martedì 30 ottobre 2018

Doctor Strange (2016)



Viene legittimamente da chiedersi perché la Marvel Studios, la Walt Disney Studios Motion Pictures e la Disney Pictures producano e distribuiscano film sui con i supereroi. A parte fare soldi a palate ovviamente, anche grazie al capitolo merchandising.
Dato che non vi scorgo altri fini o risultati, deduco che se ne freghino altamente della qualità dei film e della recitazione dei protagonisti, non siano interessati a presentare storie e sceneggiature, sviluppi delle trame e tipologie dei personaggi anche solo in parte apprezzabili e rispettose di uno spettatore che, superati i 13 anni, risulti dotato di un quoziente intellettivo quantomeno nella media, oltre che di una capacità critica anche solo poco più che di base.


Prendiamo “Doctor Strange” del 2016. Neanche uno dei peggiori, anzi si guadagna onestamente la sufficienza secondo il mio parere. Dalla psichedelia anni 60-70 alla contemporaneità, il personaggio creato da Stan Lee e dal disegnatore Steve Ditko avrebbe parecchio da offrirci, pur essendo, di fatto, un eroe minore nell'universo fumettistico Marvel. Una seconda linea potremmo dire, ma nel cinema, nel progetto degli studi Marvel, persino lo stregone supremo serve. A fare soldi, come detto, ma anche a “tirare la volata” per gli altri film e personaggi.

Ne consegue quindi che il film delude, rivelandosi purtroppo infarcito di situazioni e accadimenti già visti e con dialoghi già sentiti, che dopo due ore di visione sinceramente stancano un po'. L'aver preso una non prima scelta fra i personaggi dei cinecomic poteva essere motivo di merito, ma l'utilizzo fattone e l'operazione nel suo complesso diventano elementi di biasimo. Il tutto si riduce, deve ridursi all'Unum marveliano fatto di infiniti “Avengers” e svariati “Thor” (che non a caso il nostro dottore stregone incontra alla fine del film, dopo i titoli di coda!) per cui non c'è spazio per approfondimenti, variazioni stimolanti, originali digressioni o anche solo qualche efficace e valida libertà drammaturgico-narrativa.



Assistiamo in effetti alla solita trafila, fatta da introduzione dello speciale individuo, tragedia/lutto personale che diviene primo momento chiave, incontro con uomo/donna del destino (secondo momento chiave), a cui segue un addestramento (che sorpresa!!), faccia a faccia con il villain di turno e finale presa di consapevolezza del proprio ruolo (con annessa morte/scomparsa del mentore).
Tutto ben girato, si intende, con milioni di pixel usati a profusione e con maestria, in modo che luci, colori, capovolgimenti spaziali e anche temporali, lotte ed inseguimenti riempiano gli occhi dello spettatore, il cui cervello rimane in stand by per sperare che non si riavvii mai, o almeno il più tardi possibile.


Sceneggiatura e filosofia sono quelle standard della casa di produzione, senza osare, anzi lo script ha la colpa di non concedere adeguato spazio a situazioni e personaggi, troppo velocemente presentati e appena sufficientemente sviluppati, con in più sprecando malamente il “cattivo” affidato al di solito capace e apprezzabile Mads Mikkelsen. Quest'ultimo è uno degli ottimi nomi scelti per i vari ruoli, a riprova che il casting è stato fatto molto con la testa rivolta agli incassi e poco con l'obiettivo di rendere un film "in grande" un grande film. Battute a parte fa gioco scrivere che non è oro tutto quel che luccica, anche se le potenzialità narrative e visive ci sarebbero e qualche passaggio piacevole è presente, ma il gusto che rimane a visione ultimata è quantomeno amarognolo e lascia un vago senso di insoddisfazione.


lunedì 29 ottobre 2018

Citazioni Cinematografiche n.274

Quando devo sparare, la sera prima vado a letto presto. 
(Il Monco/Clint Eastwood in "Per Qualche Dollaro in più", di Sergio Leone - 1965)



sabato 27 ottobre 2018

Giallo, Noir & Thriller/59


Titolo: Quella gelida notte a Stoccolma
Autore: Tove Alsterdal
Traduttore: Lisa Raspanti
Editore: Newton Compton - 2015


Il titolo non tragga in inganno. Non si tratta del “solito” giallo svedese, dell'ennesimo noir nordeuropeo, pubblicazioni che hanno stancato molti. Perché in “Quella gelida notte a Stoccolma” si parte dalla Svezia per arrivare, in un coinvolgente moto centrifugo, in Argentina e Colombia. Nel corso del romanzo si passa dall'odierno agli anni 70, in un serie di salti avanti ed indietro nel tempo fra nordeuropa e sudamerica.

La morte di una giovane donna, troppo frettolosamente archiviata come suicidio, considerata la vita sregolata e segnata da abusi etilici e stravaganze varie della stessa, diviene occasione per una avvincente indagine, condotta dalla sorella minore, architetto e madre di due bambini. Se le caratteristiche che hanno fatto la fortuna e contraddistinto una “via scandinava” al giallo-thriller ci sono tutte, dall'attenzione ed efficace descrizione dei caratteri sia dal punto di vista fisico che psicologico alla soddisfacente narrazione delle scene d’azione, dove tutto viene abilmente descritto e “portato” dal lettore, l'autrice aggiunge altro. Con una scrittura scorrevole, capace di creare suspense e attesa, Tove Alsterdal ci offre più di un thriller, ovvero anche un ottimo lavoro di studio e di ricerca storica, abilmente inserito in una trama noir avvincente e ben costruita. 

 
Dopo le prime pagine in cui il lettore deve necessariamente prendere confidenza con i personaggi e le dettagliate descrizioni dei paesaggi urbani e naturali, ricche di nomi non facilmente memorizzabili, ci si trova a leggere curati dialoghi ricchi di emozione e sentimento che però potrebbero non bastare senza l'azione e la tensione che arrivano dopo un po'. La scelta di approfondire il passato della madre delle due sorelle, misteriosamente scomparsa nel 1978, ci permette di giungere al dramma della dittatura argentina di Videla e sodali. Così si sviluppa un doppio binario di narrazione, un parallelo che ci mostra come sia quaranta anni fa che oggi c'è qualcuno vittima di violenza e crudeltà da parte di chi sostiene di avere una missione da compiere. Combattere l'anelito di libertà presente nell'Argentina post-peronista oppure arricchirsi senza scrupoli. Uno dei meriti del romanzo è comunque riproporre con dovizia di particolari la tensione che attanagliava l’Argentina, il terrore, la privazione delle libertà individuali, il clima di delazione e di violazione dei diritti umani, le sparizioni e le torture che hanno segnato un continente, senza dimenticare di far vivere al lettore la tensione della vicenda, l'adrenalina di un'indagine, le sensazioni di una ricerca che molte sorprese porta ai protagonisti e a chi segue le loro vicissitudini, con una buona dose di colpi di scena ben distribuiti e sapientemente preparati.



In una fredda notte di primavera, Charlie Eriksson si butta da un balcone all’undicesimo piano di un condominio a Stoccolma. Poche ore prima della sua morte, un barbone però l’ha vista fuori da una discoteca, insieme a un uomo dai modi minacciosi. Ma chi potrebbe mai credere alla testimonianza di un senzatetto? Il caso viene archiviato come suicidio, anche perché la vita della giovane donna era segnata dall’abuso di droghe. Ma la sorella Helene vuole davvero capire quello che è successo a Charlie e comincia a dubitare che si sia suicidata. Perché era andata a Buenos Aires quattro settimane prima della sua morte? (da newtoncompton.com)


mercoledì 24 ottobre 2018

Un Brano ed un Artista Jazz #4 - Miles Davis

Ai tempi del bebop, tutti suonavano velocissimi. Ma a me non è mai piaciuto suonare tutte quelle scale su e giù. Ho sempre cercato di suonare le note più importanti di ogni accordo, per sottolinearle. Sentivo gli altri musicisti suonare tutte quelle scale e quelle note, e mai niente che valesse la pena di ricordare.”
(Miles Davis)

Nella seconda parte del 1955 il Miles Davis Quintet, con John Coltrane al sassofono tenore, iniziò una serie di registrazioni destinate a segnare lo stile del jazz anni 50, sia per le formazioni più grandi e composite che per i gruppi più ridotti.
Nello stesso anno, al Newport Jazz Festival, Miles Davis si ripresentò con una sensazionale interpretazione dopo un periodo lontano dalle scene causa la propria tossicodipendenza. In particolare il brillante trombettista scelse di eseguire una ballad di Thelonius Monk, in cui il suo strumento riesce a trasmettere un suono tanto illuminante quanto fresco ed emotivamente potente.
Questo brano diventerà presto negli anni immediatamente successivi sinonimo dello stile di Davis. “'Round Midnight” è stato probabilmente il brano, la principale tra le ballads che ha suonato, a rendere molto intimo il rapporto fra Miles Davis ed il suo strumento, quasi come se la tromba potesse essere suonata così solo da lui, ovvero con un suono limpido, privo di vibrato, pertanto lontano dal bepop, da cui si era allontanato. Questo lo si può ora considerare uno dei primi segni di come nel prosieguo della sua carriera non si sarebbe accontentato di suonare, ma avrebbe cercato di crescere come musicista, cambiando strada ogni volta che avesse sentito la necessità di continuare ad amare e credere in ciò che faceva.



lunedì 22 ottobre 2018

Citazioni Cinematografiche n.273


Jyn Erso: Mio padre ha dato la vita per permetterci di sconfiggere questo orrore!
Dodonna: Questo lo dici tu.
Tynnra Pamlo: Se l'Impero ha questo genere di potenza, che possibilità ci resta?
Jyn Erso: Che possibilità, lei si chiede? Io mi chiedo che scelta! Fuggire, nascondersi, implorare pietà, smobilitare le forze? Piegatevi a un nemico così malvagio e così potente, e condannerete la galassia a un'eternità di sottomissione! Il tempo di combattere è ora. Ogni momento perso è un ulteriore passo verso le ceneri di Jedha!

(Jyn Erso/Felicity Jones, Dodonna/Ian McElhinney e Tynnra Pamlo/Sharon Duncan-Brewster in "Rogue One: A Star Wars Story," di Gareth Edwards - 2016





domenica 21 ottobre 2018

Dampyr #223 - Cuba Libre!

Sono stato “rimproverato” di pubblicare troppi post sulle uscite mensili di Dampyr. Ho replicato al bonario appunto che al massimo sono uno, appunto, al mese, oppure due se è il periodo dello “speciale” annuale (in edicola in questi giorni e che promette bene). Ma forse è solo un invito a dedicare attenzione anche ad altri fumetti e temi. Vedrò di fare tesoro del suggerimento.



Per il momento però impegno qualche riga per il numero dampyriano 223 “Cuba Libre!”.
Probabilmente non è sufficiente far fare ad Harlan Tesla e Kurjak un viaggio ai Caraibi ed inserire in alcune tavole Che Guevara e Fidel Castro per trasmettere al lettore un ambiente ed una condizione sociale ed ambientale. Se però i disegni di Dario Diotti sono ricchi di particolari, densi nei dettagli senza perderne in chiarezza e pulizia, allora la questione si fa interessante. La sua resa degli scorci de L'Havana è emozionante, la cura nella rappresentazione degli ambienti naturali e nelle fisionomie dei personaggi storici è tra le migliori nella serie. 


Ancora migliore è il risultato quando la sceneggiatura di Luigi Mignacco, dopo una non banale e anche utile premessa storica, offre un nuovo antagonista per Harlan e soci, non dimenticandosi di attingere a piene mani dalle tradizioni cubane, fatte di musica creola, santeria, credenze cultutrali e politico-sociali, mescolanze di eventi storici e leggende.


Il nuovo Maestro della Notte, Huracàn, non gode di un adeguato approfondimento, tale da rivelarne per il momento precise caratteristiche, strategie ed obiettivi, forse penalizzato dalla scelta narrativa di optare per uno sviluppo tutto sommato lineare della trama e degli eventi, ma poiché è stato solo temporaneamente sconfitto dai nostri eroi, possiamo legittimamente aspettarci che tornerà ad incrociare i loro destini.

Non un albo memorabile, ma testimone della buona qualità, del costantemente apprezzabile livello della serie, che perciò continua a piacermi e donarmi buoni momenti di lettura e di riflessione.




Quando i conquistadores raggiunsero l’isola, ancora prima che si chiamasse Cuba, trovarono un misterioso e antico padrone, venerato come il dio uragano dagli indigeni. Da allora questo potente Maestro delle Tenebre comanda nell’ombra e, sia i rivoluzionari di Ernesto “Che” Guevara, che il Dampyr e i suoi pards devono fare i conti con la furia di Huracán! (da sergiobonelli.it)

giovedì 18 ottobre 2018

Portami a casa

Tony Leung e Faye Wong in "Hong Kong Express" di Wong Kar-wai - 1994

Take me home, you silly boy
Put your arms around me
Take me home, you silly boy
All the world's not round without you



I'm so sorry that I broke your heart
Please don't leave my side
Take me home, you silly boy
Cause I'm still in love with you

martedì 16 ottobre 2018

Arte e Politica in "Repliche Umane" - Nathan Never #328



Qualche settimana fa ho consigliato la lettura dell'albo numero 327 di Nathan Never. Il Poeta” era la prima parte di una storia che si è conclusa a settembre, con il numero 328, “Repliche Umane”.

Se ero rimasto entusiasta ed emozionato dalla prima parte, che nel gioco di citazioni e rimandi mi catturava e mi faceva ben sperare nella conclusione, devo ammettere di essere rimasto parzialmente deluso nel concludere la lettura della storia. Questo almeno in un primo momento. Appena finito di leggere sembra che sceneggiatura e dialoghi siano “solo” la riproposizione di Blade Runner, omaggiato in diverse tavole e persino nelle posture dei protagonisti, Nathan per primo ma non solo. Poi ci si ferma a riflettere e si comprende come le emozioni siano di due tipi e giochino su due distinti livelli.


L'emozione di ri-leggere e ri-vedere i capolavori di Philip K. Dick e Ridley Scott è impagabile, persino lungo il sottile confine che divide l'omaggio dal plagio. Parola sicuramente eccessiva ed ingenerosa quest'ultima, nel caso della storia scritta da Bepi Vigna ed efficacemente disegnata da Romeo Toffanetti, ma la sensazione è quantomeno di avere tra le mani un'occasione mancata. Forse ad una parte di lettori è comunque servita per stimolarli a vedere (o rivedere) Harrison Ford cacciatore di replicanti, leggere (o rileggere) “Ma gli androidi sognano pecore elettriche” di Dick. Questo sarebbe un bel risultato, ma rimane una certa dose di amarezza. Amarezza che a mio parere può essere ridimensionata, forse anche sostituita, dalla consapevolezza (il secondo livello a cui accennavo) che Vigna e Toffanetti ci hanno regalato una gran bella storia, mescolando thriller, giallo d'indagine, fantascienza, cinema, letteratura, mistero e arte.

Proprio sull'ultimo concetto vorrei soffermarmi. I due albi compongono una brillante e niente affatto banale riflessione sull'Arte e sulla sua creazione e fruibilità, sul concetto stesso di cosa sia Arte, di come venga prodotta e sui meccanismi e strategie che stanno dietro ad un processo creativo, all'intuizione ed al lavoro di un artista. Ragione per cui, per così dire scrollatosi di dosso “Blade Runner”, si colgono altri elementi, felici approfondimenti e suggerimenti di riflessione che utilizzano la citazione ed il rimando, anche visivo, per invitare il lettore all'emozione ed al ragionamento. 

 
La lunga storia è preziosa, può senza dubbio esserla, sia per un lettore di vecchia data che per uno più giovane, infarcita com'è di domande, bivi intellettuali e tentativi di mettere alla prova i neuroni di chi legge. Non c'è solo un intento pedagogico, non mi è sembrato l'unico, ma bensì anche la voglia da parte di autore e disegnatore di dialogare con il lettore e condurlo su un terreno tanto fertile ed entusiasmante quanto difficile ed impervio. Ragionare e discutere di Arte e sull'Arte può essere un antidoto efficace alla grettezza ed al buio intellettuale che la nostra epoca ci propone, riflettere e parlare di temi quali libertà individuale, democrazia liberale, talento, espressione di sé e relazione fra esseri potrebbe aiutarci a diffidare di chi vuole farci credere che ci siano soluzioni semplici a problemi complessi, potrebbe stimolarci ad opporci a chi campa sulle nostre paure e sulla nostra ignoranza.

Nathan scopre che la Bolton Company, l’agenzia che gestisce tutti i diritti delle opere del grande artista Joe Vengeance, in passato ha fatto affari con la Greyjoy Corporation, una grande industria biocybernetica, coinvolta in un’indagine che riguardava la realizzazione di perfette repliche umane. C’è qualcuno che non vuole che si scopra il velo che cela alcuni aspetti del passato dell’artista. La vita di Vengeance è stata davvero quella che tutti conoscono? Che ruolo svolge Rachel, la misteriosa assistente del poeta? Che cosa si nasconde dietro la sigla TWK? Per rispondere a queste domande, Nathan dovrà indagare sui misteriosi percorsi che regolano i processi creativi delle opere d’arte. (da sergiobonelli.it)



lunedì 15 ottobre 2018

Citazioni Cinematografiche n.272

Marcello: Fammi venire più spesso qui da te.
Steiner: Te l'ho detto, vieni quando vuoi. Cosa c'è, Marcello?
Marcello: Dovrei cambiare ambiente! Dovrei cambiare tante cose! La tua casa è un vero rifugio, sai? I tuoi figli, tua moglie, i tuoi libri, i tuoi amici straordinari... Io sto perdendo i miei giorni, non combinerò più niente! Una volta avevo delle ambizioni ma forse sto perdendo tutto, dimenticando tutto.
Steiner: Non credere che la salvezza sia chiudersi in casa. Non fare come me, Marcello! Io sono troppo serio per essere un dilettante, ma non abbastanza per diventare un professionista. Ecco, è meglio la vita più miserabile, credimi, che l'esistenza protetta da una società organizzata in cui tutto sia previsto, tutto perfetto. Marcello, io posso soltanto esserti amico e quindi mi è impossibile consigliarti.

(Marcello Rubini/Marcello Mastroianni e Steiner/Alain Cuny in “La Dolce Vita”, di Federico Fellini - 1960)



venerdì 12 ottobre 2018

Sette volte Batman!


Dopo più di cinque anni dal post “Torna a casa Batman!” mi rimetto a scrivere riguardo ai film con protagonista (ma non del tutto in alcuni casi) l'eroe di Gotham City. Lo faccio stimolato da una recente chiacchierata, nel corso della quale mi sono ritrovato ad esprimere in modo sintetico e diretto le mie impressioni sulle opere cinematografiche ispirate al personaggio creato da Bob Kane.

Tralascio il film anni 60, che in pratica era un episodio lungo della serie televisiva coeva, comunque bella e divertente, e l'ultimo film del 2016 in cui Batman si scontra con Superman. In pratica sono sette film, quindi via alle parole ed ai voti!


Batman, regia di Tim Burton – 1989
Nulla a che fare, nel bene e nel meno bene, con il fumetto DC Comics e con la serie televisiva già citata. L'ancora geniale e sorprendente Tim Burton propone la sua visione e la sua idea di cinematografia e di arte scenografica, che esaltano la bravura di Jack Nicholson ed il talento di Michael Keaton, che recita splendidamente con gli occhi una volta indossata la maschera del nostro paladino, ma che poco possono fare per limitare i danni ascrivibili a Kim Basinger. Quando il gotico, la tecnica e la passione recitativa si incontrano per riuscire a mettere in secondo piano le banalità e le convenzioni tipiche del cinema da incasso.
Voto: 7+



Batman – Il Ritorno, regia di Tim Burton – 1992
Quello con Pinguino, impersonato da Danny DeVito, che insieme a Michelle Pfeiffer, Christopher Walken ed a Michael Keaton forma un cast efficace e godibile. Tim Burton, ancora più creativo del precedente film, reinventa i personaggi del fumetto per creare una accattivante narrazione, nella quale forse manca un po' il ritmo, ma in cui trovate spettacolari e sequenze visive fanno divertire il pubblico. Una curiosità: il fiato di condensa degli attori (una trovata visiva importante e che funziona alla grande) è del tutto vero. Infatti Burton fece recitare gli attori in teatri ed ambienti alla temperatura di 4° centigradi.
Voto: 7,5



Batman Forever, regia di Joel Schumacher – 1995
Con questo film si chiude la “prima” trilogia. Purtroppo non si chiude al meglio, anzi si chiude decisamente peggiorando il livello generale. Intendiamoci, dei tre è praticamente l'unico fedele ai personaggi ed ai temi del fumetto originale, ma le buone notizie finiscono qui. Gli attori sono uno peggio degli altri, si salva solo Val Kilmer nella parte di Batman. Per il resto Jim Carrey comincia a diventare appena sopportabile, mentre Tommy Lee Jones e Nicole Kidman sono indifendibili. Azione, sequenze mozzafiato, effetti speciali e situazioni divertenti la fanno da padrone, ma si perde il gusto di vedere il film, che ha due imperdonabili colpe. Ovvero introduce Robin, per lo sfacelo dell'opera successiva, e si comincia a porre attenzione all'infanzia ed all'origine dei traumi e relative ossessioni di Bruce Wayne, che anni dopo diverrà pane per Christopher Nolan.
Voto: 6




Batman & Robin, regia di Joel Schumacher – 1997
Si cambia di nuovo Batman. Questa volta ad impersonare l'uomo pipistrello viene chiamato George “dottor Ross” Clooney. Almeno a livello di immagine la curiosità è stata destata, ma il tutto poi di fatto gira attorno al “villain” di gran peso che è Arnold Schwarzenegger. Insomma il cattivo si prende la scena e oscura l'eroe, anche soprattutto perché mal supportato dal compagno Robin. Nel complesso ci si potrebbe anche divertire, dal momento che effetti speciali e scenografie di livello non mancano, ma quello che invece risultano carenti sono la sceneggiatura e la recitazione, che tocca livelli a dir poco irritanti.
Voto: 5,5



Batman Begins, regia di Christoher Nolan – 2005
Da questo film inizia la trilogia di Nolan, impegnato a rifondare e stravolgere un personaggio, a ridefinire un carattere su toni dark e claustrofobici, senza lesinare in merito ad arbitrarietà e licenze dettate da una personalissima e opinabile visione, peraltro lucidamente programmata. Sulla scorta della sua idea di cinema e di visione delle umane vicende, il regista britannico ci offre un prequel sull'infanzia dell'eroe ed un ritiro in Tibet che dovrebbe rigenerare il problematico e complessato miliardario psicopatico. Miliardario che, una volta tornato a Gotham, sarebbe pronto a lottare contro le forze del male che prendono d'assedio la città, oltre che le sue di lui proprietà e la relativa famiglia, o almeno quel che ne rimane. Si badi bene, non si tratta di vendetta, come viene ripetuto per quasi tutte le due ore del film, ma di un uomo che ha subito un trauma che decide e tenta di incanalare le proprie paure (pipistrelli in primis) in modo da rifletterle sul nemico così da costringerlo ad una “resa coscienziosa” di fronte all'uomo pipistrello. Non vi sembra di assistere al comportamento USA di fronte ad Afghanistan ed Iraq sotto le presidenze Bush junior?
Psicanalisi da cappuccino, buio oltre ogni sopportazione ed addirittura Katie Holmes che dopo “Dawson Creek” deve ammorbare anche gli appassionati di supereroi. Nolan esce fuori, allo scoperto, con la sua visione destrorsa, nell'inquietante allusione al rapporto tra disagio della povertà e delinquenza (Bruce che sceglie di fare il vagabondo e poi il ladro) in un assioma tipicamente capitalistico, nel descrivere la formazione morale/delinquenziale di Bruce Wayne.
Oltre la dedizione e la professionalità di Christian Bale, di buono c'è che tutto cerca di richiamare e ricordare i fasti del cinema del passato, ispirandosi alla grande letteratura cinematografica ed ai suoi più illustri personaggi, ma poi la caratterizzazione non è completa, si sente la mancanza di una definita personalizzazione dei caratteri e delle situazioni, che non risaltano e risultano insufficienti a catturare veramente lo spettatore. Smarrita la vena fantasy del personaggio, ci si butta su temi personali, sul vissuto profondo di un uomo e su questioni socio-politiche poco più che accennate, sfilacciando il racconto e la narrazione.
Voto: 6- (l'impatto visivo è innegabile e gli consente di raggiungere la sufficienza, sebbene a stento)


Il Cavaliere Oscuro, di Christopher Nolan – 2008
Quello che mancava nell'opera precedente qui c'è. Ed anche al meglio, o comunque al meglio possibile. Il regista, non riuscendo ad abbandonare sue ossessioni e temi feticcio, riesce a metterli al servizio di Batman e degli altri personaggi, che poi, facendo un bilancio finale, gli rubano la scena. Tale elemento ci fa capire che se consideriamo questo un film sull'eroe rimaniamo delusi, ma se invece lo guardiamo come quello che di fatto è, ovvero un'opera su Joker, allora ci divertiamo e si può applaudire il risultato. Se ci affranchiamo dalla sensazione (fondata) di trovarsi di fronte per le migliori scene ad un remake non dichiarato di “Ispettore Callaghan: Il Caso Scorpio è Tuo” (1971, diretto da Don Siegel), ci gustiamo probabilmente il migliore dei tre Batman di Nolan. 


Atmosfere dark, notturne con un proprio senso e non arbitrariamente utilizzate, ambientazione realista e recitazione super del Joker di Heath Ledger ci permettono di abbassare le difese e limitare l'ostilità nei confronti di Nolan. Allora si capisce la grandiosità di quest'opera, adatta al grande pubblico ma qualitativamente notevole, con toni da tragedia greca. Anche se alla lunga, poiché due ore e mezzo di inseguimenti, tensione e sparatorie sono troppe, Bale cede notevolmente e la narrazione si sfilaccia un po', lo spettatore grazie al miglior Joker fin qui visto, non demorde e arriva in fondo con buone sensazioni e un certo gusto.
Poiché, in tutto e per tutto, il film è lui, l'uomo che ride di rabbia di fronte al paladino del Bene, che sottovaluta colui che compete per essergli ancora più che nemesi e non semplice nemico. Oltre il fumetto, oltre il mainstream, verso la qualità che si avvicina all'arte, al prezzo di mettere in disparte Batman, probabilmente personaggio troppo distante e difficile per Nolan. Tutti i personaggi si trovano invischiati in un ruolo, in una posizione che più o meno volontariamente si sono imposti, fatta di segreti, bugie e varie pavidità, in modo tale che risultano schiavi e sottomessi al caso o alla sorte, come si vuole. L'unico ad essere immune a ciò, a sottrarvisi, è il cattivo, pressoché per eccellenza, data la sublime caratterizzazione esaltata da una grande interpretazione. Joker esce dalle gabbie e dai limiti di una scrittura piatta e si libera dell’aura di maledettismo e di lunatica crudeltà che da sempre accompagna il personaggio. Ci rivela il vero aspetto di questa maschera clownesca e raccapricciante: non agisce per chiari tornaconti personali, non cerca denaro, posizioni di potere o altri benefit, ma fedele alla sua essenza anarcoide ed inafferrabile individualistica visione, mette in atto e raggiunge una funzione tragica e terrificante: costringere a scelte difficili chi gli si pone di traverso, travolgere e stravolgere le personali morali di questi mettendone in mostra le debolezze e le meschinità che vorrebbero nascondere.
Voto: 8+ 

 

Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno, di Christopher Nolan – 2012
Controverso il giudizio sull'ultimo capitolo della trilogia Nolaniana. Non sono un estimatore di Nolan, tutt'altro, ma mi riconosco almeno l'onestà di ammettere eventuali miei errori e di lodarne le opere quando la qualità risulti evidente e l'arte sia in grado di avere la meglio su furbizie tecnico-visive e personalissime visioni del regista. Purtroppo, a mio parere questo non è il caso. Bale/Batman ha ampiamente stufato, il cattivo lo supera anche, paradossalmente, in simpatia oltre che sul piano della caratterizzazione e della drammatizzazione. Film troppo lungo, che si inceppa nella parte centrale per circa un'ora, lasciando l'incipit e la fine come unici momenti da ricordare. Non è propriamente un film d'azione, non è un film d'avventura, tantomeno un fantasy. Forse un film di guerra urbana, esagerato e poco credibile, con una componente reazionaria che disturba. Ma forse è proprio Batman ad essere reazionario, d'altronde deve difendere lo status quo, l'attuale situazione da chi la minaccia, quindi non può, proprio lui, essere un rivoluzionario. Merito (colpa?) di Nolan, l'unico finora ad essere riuscito a rifare film con Batman che meritino di essere analizzati, o quantomeno visti. Dico film con Batman, perché non su Batman, giacché i momenti cinematograficamente, narrativamente e visivamente migliori sono quelli in cui lui non c'è. Per carità, molto meglio di altri film su altri supereroi, che non riescono a raggiungere non dico buoni voti, ma quantomeno la decenza. Invece in quest'opera, come nelle due precedenti, il non troppo simpatico Nolan riesce a filmare una “macchina da soldi” senza abbandonare del tutto il Cinema e la sua composita e multiforme essenza.
Voto: 6,5 

 

mercoledì 10 ottobre 2018

Un Brano ed un Artista Jazz #3 - Charlie Parker


Quando ero adolescente e per diversi anni a seguire il volto di Forest Whitaker in “Bird”, il film di Clint Eastwood, era quello di Charlie Parker. Quel collage di scene dalla vita di Parker mi rimase dentro a lungo, per l'interpretazione del protagonista e per la musica che lo accompagnava. Un passaggio fondamentale della non lunga vita e carriera artistica di Charlie Parker avviene alla fine degli anni quaranta, quando decide di unire il vigore del bepop alle atmosfere sognanti e romantiche tipiche di un'orchestra.

Ebbe l'intuizione di far dialogare il suo sax alto con suoni più morbidi e compositi, operazione di dubbia riuscita e su cui incombevano critiche e aperte ostilità, persino da parte dei colleghi ed amici. Ma Charlie Parker, da conoscitore ed amante di Béla Bartók, Arnold Schoenberg e Igor Stravinsky, nonché dei suoni distintivi della musica da camera, mostrò la sua arte e la voglia di andare oltre i confini della musica jazz. Oltrepassò gli allora angusti spazi definiti per il suo strumento, per la sua musica e ne reinventò morfologia e sintassi, di fatto rendendo la strada un po' più aperta e libera per chi venne dopo.
Provate ad ascoltare Laura per credere. 


 

lunedì 8 ottobre 2018

Citazioni Cinematografiche n.271

Voglio solo dire a tutti voi che stasera sono particolarmente felice di essere qui. Molte persone mi hanno detto che non avrei più potuto combattere, ma non so fare altro. Se vivi sempre al massimo e spingi al massimo e bruci la candela dai due lati ne paghi il prezzo prima o poi. Sapete, nella vita si può perdere tutto ciò che si ama e tutti quelli che ci amano. Infatti non ci sento più come una volta, dimentico le cose, e non sono bello come un tempo. Però, maledizione, sono ancora qui, e sono "The Ram". È vero, il tempo è passato, il tempo è passato e hanno cominciato a dire "È finito, non ha futuro, è un perdente, non ce la fa più". Ma sapete che vi dico? Gli unici che potranno dirmi quando non sarò più all'altezza siete tutti voi. È per tutti voi, è per tutti voi che vale la pena di continuare a combattere perché siete la mia famiglia. Vi amo tutti! Grazie infinite. 
(Robin Ramzinski/Randy 'The Ram' Robinson/Mickey Rourke in "The Wrestler", di Darren Aronofsky - 2008)





domenica 7 ottobre 2018