella famosa passeggiata insieme.
Rico: Tu credi? Ti ho detto che nessun fetente riuscirà mai a mettere i braccialetti a me.
Serg. Tom Flaherty: Avresti dovuto uscire subito quando te l'ho detto.
Rico: Madre di misericordia! È questa la fine di Rico?
(Tom Flaherty/Thomas E. Jackson e Rico/Edward G. Robinson in "Piccolo Cesare", di Mervin LeRoy - 1930)

domenica 17 febbraio 2019

Fedeli al Vinile (2018)

Fedeli al Vinile” è un libro piacevole, divertente, a suo modo istruttivo nel senso più generale e ludico del termine e sincero per quello che trasmette e mostra.
Alessandro Casalini è riuscito a far convivere tratti e personaggi della Romagna più o meno contemporanea (tutta la vicenda o quasi è datata 2001) con suggestioni e spunti che vanno oltre la storia e la geografia, dei lettori ma non solo, per giungere a toccare corde e sensazioni, temi e questioni che possono trascendere la biografia e le radici personali. Tutto questo senza prendersi troppo sul serio e giocando con chi legge il suo romanzo. La scrittura è seria, per carità, poiché ci vuole veramente capacità e mestiere per far sorridere ed a volte ridere, dal momento che a far piangere sono capaci pressoché tutti. Com'è quella storia su Alberto Sordi? Sembra che Sordi, a un giovane autore incontrato mentre stava lavorando, chiese: “Che stai a scrive? ‘Na commedia?”. “No”, gli rispose quello, “un dramma”. “Ah, allora te stai a riposà”. Ecco, passatemi la suggestione, Casalini non si è riposato, ha fatto un bel lavoro, faticoso, ed il risultato ce lo possiamo godere.

L'autore vive a Cesenatico e scrive di quanto accaduto, o sarebbe accaduto a Cesenatico all'ombra del grattacielo sul finire del settembre 2001, subito dopo i fattacci di New York, anche se lui ed i suoi protagonisti di responsabilità in merito sembra che non ne abbiano. Come dite? “Cesenatico”? “E quanti anni ha questo Casalini”? “Vabbè, ci siamo capiti, ci dici di leggere il libro perché parla della tua città e poi magari quello è amico tuo. Lassandé va là”.
No, Alessandro Casalini non è amico mio, anche se mi sono fatto l'idea che probabilmente mi sarebbe piaciuto averci a che fare negli anni giovanili, considerando inoltre che siamo coetanei, ma non è questo il punto. Nel libro si parla di musica, di amore per la musica e per i dischi in vinile, con più di un rimando a luoghi e situazioni che per chi ha oltre 40 anni (e magari vive in Romagna da un periodo di tempo simile) non possono che essere quantomeno familiari.

La musica ed il vinile, poi, a ben leggere e a divertirsi, divengono quasi un pretesto per parlare anche di altro. Affetti, interazioni umane, amicizia, amore, cibo, dinamiche sociali, questioni micro e macroenomiche, con una leggerezza ed un brio accattivanti e gustosi. Il buon Alessandro (chiedo scusa all'autore per questa confidenza che mi prendo in modo audace quanto proditorio) ci propone i suoi personaggi e le sue situazioni un po' come si faceva nella Commedia dell'Arte e in alcuni felicissimi casi si riesce a fare ancora nel Teatro e nel Cinema. I caratteri che mette in scena si elevano dal semplice rango di personaggi di uno scritto, di una pièce, per assurgere a poco di meno di archetipi, propri della romagnolità e non, tratti caratteriali (caratteri appunto) di una commedia che rappresenta su un ideale palcoscenico dinamiche e peculiarità umane più grandi, nel loro essere momentaneamente circoscritte ad una vicenda e ad una collocazione territoriale, nonché linguistica. Non continuo per non fare arrabbiare chi studia e si guadagna da vivere con la Storia del Teatro e materie affini, ma spero di aver reso l'idea!

Ci si diverte, poi una volta lasciato sedimentare quanto letto ci si accorge di molto, di quanto contenuto nelle pagine e nei dialoghi, nelle descrizioni e nella musica che ci viene voglia di (ri)ascoltare. Quindi, anche se Alessandro Casalini non è amico mio dategli una possibilità, leggete “Fedeli al Vinile”.

Riviera Romagnola, settembre 2001. Tata e Hi-Fi sono i proprietari del VinylStuff, un negozietto di Cesenatico che vende esclusivamente vinili e cerca di sopravvivere all’onda d’urto prodotta dalla rivoluzione della musica digitale. La verità è che il VinylStuff non è solamente un negozio, è molto di più. All’interno di questo novello Bar Sport si incontrano tizi come Plutarco di cui si dice che in passato abbia suonato con i Pink Floyd, il Professore, un ex insegnante di fisica che crede di essere Einstein, oppure Marione: un appassionato che individua i suoi pezzi da collezione sfruttando una sorta di “tocco magico”. Nei giorni in cui Napster arriva all’apice della sua parabola e l’iPod sta per fare il suo debutto sul mercato, Tata e Hi-Fi ingaggiano una battaglia epica tra analogico e digitale, tra il bene e il male, a suon di note, bit, fruscii e bytes. Chi la spunterà? (da libromania.net)

venerdì 15 febbraio 2019

Giallo, Noir & Thriller/64




Titolo: Orient
Autore: Christopher Bollen
Traduttore: Daniela Guglielmino
Editore: Bollati Boringhieri - 2018

Ci sono libri che riescono ad andare oltre il genere nel quale vengono inseriti per divenire letteratura a tutto tondo, guadagnandosi così un posto oltre le caselle e le classifiche e raggiungere lettori diversi e di gusti differenti.
Orient di Christopher Bollen rientra in questa casistica e quindi mi viene spontaneo segnalarlo come un romanzo che meriti di essere considerato come prossima lettura, valutandolo una buona alternativa ai gialli polizieschi, un degno competitore dei thriller d'azione e una valida opzione per chi desideri atmosfere dense di mistero, un po' di movimento e una buona dose di analisi dei personaggi e del contesto. Bollen riesce a fare una apprezzabile summa di tutto questo, aggiungendovi una mescolanza di gusto europeo e di carattere nordamericano, come in fondo sono i caratteri descritti e la zona in cui tutto si svolge. All'estrema punta dello stato di New York, nel Noth Folk di Long Island, vive ad Orient una comunità che vive da decenni affacciata sul braccio di mare che separa l'isola dal Connecticut.


Presso questa comunità, a suo modo esempio di una Nazione, giunge un estraneo, un “diverso”. In realtà non sarebbe l'unico, ma questo ragazzo funge, in qualche modo, da calamita e da catalizzatore, per le dinamiche e le vicende locali, che si dipanano come in un grande thriller, che sa essere al contempo un'opera letteraria dove vengono offerti introspezione, analisi sociale e psicologica, azione e suspense, in un equilibrio tanto raro quanto mirabile.

La scrittura è curata e regala momenti di acutezza letteraria e finezza di composizione, grazie anche ad una traduzione che riesce a rendere giustizia di uno stile e del suo esprimersi, di un'ambientazione che non è solo fisico-geografica ma anche psico-sociale ed emotiva. L'Oriente non esclusivamente come collocazione nello spazio, bensì allo stesso tempo l’est americano, l’esotico, così come l’orientamento temporale, l’orientamento sessuale a cui si aggiunge il disorientamento delle percezioni mentali. 

 

Descrivendo con estrema accuratezza paesaggio, personaggi e contesto, Bollen conquista il lettore e gli regala una grande opera in cui trovano spazio sia i temi classici dei giallo-thriller (violenza, morte e indagini comprese) che alcuni dei temi rilevanti della società americana odierna, quali la ricerca della realizzazione personale, l'arricchimento o la difesa del proprio status, la gentrificazione, l'arte, l'omosessualità e la paura del diverso e dello “straniero”, il matrimonio, il divorzio, la tutela ambientale, l'avidità. 


Orient, sulla punta del North Fork di Long Island, affacciata sul braccio di mare che separa l’isola dal Connecticut. Meno famosa del South Fork, quella degli Hamptons, con relativi magnati dello show business newyorchese, attori e scrittori famosi. In questo paradiso marittimo dei falchi di mare, dei pescatori e delle fi oriture selvagge, abitato dalle stesse famiglie da molte generazioni, arriva un giorno da New York Mills, un «drifter», un vagabondo, ex tossicodipendente, ex bambino abbandonato, passato da un affido all’altro. Ospite, in cambio di lavoro, di un signore che possiede una bella casa di famiglia da sgombrare e ristrutturare dopo la morte della madre, Mills viene accolto da subito con molta diffidenza nella comunità locale, tanto più che, dopo il suo arrivo, uno per volta, si cominciano a rinvenire numerosi corpi senza vita. (da ibs.it)

mercoledì 13 febbraio 2019

Polar (2019)

Ero molto incuriosito e forse anche impaziente di vedere “Polar” prodotto da Netflix, per cui appena avuta una serata disponibile mi sono organizzato per farlo. Il film con Mads Mikkelsen è tratto dall'omonimo graphic novel e la cosa si nota per uno spettatore affezionato a quella parte del genere noir dove l'azione è continua ed il ritmo serrato. In questo adattamento cinematografico ci sono passaggi un po' tirati e qualche momento di “stanca”, probabilmente a causa di una scrittura che cerca di far convivere più temi e suggestioni tipici del genere, senza riuscire del tutto a trovare un accettabile equilibrio fra di essi.

Intendiamoci, le ambientazioni e la cura dei dettagli sono mirabili ed efficaci, anche le musiche svolgono bene il loro ruolo, ma il film a mio parere si basa fin troppo sulle spalle del protagonista, il già citato Mikkelsen che qui è anche produttore esecutivo. Il suo killer prossimo alla pensione, obiettivo delle gesta di altri killer ingaggiati per ucciderlo, è un bel personaggio, che incarna caratteri e tipi propri del noir-thriller, ma l'attore danese non è riuscito a gestire da solo due ore di film, poco supportato, come è, dagli altri personaggi, non tutti sufficientemente caratterizzati e sviluppati, quando non si cade nella caricatura.



Violenza a profusione, sangue che gronda praticamente in ogni fotogramma, sesso francamente eccessivo ed in almeno un caso utilizzato arbitrariamente (quasi come a voler intercettare alcuni gusti non propriamente afferenti all'arte cinematografica), ma al tutto sembra mancare quella auspicabile forma d'ironia che invece avrebbe smorzato ed allo stesso tempo reso accettabile la generosa dose di pallottole, pozze e schizzi di materiale ematico. A parte qualche momento in cui sembrano provarci, la sceneggiatura ed il regista Jonas Åkerlund mostrano di prendersi fin troppo sul serio, non intuendo che quando si sceglie di andare “sopra le righe” sarebbe utile introdurre elementi e dettagli che mostrino come se ne abbia la consapevolezza e quindi, senza scadere nella macchietta, si possa anche far sorridere o anche ridere lo spettatore.

Dal momento che la trama, o quantomeno il punto di partenza, non è originalissimo, bensì fin troppo spesso utilizzato e visto, basare tutto “Polar” sul Black Kaiser di Mikkelsen si rivela una scelta non azzeccatissima e le numerose scene da estetica di videoclip, con toni esagerati e un tantino nevrotici, peggiorano la situazione, in particolare quando si tenta la via di un velleitario minimalismo nelle immagini che vi si dovrebbero contrapporre.


Forse il film potrebbe soddisfare i fan dell'ultraviolenza un po' fine a se stessa, quelli che apprezzano qualche tetta e culo sparati per riempire del vuoto, chi si esalta per l'ultrapop coloratissimo e vicino alla nausea visiva, ma gli estimatori del noir e dei thriller probabilmente avrebbero desiderato qualcosa di diverso, magari di migliore.

lunedì 11 febbraio 2019

Citazioni Cinematografiche n.289

McNamara: Ecco il conto di quanto mi devi. Totale: 41.020 marchi o 10.225 dollari.  
Otto: Come? Sono un capitalista da appena tre ore e ho già un debito di 10.000 dollari?  
McNamara: È il segreto del nostro benessere! Tutti hanno debiti con tutti!

(McNamara/James Cagney e Otto/Horst Bucholz in "Uno, due, tre!", di Billy Wilder - 1961)



venerdì 8 febbraio 2019

Mister No Revolution


La Sergio Bonelli Editore si sta dando molto da fare per rinnovare e diversificare la sua offerta, persino le serie storiche sono oggetto di un ripensamento e di qualche “aggiustamento”, sia dal punto di vista tecnico-grafico che di contenuti e proposizione di temi e storie.

Non si sottraggono a questa operazione anche i western, da Tex fino alle nuove collane brevi, come anche i “personaggi totem”. Tra questi vorrei spendere qualche parola su Mister No. Non è cosa comune, tanto meno da prendere alla leggera mettere mano alla creatura figlia del grande Sergio, che lo ha creato e curato fino alla fine della serie e della sua vita terrena. Ma la casa editrice milanese, con coraggio ma anche estrema professionalità e cura, da qualche mese ci sta proponendo una versione alternativa di Jerry Drake, alias Mister No.

Non un “semplice” reboot, ma qualcosa di molto vicino ad un “what if” che solo idealmente richiama quelli di casa Marvel. Quindi nella recente miniserie della collana Audace, che appunto si prefigge di reinventare il personaggio, uno dei primi antieroi del fumetto popolare italiano, la domanda da cui tutto origina è: cosa sarebbe successo se Jerry Drake fosse nato 25 anni dopo rispetto alla sua biografia ufficiale?

Mister No Revolution, come si chiama la serie, è per ora giunta al terzo numero, per cui ancora parecchio ci rimane da leggere e gustare, ma giunti a circa la metà della sua vita editoriale è lecito comporre qualche riflessione. Gli albi viaggiano su due linee temporali parallele, quasi due fronti di battaglia, nei primi due guerra in Vietnam ed i mesi newyorkesi precedenti alla partenza di Jerry, nel terzo il ritorno del protagonista e i suoi anni adolescenziali, in fuga da una famiglia violenta e disfunzionale (come la definiremmo oggi).
Quindi questo Mister No quanto assomiglia a quello delle storie della serie classica? La domanda è suggestiva ed intrigante, ma probabilmente solo per vecchi lettori e qualche giovane con passioni filologiche e di interpretazione. Quello che invece mi piace sottolineare è come in questa serie il (molto) buono della storia bonelliana si incontri con le novità, di scrittura e di tratto e colorazione dei nuovi autori e disegnatori, che si accompagnano a quelli maggiormente esperti.


Il gioco di rimandi e contrapposizioni fra reduce della Seconda Guerra Mondiale (serie classica) e reduce della Guerra in Vietnam (attuale mini serie) mi piace, per quanto risulti essere in gran parte solo nella testa del lettore, poiché quello che attrae è per lo più il modo di raccontarne la vita e le gesta, senza risparmiare crudezze e scene forti, con un linguaggio ed una rappresentazione anche grafica che ne marca lo stile e giunge forte a chi legge.



Affascinante è perciò la scrittura come anche il comparto visivo, con disegnatori e coloristi di grande talento e persino coraggio. Da segnalare le citazioni visive (musicali e letterarie soprattutto), utili sia per contestualizzare e creare un clima, così che il lettore possa “vivere al meglio” l'ambiente ed uno spirito, che per veicolare la narrazione ed il vissuto dei protagonisti, senza necessariamente affidarsi al testo scritto. Sottolineato quanto sia di grande qualità la parte grafica, a partire dalle splendide copertine, ritengo non sia fuori luogo definire Mister No Revolution uno degli attuali migliori prodotti della Bonelli, una proposta editoriale da non perdere e che possiede le carte giuste per farsi apprezzare anche da lettori esigenti e magari un po' prevenuti nei confronti della casa editrice meneghina.





mercoledì 6 febbraio 2019

Wednesday




Nothing here to fear. I'm just sitting around,
Being foolish when there is work to be done.
Just a hang-up call and the quiet breathing,
Of our Persian we call Cajun on a Wednesday.
So we go from year to year with secrets we've been keeping.
Though you say you're not a Templar man.
Seems as if we're circling for very different reasons.
But one day the Eagle has to land.

Out past the fountain, a left by the station,
I start the day in the usual way.
Then think 'well why not' and stop for a coffee,
Then begin to recall things that you say.


No one's at the door. You suggest a ghost,
Perhaps a phantom I agree with this in part.
Something is with us I can't put my finger on,
Is Thumbelina size ten on a Wednesday?
So we go from year to year with secrets we've been keeping.
Though you say you're not a Templar man.
You tell me to cheer up, you suspect we're oddly even.
Even, still, the Eagle has to land.

Out past the fountain, a left by the station, I start the day in the usual way.
Then think 'well why not' and stop for a coffee,
Then begin to recall things that you say.
Pluck up the courage and snap, it's gone again.
I start humming "When Doves Cry."
Can someone help me, I think that I'm Lost here.
Lost in a place called America...
    

 

lunedì 4 febbraio 2019

Citazioni Cinematografiche n.288

Non mi metterete in prigione. Voi non metterete nessuno di noi in prigione. Sapete perché? Perché avete bisogno di noi. Sì, il mondo è un luogo vulnerabile ed è vero noi aiutiamo a renderlo così. Ma siamo anche i più qualificati a difenderlo. Perciò, se volete arrestarmi, arrestatemi. Saprete dove trovarmi. 
(Natasha Romanoff/Vedova Nera/Scarlett Johansson in "Captain America: The Winter Soldier", di Anthony e Joe Russo - 2014)



venerdì 1 febbraio 2019

La scansione della narrazione ne "Il Cacciatore"


Riguardo a “Il Cacciatore” di Michael Cimino moltissimo è stato scritto, pertanto non ho la pretesa di trattare qualcosa di nuovo od insolito riguardo a quello che rimane, a quarant'anni di distanza, un grande film. Mi piace comunque, seguendo la mia personale idea di cinema, sottolineare la forza narrativa dell'opera, che risiede anche, ma forse soprattutto, nella scansione dei capitoli temporali e nel ferreo rigore che sublima, superandolo per certi versi ma allo stesso tempo esaltandolo, la componente maggiormente narrativa del film, così da portare in evidenza la portata romanzesca del racconto stesso.



Il Cacciatore” ha quello che si potrebbe definire un prologo, una presentazione, pare incredibile che sia della durata di un terzo dell'intero film, ma che tale rimane in tutto e per tutto. Con rapidi, potremmo definirli rapinosi movimenti di macchina, fluidi e spesso discendenti dall’alto, l’autore sceglie di costringere lo spettatore ad immergersi completamente in un luogo, in una realtà, che è assolutamente già data, per nulla “spiegata” e che scorre come un flusso continuo sotto i suoi occhi, un flusso che poi continua per l'intera durata, idealmente iniziato prima e finito dopo il film. Esemplare in tal senso è la presentazione dei protagonisti, cinque operai della cittadina di Clairton in Pennsylvania: Michael (Robert De Niro), Nick (Christopher Walken), Steve (John Savage), Stan (John Cazale) e Axel (Chuck Aspegren), colti nell’incipit del film al lavoro nella locale acciaieria. Seguono i caratteri e gli accadimenti che orbitano intorno a loro, ma a cui loro stessi orbitano attorno, in uno scambio di ruoli e funzioni che hanno il pregio di farci vedere tutto, senza bisogno di dialoghi o voci fuori campo che ci illustrino quanto osserviamo, che ci spieghino qualcosa. Il dopo lavoro al bar, la caccia in montagna, i preparativi per il matrimonio ed il matrimonio stesso, dove c'è una delle scene maggiormente significative e bella da vedere, ci raccontano di una realtà e di una serie di personaggi, uomini e donne (tra cui una ancora giovane e relativamente poco conosciuta Meryl Streep).



Ebbene, dopo quello che sembra quasi un film a sé stante, la cui lunghezza (più di un'ora) si rivela poi necessaria nel corso della visione del film e dell'intera narrazione, ancora di più una volta giunti all’epilogo, si passa ai successivi ideali capitoli. Cinque capitoli quindi, che hanno la peculiarità di una durata decrescente e di una contrazione del numero dei personaggi: la città di Clairton con i cinque amici, il Vietnam con solo tre di loro, il rientro a Clairton di Mike (da qui in avanti unico protagonista del film), il suo viaggio in Vietnam per cercare Nick, infine il ritorno a casa. Tutto si contrae progressivamente in Il Cacciatore: il tempo, i personaggi, i loro sogni. 

 

Non procedo oltre, anche solo per questa caratteristica il film dovrebbe essere visto. Poi ci sono i temi della perdita, della sconfitta personale e collettiva, del destino di ogni individuo e di una Nazione, della morte e del dolore, delle radici e dell'identità. Inoltre il film è un romanzo di formazione, di passaggio di età, di scoperta e ricerca di un'appartenenza, un messaggio al pubblico “di casa” ed un invito a quello “di fuori”. Ma sono altre storie, altre questioni, che ogni spettatore, vecchio o nuovo, merita di gustare totalmente.