giovedì 30 novembre 2017

Neve Nera (Martin Hodara - 2017)

Intrigato e stimolato dalla presenza nel cast di Ricardo Darín, ammirato ed elogiato per la sua interpretazione in “Il Segreto dei suoi Occhi”, mi sono avvicinato alla visione di “Neve Nera”, per la regia di Martin Hodara.
Purtroppo ho dovuto prendere atto che l'attore argentino non è propriamente il protagonista del film, cedendo molto, forse troppo spazio ad altri due personaggi, che di fatto sono i veri personaggi centrali, quantomeno per il numero di inquadrature e battute a loro assegnate.



Per amor di sintesi e semplicità di seguito presento ciò che ritengo essere gli elementi positivi e quelli meno positivi, se non addirittura negativi, del film.

Positivi: quasi tutta la prima parte del film sembra scritta apposta per stimolare lo spettatore e coinvolgerlo in una vicenda non del tutto originale ma comunque intrigante, anche grazie ad una ottima e nitida fotografia che presenta il contesto naturale e socio-familiare con maestria e ammirabile efficacia; i flashback si alternano ordinatamente e con buona scansione, aiutando chi guarda a ricomporre il puzzle degli avvenimenti e a seguire il percorso,di vita ed emozionale, passato ed in evoluzione dei caratteri; i silenzi più dei dialoghi raccontano e coinvolgono.

Meno Positivi: la seconda parte del film sembra meno efficace, con una scrittura ed una sceneggiatura un po' troppo semplice, quasi scolastica, offrendo la sensazione che si sia voluto “non osare” e rimanere sul “sicuro”, quasi un rassicurante “già visto” pur con maestria tecnica (piano sequenza efficace, buon uso del campo controcampo); il personaggio femminile centrale risulta a suo modo invadente e petulante, esagerando la sua pur, a livello di sceneggiatura, indovinata funzione, ed il fatto che l'attrice che lo interpreta sia nettamente la peggiore del cast non aiuta; soluzioni narrative e risvolti psicologici/psicanalitici troppo semplicistici e mal posizionati.



Rimane il fatto che un film solo in parte di genere avrebbe potuto offrire di più e di meglio. Personalmente ritengo che sia stato poco e non completamente utilizzato il contributo del già citato Ricardo Darín, anche se è comunque un piacere rivederlo, sebbene sia anche vero che fare un film puntando sopratutto sulla qualità degli attori e una buona, anche ottima tecnica, spesso non basta.

Il nucleo da tragedia greca c'è e avrebbe potuto rendere possibile un grande film, con almeno tre belle scene che da sole meriterebbero la visione, la Natura contribuisce alla grande alla scenografia, con montagne innevate, foschie che hanno il fascino del misterioso, nuvole come funeste messaggere, tempeste di neve e quel senso di selvaggia solitudine che ha sempre una certa presa sul pubblico, ma l'intreccio noir alla fine risulta artificioso e si rimane solo parzialmente soddisfatti.


A ben vedere avrebbe potuto essere un film sul silenzio, sui silenzi, su bugie che si raccontano e ci si racconta per riuscire a vivere, poteva essere un dramma familiare con terzo elemento aggiunto, una fotografia di interni fisico-emotivi con il contributo degli spazi aperti, una sottile e drammatica indagine sul male, invece si rimane a qualche passo da tutto questo, privilegiando la forma (ancorché non completamente perfetta) rispetto alla sostanza. Ma lo si capisce solo a visione terminata, per cui tutto sommato vale la pena.

Segnati dalla tragica morte del fratello minore durante una battuta di caccia, Marcos (Leonardo Sbaraglia), Salvador (Ricardo Darín) e Sabrina (Dolores Fonzi) da anni hanno preso le distanze l’uno dall’altro. Il primo si è rifatto una vita in Europa e aspetta un bambino dalla moglie Laura (Laia Costa), il secondo vive in quasi totale isolamento nella casa di famiglia sperduta nelle fredde foreste della Patagonia, mentre Sabrina è rinchiusa in un ospedale psichiatrico a causa della shock subito. Le loro storie sono destinate a intrecciarsi di nuovo alla morte del padre, quando Marcos tornerà nella terra natia per affrontare il problema dell’eredità paterna.

lunedì 27 novembre 2017

Citazioni Cinematografiche n.227

Ho combattuto in trincea nella seconda guerra mondiale... Perché dovrei aver paura a dormire in un campo di mais? 

(Alvin Straight/Richard Farnsworth in "Una Storia Vera", di David Lynch - 1999)





sabato 25 novembre 2017

Giallo, Noir & Thriller/47

Titolo: Un Grande Gelo
Autore: Arnaldur Indriđason
Traduttore: Cosimini Silvia
Editore: Guanda – 2010

Cronologicamente precedente a “Un Caso Archiviato” di cui ho parlato qualche settimana fa, “Un Grande Gelo” è un ulteriore esempio della capacità di Arnaldur Indriđason di elaborare una trama profonda, partendo da idee, spunti non necessariamente del tutto originali, riuscendo ad ampliare la tematica, i vari temi proposti e di riproporli sotto la forma di vicende diverse, di trovare in piccole storie, anche solo all'apparenza distanti, o al limite parallele, agganci con la storia principale.

In “Un Grande Gelo”, l’idea centrale è una forte denuncia della discriminazione, il tema principale è l'intolleranza nei confronti del diverso, che può divenire violento razzismo, anacronistico e distorto attaccamento al sé, o a quello che ne rimane, che porta alla chiusura verso l'altro.
Quello che colpisce il lettore più duramente è come l'unica vittima sia un bambino, un delitto fra i più riprovevoli è il punto di partenza per un viaggio dentro ed attraverso quella che con una espressione spesso abusata, se non addirittura fraintesa, viene definita la “banalità del male”. Si fanno ipotesi e congetture, si battono diverse piste, che l'ormai conosciuto commissario Erlendur Sveinsson, protagonista della serie dei romanzi di indagine poliziesca di Arnaldur Indriðason, non trascura insieme a Sigurður Óli e a Elínborg. 

 

Quello che viene evidenziato è come in una nuova realtà sociale di forte immigrazione, in Islanda come negli altri paesi europei, affiori un forte razzismo nei confronti degli stranieri. Pertanto l'indagine non è esclusivamente su un delitto, di cui solo alla fine si scopre la sconcertante e per certi tratti insospettabile drammaticità, ma anche su una realtà sociale ed economica, con il pregio di non scadere nel banale o, peggio, nel didascalico.

Il gelo del titolo non è meramente quello climatico della lontana isola, ma anche quello che alberga nel cuore di chi legge, testimone di un clima sociale, di un dramma familiare e culturale, di un crimine che potrebbe avere molte motivazioni e che si scopre averne, materialmente, solo una, la più, apparentemente, banale. Questo può fare male e fa divenire questo romanzo un thriller non per i colpi di scena, la tensione dettata da un killer o da una serie di delitti, ma per lo scenario che presenta e che assomiglia così pericolosamente a quello delle nostre città, delle nostre scuole e luoghi di lavoro, per l'emarginazione e la povertà che viviamo, facendo nascere inquietudine per ciò che potremmo vivere nei prossimi anni.

 
In una Reykjavík avvolta nella coltre di un inverno che sembra il più freddo di sempre, l'agente Erlendur Sveinsson affronta un caso che lo costringe a confrontarsi con i fantasmi del passato. La morte di Elías, dieci anni, madre thailandese e padre islandese, accoltellato in mezzo alla neve in un giardino, lo tocca nel profondo. Non è solo l'ennesimo omicidio su cui investigare, è una vicenda che alimenta in lui l'angoscia per quel fratello perso da piccolo nel pieno di una bufera? Non c'è tempo, però, di abbandonarsi ai ricordi dolorosi: il burbero poliziotto e la sua squadra iniziano un delicato lavoro di indagine. Il fratellastro di Elías è scomparso: sarà implicato nella morte del piccolo o teme per la propria vita? (da guanda.it)

giovedì 23 novembre 2017

La Grande Guerra # 16

VERDUN e CAPORETTO


 
La Editoriale Cosmo ricorda la Prima Guerra Mondiale con due albi giunti in edicola a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro.
Verdun” è un prodotto francese uscito oltralpe in due parti fra il 2016 ed il 2017, che la casa editrice emiliana propone in un'unica uscita a colori, mentre “Le Nebbie di Caporetto” è una sua produzione, inserita nella collana “Un Eroe Una Battaglia” di cui costituisce la prima uscita all'interno degli albi della serie Cosmo Noir.

I titoli richiamano due episodi chiave della Grande Guerra, in sostanza nomi emblematici di una serie di battaglie e scontri, momenti storici fondamentali e fondanti per due nazioni, sul fronte occidentale per la Francia, sul fronte alpino per l'Italia. I due albi sono accomunati anche dalla tragicità contabile in fatto di uomini coinvolti e di morti sul campo di battaglia.


La Battaglia di Verdun, una delle più violente e sanguinose battaglie di tutto il conflitto, ebbe inizio il 21 febbraio 1916 e terminò il 19 dicembre dello stesso anno, vedendo contrapposti l'esercito tedesco, guidato dal capo di stato maggiore, generale Erich von Falkenhayn, e l'esercito francese, guidato dal comandante supremo Joseph Joffre, sostituito al termine del 1916 con il generale Robert Georges Nivelle. Verdun costituì un punto di svolta cruciale della guerra in quanto segnò il momento in cui il peso principale delle operazioni nel fronte occidentale passò dalla Francia all'Impero Britannico, fece di fatto svanire le ancora concrete possibilità della Germania di vincere la guerra e si ritiene essere uno degli eventi che contribuì all'entrata in guerra degli Stati Uniti d'America nel conflitto. 

 
La Battaglia di Caporetto, anche detta dodicesima battaglia dell'Isonzo cominciò alle ore 2:00 del 24 ottobre 1917, rappresentando la più grave disfatta nella storia dell'esercito italiano, tanto che, a torto o a ragione, ancora oggi il termine Caporetto viene utilizzato come sinonimo di sconfitta disastrosa. Con la crisi della Russia zarista dovuta alla rivoluzione, Austria-Ungheria e Germania poterono trasferire consistenti truppe dal fronte orientale a quelli occidentale e italiano. Forti di questi rinforzi, gli austro-ungarici, con l'apporto di reparti d'élite tedeschi, sfondarono le linee tenute dalle truppe italiane che, impreparate a una guerra difensiva e duramente provate dalle precedenti undici battaglie dell'Isonzo, non ressero all'urto e dovettero ritirarsi fino al fiume Piave. La sconfitta portò alla sostituzione del generale Luigi Cadorna con Armando Diaz. Le unità italiane nei mesi successivi, complici i problemi di approvvigionamento e trasporto degli Imperi Centrali, si riorganizzarono abbastanza velocemente e fermarono le truppe austro-ungariche e tedesche nella successiva prima battaglia del Piave, riuscendo a difendere a oltranza la nuova linea difensiva su cui aveva fatto ripiegare Cadorna.




Il dato che ad un secolo di distanza escano albi a fumetti dedicati a sciagurate battaglie stimola una riflessione su come, ancora oggi, ci si ponga di fronte ai due eventi raccontati. “Verdun” sceglie di ricostruire, con precisione, attenzione ai dettagli e rigore unito a serietà narrativa, gli errori dell'alto comando francese, rappresentato impietosamente ma con onestà storico-culturale, compresi nomi e cognomi, contrapposto al valore ed all'umanità dei soldati e dei loro diretti superiori. Non mancano i dettagli e qualche frecciata, dura ancorché storicamente fondata, in riferimento all'esercito tedesco del Kaiser Guglielmo II.


Le Nebbie di Caporetto” percorre un'altra via. Pur non mancando precisione nella ricostruzione dei fatti e del contesto in cui si svolsero, sceneggiatura e disegni mettono in primo piano un'esperienza totalmente “inventata”, con protagonisti di fantasia, seppur molto simili ai soldati che combatterono realmente all'interno del Regio Esercito Italiano su quel fronte. Si pone l'accento sull'eroismo degli anonimi, eroi quasi per caso, un po' ricordando Alberto Sordi e Vittorio Gassman del film di Mario Monicelli “La Grande Guerra”.


Per decenni Caporetto è stata vista come una “morte della Patria”, quasi come l'8 settembre 1943, con la destra, fascista quella di allora come quella attuale, a disegnare e propagandare l'immagine di un esercito italiano, composto da popolani divenuti fanti e artiglieri, traditore dei principi e dei valori nazionali, traditore degli ufficiali che li comandava, come Cadorna ripeteva ad oltranza. Verdun, viceversa, fin da subito fu considerata in Francia un simbolo “positivo” della nazione, esempio di come pur da errori tragici, da immani tragedie, si possa cogliere occasione di unità nazionale e unione nel ricordo.


Negli ultimi anni si sta guadagnando spazio, nel nostro Paese, una differente considerazione su Caporetto. L'idea è che quella che fu, oggettivamente, una pesante sconfitta militare, si pose come un nuovo inizio, l'opportunità di una reale svolta, in termini non solo strategico-militari, ma anche sotto il profilo di una fondazione e creazione di un popolo, quello italiano, che a distanza di più di 50 anni dalla proclamazione del Regno d'Italia, ancora non era tale, diviso e distante al suo interno. La fermata dell'invasore sul Piave, che magari non mormorò, come nella patriottica canzone, ma si pose come linea estrema e non oltrepassabile, i ragazzi del '99, la riorganizzazione dell'esercito secondo una visione al medesimo tempo più umana e maggiormente moderna, un senso di unione e di fratellanza che non era ancora stato raggiunto ed altro ancora sono legati a Caporetto.

Notazione personale: fra i miei ricordi più belli ci sono la visita al Museo ed al Sacrario Militare di Kobarid, attuale nome di Caporetto in Slovenia, ed una serie di passeggiate ed escursioni sulle Alpi Giulie, fra resti di trincee, fortificazioni e testimonianze degli scontri avvenuti su quei monti. 

 

lunedì 20 novembre 2017

Citazioni Cinematografiche n.226

Randy, questo tuo atteggiamento, la recita del "mando a fare in culo il mondo", forse funzionerà con la tua mamma, e magari con i poliziotti del posto che ti conoscono abbastanza da sapere che sei troppo stupido per uccidere qualcuno senza lasciare un paio di testimoni e una confessione firmata anche, ma non attacca con me. Perché vedi, io so delle cose, capisci? Io so che picchiavi la tua ragazza. E so che lei si vedeva con qualcun altro. Qualcuno con cui forse si è incontrata Venerdì sera dopo averti piantato in asso in quel bar. Allora ci vuoi dire chi potrebbe essere quella persona? O sei veramente così stupido da voler restare l'ultima persona che ha visto Kay Connell viva? 
(Will Dormer/Al Pacino in "Insomnia", di Christopher Nolan - 2002)





sabato 18 novembre 2017

Dampyr Speciale n.13 - La Terra delle Aquile

La serie Dampyr è nota per la capacità di trattare temi contemporanei e Storia, facendoli incontrare attraverso fatti odierni che si intrecciano con leggende, narrazioni antiche, fatti reali, precisi riferimenti, mitologia o fantasiose ricostruzioni da parte di popoli e popolazioni.

Lo Speciale n.13 “La Terra delle Aquile” ne è un ottimo esempio, con in più il punto di forza di svolgersi in un territorio fertile di vicende e leggende, oltre che molto vicino alla terra d'origine di Harlan Draka. Zona affascinante l'est Europa, ancora di più i Balcani, nel caso specifico l'Albania, che il lettore scopre o riscopre sia ai giorni nostri che nel corso del XV° secolo, quando era terreno di scontro fra i suoi abitanti e l'esercito ottomano.



Ulteriore personale stimolo all'acquisto dell'albo è l'immagine di copertina, che omaggia, grazie al lavoro di Enea Riboldi, la principale opera per cui è conosciuto Caspar David Friedrich, ovvero Il Viandante sul Mare di Nebbia.
Chi gentilmente segue questo blog, è al corrente che già in un'altra occasione ho parlato del pittore tedesco, per cui non si stupirà a leggere come il riferimento artistico risulti, ai miei occhi, una marcia in più.


Come detto, la Terra delle Aquile è un incrocio tra vicende storiche realmente accadute, mitologia e fantasy-horror. Le vicende reali di Giorgio Castriota Skanderbeg, eroe e patriota albanese che nel XV° secolo bloccò l’avanzata degli Ottomani dall’Albania verso l’Europa, vengono sovrapposte a quelle del Maestro della Notte Vrana.
Vrana si contrappone a Horvat, intenzionato ad impossessarsi di quella porzione di territorio balcanico, ponte tra Oriente e Occidente e snodo importante tra l’Europa ed altri Paesi, in cui Vrana vive da sempre.
In questa contesa verrà coinvolto anche Harlan, che dunque insieme ai suoi compagni Tesla e Kurjak si ritroverà nel mezzo di uno scontro tra Maestri della Notte all’interno del quale risulterà, suo malgrado, ago della bilancia.


Lo speciale di Dampyr numero 13 sfrutta una sovrapposizione di linee temporali, quella del quindicesimo secolo durante l’invasione ottomana in Albania, e quella dei nostri giorni, per creare una storia che ha molti dettagli e, grazie al maggior numero di pagine rispetto agli albi della serie regolare, con un ritmo narrativo scorrevole e coinvolgente, anche per chi legge le avventure del nostro eroe solo occasionalmente.


Non mancano le scene d'azione ed il movimento, duelli action-fantasy e scenari gotico-horror, grazie al soggetto e sceneggiatura di Claudio Falco, con testi che rendono al meglio una trama mistery di una storia vecchia di seicento anni, che si sovrappone alla linea temporale attuale, rivelando poco per volta quell’oscuro passato che sarà la base per risolvere la trama ambientata nel presente.

In Albania, dalle nebbie dei campi di battaglia passati, riaffiora il cruento scontro tra due maestri della notte. Che parte ha avuto Giorgio Castriota Skanderbeg, l'eroe e patriota albanese che nel XV secolo bloccò l'avanzata dei turchi? E che parte avrà Harlan Draka, il Dampyr? (da sergiobonelli.it)


giovedì 16 novembre 2017

Nella casa (François Ozon - 2012)



François Ozon è un regista che mi attira e spesso coinvolge attraverso i suoi film.
Sono consapevole che sia una questione di preferenze, non solo in fatto di cinematografia, perciò non mi meraviglia che alcuni, ad esempio la mia compagna di vita, invece non apprezzino particolarmente Ozon, soprattutto per una sua certa propensione a mettere in scena elementi morbosi, che effettivamente tendono a far apparire morbosa buona parte della sua opera.
Nella Casa” non fa eccezione, sia per l'effetto avuto su di me che per la componente morbosa, non propriamente esposta ma presente. Lo vidi al cinema con soddisfazione e mi piace in questa sede sottolinearne la brillantezza con cui celebra la forza del raccontare, il potere delle storie e della scrittura.



Lo psicoanalista James Hillman sosteneva la necessità, per un efficace svelamento e sviluppo del talento e delle capacità di un giovane, della presenza di un mentore, la cui guida deve fungere da guidato riconoscimento. Il regista francese, in questo film, partendo da tale spunto, esplora il potere conturbante della scrittura, che da mezzo di riconoscimento di se stessi e degli altri, può sfociare nella manipolazione identitaria attraverso la propria e l’altrui falsificazione. 
 
L'espediente che veicola l'intera vicenda è, invero, non propriamente originalissimo, ossia il rapporto privilegiato tra uno studente meritevole, le cui doti non sono state ancora svelate e adeguatamente conosciute, e un professore di lettere atipico quanto basta. L'uno mentore dell'altro, nel rispetto dell'anagrafe e dei ruoli.
La vicenda si sviluppa con classe e vira dalla commedia, a tratti vivace, a elementi e spunti thriller, composti di seduzioni, allusioni, tentativi di rivoluzione di ruoli e posizioni, con drammatici esiti. A tal fine centrale è la figura femminile, moglie, madre, frustrata come da abusato copione, ma essenziale per le interpretazioni, dei caratteri e degli attori maschili. Un triangolo che tende al quadrilatero, per rimanere triangolo e svolgersi su rapporti binari, risolti o solo accennati.

Nella casa” è, fra le altre cose, una lucidissima intellettualizzazione sull’ambiguità della scrittura, con le solidissime basi di una sceneggiatura dotta, ma non stucchevole o lontana dal grande pubblico, poiché anche lo spettatore meno avvezzo a certi giochi di rappresentazione e di messa in scena, può sentir vibrare le corde di una intelligente suspense.


lunedì 13 novembre 2017

Citazioni Cinematografiche n.225

Jackie: Be'... che ti prende? Non hai mai preso una macchina in prestito?  
Max: Non da qualcuno che è morto.

(Jackie Brown/Pam Grier e Max Cherry/Robert Forster in "Jackie Brown", di Quentin Tarantino - 1997) 





sabato 11 novembre 2017

Ubriaco sulla Luna



"Drunk On The Moon"

Tight-slacked clad girls on the graveyard shift
'Neath the cement stroll
Catch the midnight drift
Cigar chewing charlie
In that newspaper nest
grifting hot horse tips
On who's running the best


And I'm blinded by the neon
Don't try and change my tune
'Cause I thought I heard a saxophone
I'm drunk on the moon

And the moon's a silver slipper
It's pouring champagne stars
Broadway's like a serpent
Pulling shiny top-down cars
Laramer is teeming
With that undulating beat
And some Bonneville is screaming
It's way wilder down the street



Hearts flutter and race
The moon's on the wane
Tarts mutter their dream hopes
The night will ordain
Come schemers and dancers
Cherry delight
As a Cleveland-bound Greyhound
And it cuts throught the night

And I've hawked all my yesterdays
Don't try and change my tune
'Cause I thought I heard a saxophone
I'm drunk on the moon 

giovedì 9 novembre 2017

Dampyr #211 - Horror Movie


Avventura in solitaria di Emil Kurjak nell'albo n.211 di Dampyr di ottobre.
A scrivere la sceneggiatura è Mauro Boselli, per cui anche se la vicenda raccontata ad una prima valutazione sembra fin troppo leggera e scorrevole, in realtà, come ben ci ha abituato uno dei padri della serie, questa può svolgersi su più piani di lettura e quindi intrigare e soddisfare sia chi vuole godersi un buon ritmo e i vari meccanismi narrativi proposti, sia chi intende approfondire un po' ed andare anche oltre gli evidenti e omaggiati cliché narrativi e situazioni tipiche dei film horror.

In “Horror Movie” i riferimenti, diretti e indiretti, ai maestri e ai capolavori del genere sono tantissimi: George Romero prima di tutti e la donna cadavere nella vasca da bagno di The Shining (romanzo di Stephen King e film di Stanley Kubrick). Ma è lecito pensare anche a Tiziano Sclavi o Dario Argento.

Solo apparentemente fuori continuity, dati i richiami più o meno evidenti alla macro-trama ed ai vari fili narrativi della serie, l'impegno che Boselli mostra consiste essenzialmente nel riuscire a scrivere una storia che racconti in modo intrigante e scorrevole, pur riprendendo apertamente tutti i cliché del genere, di personaggi e situazioni stereotipati (la biondona sexy, il nerd diffidente, l'eroe vissuto, il nero che fa una brutta fine, l'hotel sperduto, l'impossibilità di comunicare, l'auto che non parte,...), che si trovano a vivere una classica avventura horror. Non ultimo un certo sentore di metanarrazione.
 
Lo sceneggiatore sfrutta l'occasione per mostrarci l'evoluzione di Emil Kurjak e le sue recenti apprese capacità e per mettere in evidenza il talento della disegnatrice, Silvia Califano, che mostra il suo talento e il suo tratto realistico senza rinunciare alla gentilezza e alla morbidezza della linea sottile. La Califano ci presenta tavole a mezzatinta che catturano e che è possibile definire fra le migliori recentemente proposte all'interno della serie.

Quante volte avete sentito il bisogno di dire ai personaggi di un film del terrore: "Non scendere in quella cantina, imbecille! Non aprire quella porta!". Naturalmente non si può fare ma, in fondo, anche quei poveri personaggi, come fanno a rendersi conto di essere dentro un horror? È quanto scoprirà a sue spese Emil Kurjak, tra serial killer con maschere sadomaso, spettri, zombie e tutte le altre simpatiche manifestazioni dell'infestato "Wonderland Hotel".. (da sergiobonelli.it)

venerdì 3 novembre 2017

La Grande Guerra # 15

I PROTAGONISTI
MANFRED VON RICHTHOFEN

Nato nel 1892 da una famiglia dell'aristocrazia prussiana, Manfred Albrecht von Richthofen diviene ufficiale degli ulani, soldati di cavalleria armati di lancia, nel 1911. In Belgio ed in Francia la guerra gli mostra il suo vero volto: i cavalli arrancano nel fango, la mitragliatrice spazza via uomini a decine aprendo vuoti paurosi, gli ulani sono appiedati o ridotti a compiti di ricognizione e collegamento.
L'aereo è la nuova arma in grado di restituire nobiltà al cavaliere, che si distingue prima in Russia come osservatore, poi in Francia come pilota da caccia. Proprio sui cieli francesi von Richthofen incontra l'aereo che lo renderà famoso, il piccolo Fokker che guasconamente dipinge di rosso, diventando così “il Barone Rosso”.

Intorno a lui si stringe il Circo Volante, una squadriglia dai colori vivaci, temuta dai piloti alleati. Prima di cadere nei cieli di Amiens, il 21 aprile 1918 uscendo dalla storia per entrare nella leggenda, von Richthofen ha conseguito 81 vittorie riconosciute, sebbene possano essere più di 90 quelle effettive. Comunque i successi non bastano a spiegare la fama del Barone Rosso e perché sia lui ad incarnare la guerra aerea 1914-1918. Il fatto è che nella figura di von Richthofen si fondono alcuni elementi tipici, tratti peculiari del mito, ovvero la contrapposizione tra modernità (l'aereo, la Grande Guerra) e passato (l'aristocrazia, la cavalleria), l'inconfondibile sagoma del suo triplano, l'ammirazione dei commilitoni ed il rispetto degli avversari, la figura dell'asso nemico dotato di senso dell'onore.

Come e più di ogni altro cavaliere dell'aria, il mito del Barone Rosso tiene viva, negli anni delle inutili carneficine, l'illusione che la guerra sia ancora un grande gioco in cui chi muore giovane è caro agli dei, continuando a vivere nella leggenda dopo la morte.



La sua figura per decenni ed a distanza di un secolo ha influenzato anche le arti e la cultura popolare, dal cinema alla letteratura ed alla musica. Un esempio che mi piace riportare? Barone Rosso è il nemico contro cui combatte Snoopy nelle strisce a fumetti dei Peanuts quando immagina di essere un aviatore della Prima Guerra Mondiale.