giovedì 30 aprile 2020

Porco Rosso, molto più che "carino"


Da qualche settimana pressoché tutti i titoli dello Studio Ghibli sono a disposizione su Netflix.
Questo ha permesso anche a chi non aveva mai visto alcune produzioni su DVD oppure al cinema di poter godere di meravigliosi film ed emozionanti storie. Qualcuno anche solo per semplice curiosità si è avvicinato a questi, magari sperando di comprendere le ragioni di tanto successo e di tante lodi. Tempo fa avevo parlato de “Il mio vicino Totoro”, anche con l'idea di poter aiutare chi ancora conservava una certa freddezza nei confronti di quello che non è difficile definire un titolo “fondamentale” del Cinema d'Animazione (se non del Cinema tout court).

Ora, prendendo a pretesto le parole rivoltemi settimane fa, da chi lo definiva “abbastanza carino” e sosteneva “pensavo di meglio”, riporto le mie considerazioni su “Porco Rosso”.
Vado dritto al punto: “Porco Rosso” è splendido!
Tra le innumerevoli motivazioni che posso portare a sostegno di questa mia esclamazione, ne scelgo tre: La Scrittura, Il Messaggio, L'Omaggio all'Italia.

La Scrittura
Favola per adulti con un certo gusto rétro, con tratti nostalgici per qualcosa che forse si è perso per sempre, il film poggia e si sviluppa su una scrittura solida ed immediatamente affascinante. Come in molte altre pellicole firmate da Miyazaki, la trama è semplice e lineare ma ben strutturata ed avvincente, in fondo elementare, ma in cui non mancano azione, avventura, ironia e magia. Un susseguirsi avvincente ed emozionante di duelli, inseguimenti e scazzottate, a cui si aggiunge il romanticismo che pervade l'intero film. Romanticismo nel senso più letterale, ovvero unione fra mente umana e mondo fisico, base per un fenomenale processo creativo. Inoltre il protagonista, Marco Pagot, è senza dubbio un chiaro esempio di eroe romantico, connotato da audacia e coraggio, così come da intuito ed istinto, ma anche solitario e vittima di se stesso, del proprio esilio volontario e del non riuscire a conseguire pienamente i propri obiettivi.
È qui che la scrittura, nella stesura del personaggio, raggiunge alti livelli in campo cinematografico. Marco, l'aviatore, è vittima di un sortilegio, una maledizione che gli ha fatto assumere le sembianze di un maiale. Non sappiamo quando è accaduto, né perché e chi ne sia l'autore, ma lo spettatore lo incontra a cose fatte, senza bisogno di “spiegoni” o flashback di sorta. È un gran bel personaggio, che rimanda a quei capolavori hollywoodiani di tanti anni fa. Un Humphrey Bogart in impermeabile e con la faccia triste, un John Wayne pronto a fare a pugni “alla vecchia maniera”, che lo spettatore prende subito in simpatia, facendosene conquistare dopo pochi fotogrammi. Un solitario che colpisce e lascia il segno, senza tante parole (solo quelle giuste al momento giusto) e con i fatti, di quelli che devono il loro fascino come anche la loro credibilità narrativa al fatto di non esplicitare la spiegazione causale che li muove e che aziona l’intreccio. Un protagonista shakespeariano, dal momento che dalle opere de “il Bardo di Avon” la sceneggiatura prende la scelta di portarci il suo carattere così com'è, senza che nel plot narrativo vi sia necessariamente un elemento esplicativo chiave. Chi ha scritto il film ha volutamente occultato il principio logico od etico, la motivazione che segna il via e spiega il dipanarsi dell’azione. Shakespeare adottava quello che allora era un nuovo principio (tuttora efficacissimo), che consisteva non tanto nella costruzione di un mistero da svelare, ma nella creazione di un’opacità strategica, una indeterminatezza da accogliere e che fungeva da base per la storia ed i protagonisti.
Porco Rosso funziona soprattutto grazie a questo: sappiamo che è uno dei buoni della storia, ma non sappiamo esattamente cosa lo muova, cosa lo avvicini e allontani da Gina che di lui è innamorata; sappiamo che è antifascista, ma non vi è alcuna teorizzazione del perché lo sia, è antifascista e basta, forse per istinto, come John Belushi in The Blues Brothers diceva I li odio i nazisti dell’Illinois”, così Porco Rosso, lapidariamente afferma “Piuttosto che diventare un fascista meglio essere un maiale”; intuiamo che ha un passato doloroso e terribile, ma non ci sono passaggi leziosi ad appesantire il ritmo e la narrazione, lo prendiamo così come ci viene proposto e nella sua opacità, senza bisogno di spiegazioni o integrazioni.

Il Messaggio
Al di là della simbologia legata al maiale, che presenta diverse chiavi di lettura, ovvero la degradazione dell'uomo a contatto con gli orrori della guerra, oppure la vergogna di Marco per essere l'unico sopravvissuto alla battaglia aerea in cui sono morti tutti i suoi compagni, o ancora un tipico insulto da parte dei fascisti, rimane evidente come “Porco Rosso” sia il film più politico di Miyazaki.
In altre opere c'è il chiaro messaggio ecologista, il pacifismo, la condanna della guerra e delle armi, l'avvicinarsi a tematiche emancipatorie quando non propriamente femministe, ma solo in questo film (finora) ritroviamo una evidente posizione politica. Una presa di posizione nei confronti di un regime, quello fascista italiano, sostenuta anche dalla descrizione accurata di alcune delle conseguenze sociali della politica adottata durante quel cupo e tragico ventennio. Qualcosa di simile ad una denuncia, che però non diviene mera e contrapposta ideologia, in quanto non viene apparentemente formulato un modello alternativo all'oggetto della critica. Sembrerebbe che l'avversione del protagonista (alter ego del regista?) nei confronti del fascismo sia legata alla sua idea di libertà, alla sua voglia di volare, senza alcun vincolo e senza dover sottostare agli obblighi di un regime che vorrebbe uniformarlo alla massa. Una posizione anarcoide, che risponde non a dettami o regole imposte, ma che rende conto solo alla propria etica ed al proprio senso morale, quasi una legge interiore che rispetti il proprio e l'altrui. Un messaggio ed una visione generale che impregni il proprio essere ed i conseguenti comportamenti e scelte, che sembra concretizzarsi nel finale dell'opera, che non racconta in maniera esplicita il destino di Marco Pagot dopo gli eventi narrati, ma che lascia presupporre che il protagonista abbia fatto perdere le proprie tracce per seguire una visione, una condizione, di libertà e di autonomia.

L'Omaggio all'Italia
Il film è probabilmente uno degli omaggi più sentiti e più belli dell'animazione giapponese alla storia e alle bellezze del nostro Paese. Un amore che traspare in ogni inquadratura, in ogni singolo fotogramma e in ogni dettaglio di “Porco Rosso”, e che dovrebbe renderci fieri di ciò, o quantomeno grati di tanto amore e attenzione.
L'ambientazione è l'Italia degli anni '20, in pieno periodo fascista, fra l'Istria e Milano. Il rifugio del protagonista è un isolotto sperduto nel Mar Adriatico vicino alla costa croata, uno scenario che si può desumere abbastanza facilmente dalla narrazione stessa e da una cartina, impugnata ad un certo punto da Marco Pagot, dove figurano nomi di isole e città della zona realmente esistenti. Una location ricorrente del film è l'Hotel Adriano. Nonostante l'assenza di riferimenti espliciti, è possibile riconoscere l'Isolino di San Giovanni nel Lago Maggiore come fonte di ispirazione primaria per questa ambientazione. Per quanto riguarda gli scenari milanesi, la fanno da padrone i Navigli, presenti nel film, visti come ampi canali dove gli idrovolanti potevano planare e decollare a piacimento. Poco importa se questo non era e non è tuttora possibile, tutto rientra nell'omaggio a cui si faceva riferimento, per cui “l'idealizzazione” del contesto rientra nel risultato. Inoltre l'ulteriore omaggio di Miyazaki alla nostra Italia si può notare anche nella rappresentazione accuratissima e dettagliata di tutti gli aerei presenti nel film, molti dei quali corrispondenti a modelli realmente esistiti. Infine il nome del protagonista, Marco Pagot, è un altro chiaro omaggio del regista ai fratelli Nino e Toni Pagot, famosi fumettisti e animatori italiani, creatori del personaggio di Calimero, che collaborarono con Miyazaki stesso alla creazione della serie animata Il Fiuto di Sherlock Holmes (trasmessa con poca fortuna dalla Rai più di 30 anni fa).



martedì 28 aprile 2020

lunedì 27 aprile 2020

Citazioni Cinematografiche n.352

Non posso essere un mago... Voglio dire, sono solo Harry... Solo Harry! 
(Harry Potter/Daniel Radcliffe in "Harry Potter e la Pietra Filosofale", di Chris Columbus - 2001)





domenica 26 aprile 2020

Samuel Stern #5 - La fine della coscienza

Sono dell'idea che 5 albi siano ancora pochi per potersi esprimere compiutamente su una serie a fumetti. D'altra parte, dopo il quinto episodio “La fine della coscienza”, ritengo si possa provare a declinare qualche considerazione su Samuel Stern, per poi allargare un po' il discorso, anche senza pretendere di essere particolarmente illuminanti o definitivi.
Ebbene, la prima questione che mi sento di esporre riguarda il “posto” che la nuova serie Bugs Comics potrebbe andare ad occupare in edicola. Mero clone delle produzioni Bonelli? Tentativo di “emulare” storici personaggi che da più di trent'anni si fanno leggere? Punto di partenza per crearsi una sua dimensione ed affermare le proprie caratteristiche, artistiche, di contenuto o altre ancora? Tentativo di proporre una propria produzione ed una propria visione all'interno di un genere e/o di un canale?

Credo si possa notare come utilizzando canoni e stili generali già affermati, quali il formato, la “gabbia” e quel grado di leggibilità necessario e probabilmente indispensabile per un fumetto da edicola, Samuel Stern stia cercando di farsi acquistare. Ovvero crearsi un pubblico, non esclusivo, da condividere con le produzioni più affermate e conosciute, che sono, per il momento e forse ancora a lungo, in capo alla Bonelli. Pertanto si parte da lì, si accetta e si rispetta il “classico” per poi, magari, andare avanti tentando di offrire il “proprio”. Un tentativo di sovrapporre a quanto già fatto (a buoni livelli) da altri a livello di azione e genere, una connotazione più personale, sul piano artistico, di immagine, di contenuto e forse anche sul piano empatico, limitatamente al medium in oggetto, per ora.

Forse coltivo ingenuamente questa personale speranza, che è possibile venga nei prossimi mesi delusa, ma la ritengo motivata da almeno due delle uscite. Quella del mese precedente, di cui ho parlato, e l'ultima. “La fine della coscienza” è l'albo che meno mi è piaciuto finora, ma è fra quelli che meglio ci ha mostrato l'impegno di interpretare la gabbia bonelliana, adattandola ad una testata che legittimamente desidera il proprio spazio ed un proprio percorso. Nonostante i layout restino debitori dell’impostazione tradizionale a sei vignette per tavola/pagina, i disegnatori dei cinque albi di Samuel Stern finora pubblicati presentano un’interpretazione almeno in parte autonoma benché discontinua, in cui si notano soluzioni simili a quelle del fumetto americano. A pagine debitrici dell’impostazione delle due vignette giustapposte in una striscia (3 per 2 quindi), la serie di Bugs Comics affianca tavole a sviluppo verticale, qualche splash page e libertà anche nello sviluppo orizzontale e delle linee. Vedremo nelle prossime occasioni se si oserà qualcosa di più e se magari verrà concessa maggiore libertà espressiva sotto l'aspetto espositivo e del tratto. A livello drammaturgico qualcosa si nota, ma rimane prematuro esporsi.

La considerazione generale, al di là del singolo episodio, l'ultimo, che si risolve in un fin troppo classico “hospital drama” con scene horror, è che la parentela con le serie Bonelli sia tutto sommato “fisiologica”, oserei dire inevitabile, soprattutto negli episodi iniziali di una serie da edicola e nell’allestimento e proposizione del mondo narrativo ideato. La sfida risiederebbe nel partire da lì, il più efficacemente possibile mantenere l'impianto di base affermatosi negli anni, con la leggibilità elemento fondamentale, per poi scegliere di distaccarsene progressivamente, valorizzando alcune novità (grafiche, narrative, tematiche, drammaturgiche, etc.) che suggeriscano al lettore una certa differenza, da cui trarre il piacere di leggere qualcosa di “diverso”.



sabato 25 aprile 2020

25 Aprile - Una parte giusta ed una sbagliata

"Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buonafede, più idealista, c'erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l'Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c'era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, chè di queste non ce ne sono."
(Italo Calvino - scrittore e partigiano)




venerdì 24 aprile 2020

Sul Cinema, 5 di 10

La televisione crea l'oblio, il cinema ha sempre creato dei ricordi”
(Jean-Luc Godard) 

 

mercoledì 22 aprile 2020

Giallo, Noir & Thriller/76

Titolo: Il Corpo di Ghiaccio
Autore: Kjell Ola Dahl
Traduttore: Giovanna Paterniti
Editore: Marsilio – 2014

Il romanzo, che scrivo subito mi ha conquistato, vede protagonista non tanto il già conosciuto Gunnarstranda, tantomeno Frølich che al momento risulta sospeso e fuori dai giochi in seguito a quanto accaduto in “False Apparenze”, bensì Lena Stigersand.
Proprio il suo personaggio, il nuovo ispettore che affianca Gunnarstranda nelle indagine raccontate, è a mio parere uno dei punti forti de “Il Corpo di Ghiaccio”.

Dopo una classica, ma sempre avvincente ed in questo caso indovinata apertura, ovvero l’inseguimento di una donna che cerca di sfuggire a chi la vuole uccidere confondendosi, prima tra la folla, e poi nelle gallerie della metropolitana di Oslo, il lettore non può fare a meno di fidarsi di Dahl, che lo conduce, pagina dopo pagina, in una doppia indagine, due omicidi i cui punti di contatto si fanno via via più evidenti.
Si diceva di Lena, appunto. Ebbene il suo è un personaggio femminile che non presenta elementi eroici o di straordinarietà. Anzi, è molto ordinaria e non esente da incertezze e timori, dubbi e moti dell'animo che le rendono più complicato vivere. Amante dello sci di fondo e del vino bianco, risulta schiacciata dal senso del dovere, una “classica” brava ragazza che vuole svolgere bene il proprio lavoro, che però si lascia coinvolgere da dinamiche avventurose che, probabilmente, un minimo di buon senso basterebbe ad allontanare.
L'autore ce la rende simpatica e alla fine si partecipa alle sue indagini, alle sue giornate, ricche di guai e pericoli non solo nelle strade di Oslo, ma persino all'interno delle mura domestiche. In questo modo, dopo le prime pagine a cui si accennava, il romanzo procede ad un buon ritmo, a volte accelerando altre rallentando un minimo, e continua a svilupparsi in modo sicuro e convincente. Gli eventi, le indagini, le opportune descrizioni (mai pedanti o noiose), tutti i personaggi hanno un proprio spazio, un loro ruolo, una loro ragione d'essere. La lettura è avvincente, anche grazie a questa cura, che fa sì che Dahl trovi la giusta misura, fra azione, pathos, adrenalina, gusto del dettaglio e caratterizzazione dei personaggi e delle situazioni.

Nel corso della lettura ci si districa fra segreti, complotti, interessi legati al mondo della Finanza, in particolare al petrolio norvegese, questioni politiche, intrighi, ambizione e manipolazione della verità che si mescolano insieme in questo romanzo che, come detto, sceglie di ruotare intorno ad una non banale figura femminile. Una donna ordinaria per certi versi, con i propri principi e le proprie angosce, che si ritroverà ad essere in pericolo in un “gioco più grande di lei”. Screditata in campo professionale, messa alla prova nella vita privata, ma che, scoprendo di essere meno sola di quanto pensi, riuscirà ad alzare la testa, scendere a patti con i propri i errori e debolezze e mettere in campo intelligenza ed integrità, per riuscire così a portare a termine l'incarico affidatole.

Personalmente una conferma delle capacità e del valore di Kjell Ola Dahl, uno degli autori di gialli nordici che preferisco, anzi forse non solo di quelli ambientati vicino al Circolo Polare Artico.

Mancano poche settimane a Natale, quando una donna cerca di fuggire a un misterioso inseguitore, infilandosi nelle gallerie della metropolitana di una Oslo buia e fredda. Quello stesso giorno, dalle gelide acque del porto viene ripescato il corpo senza vita di Sveinung Adeler, giovane funzionario ministeriale impiegato al dipartimento delle Finanze. Aveva trascorso la sera precedente a brindare in un locale, forse aveva bevuto troppo? Potrebbe essere scivolato dal pontile? (da giallosvezia.it)



martedì 21 aprile 2020

lunedì 20 aprile 2020

Citazioni Cinematografiche n.351

Signora Bundy: Lei cosa crede che volessero, Miss...
Melania: ...Daniels. Che volessero assalire i ragazzi.
Signora Bundy: E a che scopo?
Melania: Per ucciderli.
Signora Bundy: Perché?
Melania: Non lo so il perché.
Signora Bundy: Io non credo. Gli uccelli abitano questo pianeta sin dal periodo archeopterico, da oltre centoquaranta milioni di anni. Non le sembra strano che abbiano aspettato tanto per cominciare una... una guerra contro l'umanità?

(Signora Bundy/Ethel Griffies e Melania Daniels/Tippi Hedren in "Gli Uccelli", di Alfred Hitchcock - 1963)


sabato 18 aprile 2020

Sul Cinema, 4 di 10

"Il cinema è un'arma magnifica e pericolosa, se a maneggiarla è uno spirito libero. È lo strumento migliore per esprimere il mondo dei sogni, delle emozioni, degli istinti. Lo si direbbe inventato per esprimere la vita del subconscio, le cui radici penetrano così profondamente nella poesia". 
(Luis Buñuel)

 

venerdì 17 aprile 2020

Caravan e la nostra quotidianità

Circa 10 anni fa una sera mi capitò di parlare con un ragazzo, allora mio collega di lavoro, di una serie a fumetti che stavo leggendo. Per la precisione era una “miniserie”, di quelle che da qualche anno prima la Sergio Bonelli aveva cominciato a portare in edicola.
Si trattava di “Caravan”, 12 numeri, la cui trama, a grandi linee, è stata così riassunta su Wikipedia: La tranquilla vita della cittadina di Nest Point, negli Stati Uniti, è turbata da uno strano fenomeno meteorologico che blocca temporaneamente tutti i dispositivi elettrici, elettronici e le automobili; interviene l'esercito che organizza l'evacuazione della città e fa partire un esodo di tutti i cittadini in una colonna d'auto, diretta verso una destinazione ignota. 
 
Quindi, un po' grossolanamente, possiamo dire che per ovviare ad una situazione di pericolo, le cui cause erano in gran parte sconosciute o comunque non rese note, il fumetto, già dal primo numero ci dice come nel giro di poche ore si sia potuto trasferire un intero centro abitato, mettendolo su strada e facendolo viaggiare per settimane senza spiegargli il perché. I cittadini, quindi, di fronte ad una non meglio precisata minaccia, vengono costretti ad una soluzione estrema, dai contorni poco chiari e che comporta tutta una serie di limitazioni alla propria libertà e di stravolgimenti alla propria esistenza quotidiana. La serie, nel corso di un anno di uscite mensili, attraverso una trama orizzontale ed una verticale, ha proposto alcune soluzioni narrative con diversi pregi ed altrettanti difetti, che hanno fatto le fortune ed i limiti di quello che, ideato come esperimento narrativo e di uscita editoriale, ha esposto un possibile esperimento sociologico e di controllo sociale.

All'epoca a molti dei lettori quanto veniva raccontato, mese dopo mese, assumeva contorni distopici, da puro romanzo di fantasociologia o di fantascienza cupa, tanto poteva sembrare assurdo che un governo decidesse tali azioni. Insomma sembrava impossibile, o troppo lontano nel tempo e geograficamente improponibile che in Italia ed in Europa ci si potesse trovare in una condizione di temporanea limitazione dei propri movimenti, della propria libertà e finanche dei propri diritti (lavoro, retribuzione, studio, ecc. tanto per chiarire quelli secondo me maggiormente significativi al momento).


Ora, con le dovute differenze e con fondamentali distinguo, quanto raccontato ci risulta meno improponibile. Non notate una certa somiglianza con ciò che stiamo vivendo da poco meno di due mesi? Nel nostro Paese, a vari gradi e con ordini di grandezza diversi a livello locale, si sta vivendo un’emergenza sanitaria che ha portato a ordinanze governative atte a contenere la diffusione di un virus particolarmente difficile da contrastare.
Per quanto i due contesti non siano identici, dal momento che in Caravan la minaccia è ignota ed il mistero fin troppo fitto mentre nella nostra realtà è individuabile, l'esercizio di confronto (un ipotetico parallelo?) è accettabile in virtù del fatto che l’invisibilità propria di un agente patogeno, come la sua relativa novità per molti di noi in termini di diffusione e portata, lo rende ancora in larga parte “sconosciuto”, tanto da avvicinarlo, a livello concettuale, all’oscuro fenomeno atmosferico a cui si fa riferimento nel fumetto.

Quindi Caravan, dieci anni prima, ci diceva che una emergenza, sanitaria in questi mesi, ma anche di altro genere, potrebbe, può portare a decisioni, a provvedimenti impensabili in altri momenti. Una condizione straordinaria, ovvero al di fuori dell'ordinario, giustifica, forse rende inevitabili situazioni che stravolgano le nostre giornate, le nostre vite, il nostro quotidiano. Non mi riferisco alla passeggiata domenicale, all'aperitivo in centro, al giro in bici ed altre cose che ora a molti sembrano imprescindibili, ma alla nostra visione di individui in rapporto alla collettività, al senso civico che spesso smarriamo o dimostriamo di non possedere, alla fallace idea di libertà che proclamiamo con i nostri comportamenti ed i nostri commenti.

I più accorti potrebbero legittimamente dirmi che ancora prima di un fumetto, ci sarebbero la Filosofia, la Storia, il pensiero della Scienza, il Diritto ed altro ancora a informarci e avvertirci sul rapporto fra Bene Comune e Individuo, fra Potere e Democrazia, fra Pensiero e Azione, fra Ipotesi e Realtà, il concetto di Libertà in una democrazia compiuta e così via, ma, ammesso che molti di quelli che sento parlare o leggo inviare commenti siano poi in grado di leggerlo, una discreta serie a fumetti è ancora più abbordabile di importanti e validi libri e dissertazioni.

mercoledì 15 aprile 2020

Petra Chérie, di Attilio Micheluzzi



Il personaggio più noto e riuscito fra quelli creati da Attilio Micheluzzi è certamente Petra Chérie, la nobile ed affascinante Petra De Karlowitz, “bella, elegante…poliglotta, pilota esperta di aerei…una donna d’affari” . Il maestro istriano la creò nel 1977, decidendo di offrire una figura femminile che andasse decisamente controcorrente, ovvero “la mia risposta personale a un tipo femminile che andava allora di moda, sguaiato, violento, spesso poco pulito, innamorato dei “collettivi“ che credeva di realizzarsi solo dicendo “cazzo” ad ogni istante e ti sbatteva sulla faccia le dita unite a forma di vagina, “gestendo la propria sessualità” etc… etc. Insomma, una montagna di luoghi comuni codificati in modo talmente pesante da non poterla sopportare”.
Consapevole della sua indole conservatrice, al limite del reazionario, Micheluzzi riversò cura e profondo amore in un personaggio molto distante e differente dal suo carattere. Il lettore perciò si ritrova a scoprire, con dovizia di particolari e attente ricostruzioni storiche, l'amore di un autore verso un personaggio distante e antagonista del suo modo di pensare. Una donna audace, coraggiosa, temeraria, nobile ma vicina a principi ed ideali che stavano imponendosi in quegli anni, che contribuisce a tratteggiare il ritratto di un’epoca decisiva tra la fine della Belle Époque e i sanguinari eventi della Rivoluzione d’Ottobre.

Nel bel volume antologico edito qualche anno fa da Comma 22, tutte le storie in cui Petra Chérie fa la sua comparsa sono ambientate nel 1917, anno cruciale per la Storia e per il '900 in particolare.
Alla guida di un aereo dall’Istria in Montenegro e dall’Italia alla Francia, a bordo di un automobile dal Bosforo a Costantinopoli e dall’Austria all’Olanda, in sella ad un cammello in Siria, Petra ci coinvolgerà nei suoi mille viaggi spericolati tra gli orrori della guerra che sembra non avere mai fine e mai pietà. Maestro del bianco e nero e delle ombre, Micheluzzi ci offre una rappresentazione estremamente dettagliata degli spazi e dei caratteri, nonostante qualche staticità che al giorno d'oggi ci sembra eccessiva. Notevoli sono i fondali e gli interni, molto ricchi di particolari, così come le onomatopee che vengono usate con molta sapienza e si integrano perfettamente all’interno delle vignette, queste ultime tanto ben articolate e ben posizionate da offrire una narrazione scorrevole, sebbene, seguendo l'uso in auge più di 40 anni fa, in alcuni casi i balloon ora ci risultano un po’ eccessivi e prolissi. 
 
Questo non toglie magia e fascino alle tavole proposte, anzi forse quel tocco di “antico” ce le rende ancora più “care” e ci invoglia ad un tipo di lettura e di rapporto con la narrazione per e con le immagini che tendiamo a smarrire. Ovvero l'invito è a prendersela con maggiore calma, a utilizzare meditazione e lentezza nel leggere le storie di questo personaggio con le fattezze della diva del cinema muto Louise Brooks. Dedicarsi e dedicarle tempo, proprio quello che risulta quasi sospeso nelle pagine a lei dedicate. Un po' come se il tempo fosse un fattore non determinante, dal momento che l'autore stesso sembra procedere senza fretta, dosando ogni scena e parola. Vengono ben descritti i luoghi e gli ambienti, in una rappresentazione che probabilmente vuole sottolineare sensazioni, stati d'animo, azioni e attese, momenti concitati e passaggi di riflessione. In questo senso la nostra eroina e Micheluzzi stesso sospendono il tempo, lo rallentano per darci la possibilità di considerare, valutare e soppesare quanto leggiamo e osserviamo, non ultimo il lascito di abbandono, solitudine, desolazione e distruzione che un conflitto porta con sé.

In conclusione merita di essere sottolineata la originale modalità, posta ad inizio volume e ad inizio della sua avventura editoriale, niente affatto comune a metà degli anni 70 in un fumetto con queste caratteristiche, con cui l’autore sceglie di presentarci il suo personaggio. Petra parla, a malincuore e solo in quanto obbligata dal suo creatore, in prima persona, posta di fronte direttamente al lettore, come in un’intervista che viene sostenuta dall’autore stesso. Una scena in qualche modo spiazzante, che ritroviamo anche in altre storie in cui Petra parla direttamente con il lettore, coinvolgendolo non solo come osservatore ma introducendolo come parte stessa del racconto.




martedì 14 aprile 2020

lunedì 13 aprile 2020

Citazioni Cinematografiche n.350

Bambina: È fatta con vero succo di limone?
Mercoledì: Sì.
Bambina: A me piacciono solo bevande e cibi naturali ottenuti con colture organiche e senza conservanti. Sicuri che siano a base di veri limoni?
Pugsley: Sicuri.
Bambina: Be', sapete cosa facciamo? Ne compro un bicchiere se comprate una scatola dei miei deliziosi biscottini degli scout. Facciamo l'affare?
Mercoledì: Sicura che sono a base di veri scout?

(Mercoledì/Christina Ricci e Pugsley/Jimmy Workman in "La Famiglia Addams", di Barry Sonnenfeld - 1991) 



sabato 11 aprile 2020

Sul Cinema, 3 di 10

Ti auguri sempre che il cinema sia una delle cose che possono restare. Essendo cresciuto con il cinema, a rischio di essere banale, per me ha sempre il suo fascino stare in una stanza buia e ascoltare e vedere qualcosa. Io spero sempre di trovare lì delle risposte e delle sicurezze.

(Tim Burton) 




 

venerdì 10 aprile 2020

Le parole di Cristo sulla croce

J. Haydn, Le ultime sette parole di Cristo sulla croce
Gli ultimi momenti della vita terrena di Gesù vengono oggi ricordati nella liturgia cristiana, in vari modi e attraverso diverse manifestazioni, di stampo prettamente religioso ma non solo. Diversificate sono le rappresentazioni artistiche e culturali, teatrali ed espressive legate alla sofferenza ed agonia di questa figura.
Specificatamente, le ultime ore di vita di colui che è stato individuato come “figlio di dio”, in musica sono al centro di innumerevoli composizioni, alcune delle quali traggono con esattezza il testo dal racconto dei Vangeli e diventano uno specifico genere musicale, la Passione appunto, le più famose delle quali sono quelle bachiane.
"Salita al Calvario, Giotto - Cappella degli Scrovegni, 1303-05"

La maggior parte di queste opere usa il mezzo vocale e lo spazio sonoro della parola come espressione necessaria alla descrizione di azioni e sentimenti. Vere e proprie narrazioni insomma, con versi e parole presi direttamente dai testi sacri. Differente è il caso dell'opera che propongo in questa sede e all'ascolto della quale invito.
Si tratta di una caso in cui, invece, lo spazio e l'elemento verbale non sono presenti, volutamente negati ed in cui alla “sola” musica strumentale si affida il compito della narrazione. Si torna indietro al Venerdì Santo del 1786, quando per la prima volta si eseguì la "Musica instrumentale sopra le 7 ultime parole del nostro Redentore in croce ovvero Sette Sonate con una introduzione ed alla fine un Terremoto".

Autore è Joseph Haydn, che aveva ricevuto una particolare commissione da parte del canonico della Cattedrale di Cadice, ovvero comporre una musica che si adeguasse e si armonizzasse con il rituale proposto in quella sede. Tale rituale prevedeva ritmi e momenti di vuoto da riempire, appunto, con la musica.
Nello specifico, ad Haydn venne chiesto di scrivere un totale di 9 brani strumentali, 7 dei quali si ispirassero ad altrettante frasi pronunciate dal Cristo morente secondo la tradizione dei Vangeli. Ad incorniciare le sette frasi, una introduzione e una conclusione, il terremoto che secondo i Vangeli segue il momento in cui il Cristo spirò.
Il risultato, composto per un’orchestra piuttosto numerosa, dovette essere apparso allo stesso Haydn una prova convincente, poiché ne realizzò ben altre tre versioni: due per sopperire ad esigenze strumentali ed economiche ridotte (una per quartetto d’archi e una per tastiera sola) ed una, la più tarda, che fornisse a quella musica l’unica cosa mancante, ossia l’elemento verbale con il suo strumento, la voce.

Joseph Haydn
Die sieben Worte unseres Erlösers am Kreuze (Le ultime sette parole del nostro Redentore sulla croce) – versione per orchestra
- Introduzione (Maestoso e adagio)
- Sonata I: Pater, dimitte illis quia nesciunt quid faciunt (Largo)
- Sonata II - Hodie mecum eris in Paradiso (Grave e cantabile)
- Sonata III - Mulier, ecce filius tuus (Grave)
- Sonata IV - Deus meus, Deus meus, utquid dereliquisti me? (Largo)
- Sonata V - Sitio (Adagio)
- Sonata VI - Consummatum est (Lento)
- Sonata VII - In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum (Largo)
- Il terremoto (Presto e con tutta forza)


Le sette frasi
Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno
(Luca 23, 34)
 
In verità ti dico: oggi sarai con me in Paradiso
(Luca 23, 43)
 
Donna, ecco il tuo figlio
(Giovanni 19, 26-27)
 
Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?
(Salmo 22,1 / Matteo 27, 46)
 
Gesù gridò: Ho sete
(Giovanni 19,28)
 
Tutto è compiuto
(Giovanni 19,30)
 
Padre, nelle tue mani consegno il mio Spirito
(Luca 23, 46)

giovedì 9 aprile 2020

Arrietty, la canzone


Seguo lo stimolo giuntomi da una cara amica attraverso un suo commento al post Citazioni Cinematografiche n.349.

Propongo il tema e canzone finale del film d'animazione "Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento".

Versione strumentale originale 

Versione italiana e testo
L'autrice, la cantante e musicista bretone Cécile Corbel, ha interpretato il brano in giapponese, inglese, francese ed italiano.

I’m fourteen years old I’m pretty
Un'energica piccola lady
Sotto al pavimento sto
Da sempre una prendimprestito

A volte son ‘happy’, a volte sto giù
Vorrei incontrare qualcun

Con il vento tra i capelli miei
Vorrei stare a fissare il cielo
Un fiore a te vorrei venire a portar

Là fuori tutto un altro mondo c'è
Guarda le farfalle volteggiare!
È solo me che stanno ad aspettar…

Così niente può mai cambiare
Nel mio piccolo mondo personale
Non che lo detesti o che
Ma a proposito di te
Di più, di più io vorrei saper

Tristezza e felicità vengono sempre
In coppia mischiate fra lor

Con il vento tra i capelli miei
Vorrei stare a fissare il cielo
Un fiore a te vorrei venire a portar

Là fuori tutto un altro mondo c'è
Guarda le farfalle volteggiare!
E’ solo te che stanno ad aspettar…

Allo splendere del sol
circondata da mille fiori
Insieme a te i giorni vorrei passar

Così sentendo nel mio cuor…
in un mondo del tutto nuovo
A modo mio vado a vivere

martedì 7 aprile 2020

Dreamworks: i 10 titoli che preferisco


Vado dritto all'obiettivo. I 10 film della Dreamworks che mi piacciono di più.
Non proprio in ordine di preferenza partendo dall'ultimo, non una vera classifica, ma la posizione tra di loro è vagamente indicativa. In merito alle saghe ho preferito accorparle in una unica voce. 
 

Z la formica
Primissimo film d’animazione DreamWorks, con un risultato più che apprezzabile. Mi ha conquistato alla prima visione: mini-dimensioni per una “grande” storia, o quantomeno dal cuore grande e con un bel messaggio. In sintesi: Z diventa l’eroe del formicaio quando riesce a sventare un attentato orchestrato dal generale delle formiche guerriere e salva la sua principessa. Il protagonista con la voce di Oreste Vianello, storico doppiatore di Woody Allen (lui nella versione originale) è un valore aggiunto. “Bala e io incidentalmente stiamo pensando di mettere su famiglia. Insomma, solo qualche figlio, forse un milione o due, tanto per cominciare. E io, io sono in cura da un nuovo analista, favoloso, assolutamente favoloso; mi sta mettendo in contatto con la mia larva interiore, il che mi aiuta moltissimo. Insomma, finalmente sento di aver trovato il mio posto. E sapete una cosa? È proprio dove ho cominciato, ma la differenza è che questa volta l’ho scelto io.


I pinguini di Madagascar
Te la sei presa con gli uccelli sbagliati!”. Uno spin-off, va bene, ma valido anche più dell’originale. Dalla trilogia di Madagascar abbiamo imparato a conoscerli, con le loro missioni che potrebbero rendere il mondo un posto migliore, o quantomeno più organizzato, sicuramente più divertente. Skipper, Kowalski, Rico e Soldato protagonisti per salvare il mondo dai progetti di un classico “villain”, senza risparmiarsi e senza fermarsi di fronte ad ostacoli e pericoli. In un misto di efficienza, sbadataggine e humor.

Dragon Trainer
Tu non sei niente senza il tuo drago”. Si parte con un action movie con tantissimo cuore (e tantissimi draghi) e con altri due film per la storia di Hiccup e del suo Sdentato. I draghi sono creature da temere e la convivenza con gli umani è impossibile, o forse no? La trilogia inizia bene, ma poi si sgonfia un po' nella trama e nelle trovate non all'altezza. Ad eccezione dei disegni, i tre film scendono di qualità nell'insieme, nonostante candidature varie ad una serie di premi, probabilmente adagiandosi sul già conosciuto e sul sicuro. Rimane il messaggio sull’integrazione e la diversità, sulla convivenza ed il rispetto. Non è poco di questi tempi, soprattutto come stimolo ed invito per gli spettatori più piccoli, e magari anche se non soprattutto per i loro genitori.

Il Principe d'Egitto
Con questo bastone tu compirai i miei prodigi”. Oscar nel 1999 per la Miglior Canzone Originale e grandi incassi. Remake animato de “I Dieci Comandamenti” (quello con Charlton Heston e Yul Brynner) offre toni epico-avventurosi, per una storia che pesca dai miti e dalla Bibbia. Si va sul sicuro attraverso lo scontro fra due fratelli, uno di sangue reale (Ramses) e l’altro adottato (Mosè), ognuno con il proprio destino. La storia è nota, ma canzoni e disegni fanno la loro parte nella classicità ben interpretata, senza necessariamente volere osare e andare oltre.


Le 5 Leggende
Ingiustamente sottovalutato dal pubblico e poco proposto, è un valido prodotto, che oltre ad offrire piacevole intrattenimento riesce ad essere di qualità, anche grazie alla capacità di dosare azione e comicità, mistero e buoni sentimenti, validi caratteri e, non ultime, interessanti soluzioni grafiche. Notevole la scelta degli eroi protagonisti, con un mix riuscito di realismo e senso del fantastico e dell'immaginario, a cui si affianca una elevata qualità tecnica. Quest'ultima, da sola, non basterebbe ma in questo caso ad essa corrisponde la evidente voglia di raccontare una storia, di non nascondersi dietro a una serie di gag trite e ritrite, di citazioni a pioggia, ammiccamenti vari e stratagemmi simili. L'importanza della scrittura e la centralità della narrazione risultano i dati più confortanti di questo film, che forse avrebbe potuto osare di più nella sua parte oscura al limite dell'horror, ma è pur sempre un prodotto destinato ad un pubblico di ragazzini.


I Croods
I nostri antenati, con qualche concessione e una dose accettabile di ammiccamenti ben realizzati. Il gusto di un’avventura familiare, senza farsi mancare situazioni al limite, creature fantastiche e decine di pericoli. Si ride e ci si diverte, a dimostrazione che anche se la trama può essere fin troppo semplice e lineare, il risultato è più che buono quando ci si mette felice ironia, accelerazioni improvvise ben studiate, intuizioni narrative e un ritmo trascinante.


Kung Fu Panda
La leggenda narra di un guerriero leggendario la cui abilità nel kung fu era materia di leggenda.” Una fortunata ed apprezzabile trilogia (finora) che si concentra, meglio e più di altre, su cosa voglia dire scoprire la propria identità, perseguire un sogno rispettando se stessi e gli altri, su quanto l’abito non faccia il monaco ed anche una riflessione sul tema della paternità. Po è un giovane panda che fa il cameriere nel ristorante del padre adottivo, che è un oca, ma intanto sogna di poter essere un eroe del kung fu. Da lì si va avanti per tre film, senza momenti di noia o irritanti ripetizioni

Galline in fuga
Realizzato in collaborazione con la Aardman Animation, dato questo che lo distingue, nettamente in meglio, da altre produzioni. Lo stop-motion in grande stile, con un lungometraggio raffinato e divertente. Qualità e buon ritmo fanno sì che il film sia molto più che godibile, infatti riesce ad unire la semplicità della storia ad una ricchezza di contenuti e a spunti di riflessione importanti. Etica ed intrattenimento, un messaggio di e per la libertà, oltre gli egoismi e gli opportunismi individuali o di microgruppi. Fuga, prigionia, recinti e condizione individuale al servizio ed a completamento di quella collettiva. Una occasione per gli occhi e la mente, il cuore ed il cervello. “Non c'è niente di più risoluto di una gallina con un piano.

Wallace & Gromit: La maledizione del coniglio mannaro
I due personaggi forgiati in plastilina e animati in stop motion dalla Aardman nel loro esordio sul grande schermo, con relativo Oscar vinto. Un film che ha inevitabilmente conquistato adulti e bambini grazie ad umorismo surreale, intelligenti citazioni cinematografiche (praticamente tutto l'horror classico viene richiamato ed omaggiato) e forza dello script. Oltre il valore tecnico, ovvero la mirabile fluidità dei movimenti, l’uso della macchina da presa, la capacità espressiva dei protagonisti, questo rimane uno dei capisaldi dell’animazione contemporanea anche per la possibilità di più livelli di lettura, a seconda dell'età e della prospettiva dello spettatore.
Shrek
L'immaginario favolistico e Disneyano nello specifico riscritto quando non direttamente ribaltato. Un tono di dissacrante, che da solo non basterebbe, aggiunge valore e qualità alla narrazione ed all'immagine alternativa dotata di un certo spessore. Una quadrilogia che purtroppo dal terzo episodio comincia a mostrare qualche limite e nel quarto giunge probabilmente ad esaurire le frecce al proprio arco. Rimane una bella galleria di personaggi, di situazioni limite e di trovate originali per una pagina favolistica che si fa forza delle proprie qualità e dei limiti della concorrenza.



A questo punto qualcuno potrebbe dirmi: e Madagascar? Di seguito qualche parola al riguardo:
Madagascar
Mi piace se ti muovi! Mi piace quel che muovi! E allora: MUOVI!”. Se il primo film riusciva quantomeno a ribaltare come pochi altri il ruolo fra animali e umani, a creare interrogativi sul loro posto nel mondo ed a scompigliare i topoi dei coraggiosi animali della savana, divertendo al punto giusto, nel prosieguo la trilogia arranca e non riesce a conquistare. La narrazione è poco sviluppata, si adagia su situazioni e gag arcinote e utilizza anche quel poco di buono che c'è in modo non efficace. Sembra quasi tutto al servizio della computer grafica e del 3D, ma se ci si trova in una giornata senza pretese si può gustare anche il susseguirsi vagamente sterile di colori, la lezioncina sull'amicizia e la sovrabbondanza di buoni sentimenti.