venerdì 29 marzo 2019

Giallo, Noir & Thriller/66

Titolo: Il Segreto di Palazzo Moresco
Autore: Irma Cantoni
Editore: Libromania – 2018
 
Seguito de “Il Bosco di Mila”, Irma Cantoni ne “Il Segreto di Palazzo Moresco” a mio parere cerca di approfondire il personaggio che indaga ed allo stesso tempo di aggiungere temi ed analisi alla sua opera. Dal punto di vista puramente tematico il risultato è buono, apprezzabile per la serie di personaggi presentati e le questioni ad essi legate, meno da quello stilistico. La scrittura, pur mantenendosi su una leggibilità e qualità non comune nell'attuale offerta di narrativa in generale, tende a volte ad essere un po' noiosa ed in qualche passaggio stucchevole. Un peccato perché poche pagine rischiano di rovinare il gusto di una lettura comunque piacevole ed interessante.

Il commissario capo Vittoria Troisi si trova questa volta ad indagare per conto proprio, o quasi, su una serie di intrighi e misteri che fanno capo ad una famiglia dell'alta borghesia bresciana (come nel precedente libro tra l'altro), ma la parte forse che intriga maggiormente il lettore è quanto accade a Roma e che è direttamente legata ai rancori ed alle torbide questioni che albergano più a nord. È presente azione ed un minimo di suspense, ma poco sufficienti a bilanciare le comunque non frequenti digressioni pseudofilosofiche ed esistenziali che la Cantoni inserisce, probabilmente sulla scorta di personali esperienze.

La figura malvagia, il cattivo del romanzo, pur detestabile e che si desidera venga fermato per le aberrazioni e le violenze di cui è fautore, si ritaglia un posto migliore e viene quasi da preferirsi alla commissario capo, che sembra smarrirsi troppo e finire a capo della vicenda un po' senza meritarselo. La sua condizione fisica, poi, risulta alla fine poco più di un pretesto per una incursione, gratuita e di cui non si sentiva il bisogno, su un terreno e temi come la vita dopo la morte, le percezioni post trauma e sul finire della vita (insopportabile la sfilza di colori elencati che apparirebbero a Vittoria dopo un trauma). Un leggero (?) passo indietro nel complesso del romanzo rispetto a quanto letto in precedenza, anche se comunque la lettura qualche soddisfazione la dona.

Ginevra Moro non crede ai suoi occhi: sul treno che la porta da Brescia a Milano le sembra di vedersi riflessa in uno di quegli specchi che deformano la realtà; l'immagine che vede passare dall'altra parte del vetro è quella di un'adolescente dall'aspetto selvatico, un'anima alla deriva, una copia di se stessa priva della ricchezza e dell'eleganza tra le quali è cresciuta. Le strade di Brescia si preparano intanto ad accogliere il rombo dei motori e lo scintillio delle carrozzerie delle auto d'epoca che partecipano alla Mille Miglia. Durante la cena di gala che precede la corsa e vede riunita tutta la Brescia che conta, la capo commissario Vittoria Traisi conosce Lodovico Moro, il padre di Ginevra: tra scambi di battute e galanterie, il collezionista si lascia andare a confidenze sulla sua vita privata e familiare che lasciano interdetta Vittoria, indecisa se interpretarle come un tentativo di seduzione o una richiesta d'aiuto. Quando il corpo di Lodovico Moro viene ritrovato senza vita nello studio privato di palazzo Moresco, la magnifica residenza che cela alla stessa maniera tesori d'arte e rancori familiari, Vittoria è incaricata delle indagini. (da ibs.it)

giovedì 28 marzo 2019

L'Arte appartiene all'eternità

Ritratto di Edith Schiele

Eterno è Dio, che l'uomo lo chiami Buddha, Zarathustra, Osiride, Zeus o Cristo, ed eterno come lui è ciò che vi è di più divino dopo Dio: l'Arte. - L'Arte non può essere moderna, l'Arte appartiene all'eternità.
Egon Schiele - Diario dal carcere 




Autoritratto 

martedì 26 marzo 2019

Dampyr #228 - La Serva


Non nascondo una leggera delusione alla fine della lettura de “La Serva”, albo numero 228 di Dampyr. Dopo un interessante e stimolante prologo, arricchito da un excursus storico che faceva ben sperare, mi sono trovato in bilico fra sensazioni contrastanti.

Viene introdotto un nuovo nemico, Dorka, la serva della Contessa Bathory, esecutrice di una serie di omicidi che hanno poi reso tristemente celebre la nobile vampira, sanguinaria e crudele. Successivamente la sceneggiatura ci conduce all'attualità, in Ungheria, dove Harlan si trova ad aiutare il detective privato Vilmos Farkas a risolvere una serie di rapimenti e omicidi dietro i quali si nasconde proprio Dorka. Il protagonista, o meglio la voce narrante è proprio il detective ungherese, che dona un sapore noir all'albo, per una storia in buona parte veloce, agile e godibile, nonostante la scelta di affidarsi al testo e meno alle immagini, che non sempre rendono al meglio e riescono ad essere al pari dell'efficacia della scrittura (cosa che per alcuni lettori equivale ad un peccato pressoché imperdonabile).
Quel po' di delusione a cui accennavo risiede nel fatto che anche se l’albo risulta ben dosato nelle sue componenti, bilanciando sequenze dialogate e altre prettamente di azione, come nel finale amaro e indovinato, soffre invece per alcune scelte di caratterizzazione dei personaggi. Farkas è il “solito” ex poliziotto, come molti altri prima di lui retto ed incorruttibile come anche solitario e addolorato, mentre la figura di Dorka, che avrebbe potuto essere molto più trattata e “utilizzata” anche in una storia più lunga, all'interno di una valutazione obiettiva risulta piatta nella sua violenza e nel suo agire, mentre sarebbe stato apprezzabile conoscerla meglio, magari con qualche flashback aggiuntivo, che avrebbe potuto fornire ulteriori dettagli sulla sua vita, il suo passato, le sue vicende.

Molti secoli dopo gli efferati delitti della vampiresca assassina Erszbeth Bathory, la contessa che beveva il sangue delle giovani donne a lei affidate, il detective privato Vilmos Farkas, indagando a Budapest su alcune ragazze rapite, si imbatte in un terzetto di cacciatori di vampiri. Harlan, Kurjak e Tesla stanno dando la caccia alla vera mente e alla vera vampira dietro i leggendari eccessi della Contessa di sangue: Dorka, la serva! (da sergiobonelli.it)

lunedì 25 marzo 2019

Citazioni Cinematografiche n.295

La perla rimane pura per sempre, mentre la polpa dell'ostrica le marcisce intorno. 
(Eleanor/Saoirse Ronan in "Byzantium" di Neil Jordan - 2012 )



sabato 23 marzo 2019

A proposito di "Nebraska", di Alexander Payne


A proposito di “Nebraska”, film di Alexander Payne, ho avuto di recente un confronto con un giovane e simpatico collega. Eravamo entrambi d'accordo di aver visto un bel film, molto intrigante e coinvolgente, ottimamente recitato sia dai protagonisti che dai comprimari, con una superba fotografia ed una narrazione che fila bene e con soddisfazione.

A quel punto, un po' per dare pepe alla conversazione, un po' perché, fondamentalmente, io sono incontentabile ed anche “lievemente” spaccamaroni, ci siamo messi a trovare eventuali punti deboli nel film. Non proprio elementi negativi, si intende, ma quel qualcosa che non fa arrivare “Nebraska” a personali voti molto alti. Ora, per chiarezza, dichiaro che sarei contento se facessero più spesso film di quel livello e che a questa opera di Payne non esiterei ad assegnare un personale 7,5. Quindi potreste chiedermi quali sarebbero le cose di cui dovrei lamentarmi. Bene, di seguito espongo le mie osservazioni.

Il film scorre molto bene, sorretto anche da una colonna sonora particolarmente adatta. Forse scorre troppo bene. Nel senso che assistiamo esattamente a quello a cui ci aspettiamo di assistere. Accade tutto quello che vorremmo accadesse, nei tempi e nelle modalità che vogliamo e che conosciamo, dandoci un certo senso di soddisfazione e quasi facendoci stare bene, come se ci rispecchiassimo nel figlio che asseconda e accompagna il padre vecchio e malandato, o proprio in questo vedessimo una proiezione di noi stessi, del nostro padre e del rapporto che ci lega a lui. Un film sulle difficoltà di relazione fra padre e figlio, fra famigliari e all'interno della famiglia. È effettivamente uno temi presenti nel film, oltre alla terza età e tutto ciò che comporta. Ma manca un guizzo, una trovata, un evento che almeno in parte ci sorprenda e magari ci spiazzi, donandoci vita e movimento, chiamandoci ad un interrogativo, stimolandoci un dubbio e solleticando la nostra personale curiosità. Questo non è presente, il film ci conforta nella sua prevedibilità, ci fa fare pace con parti di noi, ma manca di una porzione di vita. Non è grave, ma mi sarebbe tanto piaciuto ci fosse. 
 
Un altro elemento a cui rivolgo le mie attenzioni è la scelta del bianco e nero. Già sottolineato come la fotografia sia magnifica, ritengo che in questo caso l'opzione di rinunciare al colore alla fine della visione risulti poco più di un vezzo stilistico, al limite di un ammiccare ad un pubblico in cerca di pellicole indie alternative (qui di genuinamente indie c'è poco e va anche bene così). Insomma, il bianco e nero può essere utilizzato per esaltare le forme e le linee, per accentuare e giocare con i contrasti, per sottolineare ambienti e situazioni così come stati d'animo e caratteri. In “Nebraska” tutto questo viene fatto poco e con scarsa convinzione, quasi accidentalmente, lasciando un pizzico di delusione nello spettatore, o almeno nello spettatore che sono io. Quanto ho esposto a bene vedere non sono difetti, per carità, definiamoli limiti, non enormi tanto meno fatali, ma che mi piacerebbe venissero superati in una prossima produzione o da un altro/a regista che si cimentasse con il genere. A proposito, ma che genere di film è Nebraska?
Un uomo anziano e alcolizzato, convinto di avere vinto un milione di dollari alla lotteria per corrispondenza della Mega Sweepstakes Marketing, cerca di raggiungere il Nebraska per incassare il premio. La moglie e i due figli, preoccupati che questa fissazione sia il primo passo verso la demenza senile, pensano di trovargli un posto in una casa di riposo. Vista l’insistenza del padre, uno dei due figli decide di accompagnarlo in macchina, imbarcandosi in un’avventura on the road dal Montana al Nebraska.

venerdì 22 marzo 2019

Between Two Lungs



Qualche anno fa ho già proposto questa canzone, “Between Two Lungs” dei Florence + Machine, in una più che apprezzabile versione acustica. Era contrassegnata dal tag videocitazioni, che come un gioco metaletterario e metaartistico accosta una citazione tratta da un romanzo, un saggio, una poesia oppure un discorso ad una canzone. Accostamento che trae origine dalla vicinanza di argomenti, dai temi o sensazioni proposti, oppure dal semplice utilizzo di medesime parole o frasi, come anche dalla mia sensibilità.

In questo caso propongo la stessa canzone all'interno di una esibizione dei Florence + Machine tenutasi alla Royal Albert Hall. È a mio parere estremamente emozionante ed intensa, con Florence Welch che oltre a cantare splendidamente, interpreta il brano trasmettendo e comunicando con il pubblico e riesce a valorizzare e valorizzarsi con il notevole accompagnamento approntato per l'occasione. Un video da vedere assolutamente e per goderlo al meglio, anche più volte, trascrivo l'emozionate testo.

Buon ascolto e buona visione/lettura.


Between two lungs it was released
The breath that carried me
The sigh that blew me forward


'Cause it was trapped
Trapped between two lungs, it was
Trapped between two lungs, it was
Trapped between two lungs


And my running feet could fly
Each breath screaming, "we are all too young to die"


Between two lungs it was released
The breath that passed from you to me
It flew between us as we slept
That slipped from your mouth into mine, it crept
Between two lungs it was released
The breath that passed from you to me
It flew between us as we slept
That slipped from your mouth into mine, it crept

'Cause it was trapped
Trapped between two lungs, it was
Trapped between two lungs


Gone are the days of begging, the days of theft
No more gasping for a breath
The air has filled me head to toe
And I can see the ground far below
I have this breath and I hold it tight
And I keep it in my chest with all my might
I pray to God this breath will last
As it pushes past my lips, as I
Gasp, gasp
Ah ah ah ah

martedì 19 marzo 2019

1947 di Elisabeth Åsbrink - Iperborea

Titolo: 1947
Autore: Elisabeth Åsbrink
Traduttore: Alessandro Borini
Editore: Iperborea - 2018
«C'è solo questo anno, il 1947, in cui tutto si muove in modo vibrante, senza stabilità e senza meta, perchè ogni possibilità è ancora aperta.»

Il 1947 è l'anno di nascita di mio padre, ma è anche il curioso titolo di un libro edito da Iperborea.
Non è un romanzo, tantomeno un saggio storico od un “semplice” annuario, resoconto del secondo anno di dopoguerra, bensì un affascinante e riuscito ibrido letterario. L'autrice, la svedese Elisabeth Åsbrink , offre al lettore le sue ricerche, il suo interesse per un periodo, per un anno che solo superficialmente potrebbe sembrarci uno dei tanti, apparentemente non tanto diverso da quello precedente e da quelli che seguiranno.

Ci troviamo a leggere una prosa accattivante ed elegante nella sua immediatezza, che ci accoglie in un anno, il 1947 appunto, che ci cala nei destini di personaggi d’eccezione e persone comuni, per comporre un racconto poetico e documentatissimo, nel quale la Åsbrink ricompone il puzzle di un anno emblematico per la sua identità personale e per quella collettiva. Si legge di gerarchi nazisti in fuga, con la complicità di fascisti europei che si stanno riorganizzando e la cecità più o meno manifesta dei Paesi occidentali che ora hanno nell'Unione Sovietica il nuovo nemico. Ci si appassiona della lotta, portata avanti da un solo uomo, affinché si riconosca il reato di genocidio, mentre Christian Dior presenta al mondo la sua idea di moda. Si seguono le vicissitudini di migliaia di profughi, ebrei ma non solo, nell'Europa ferita a morte dal conflitto. Viene stimolata la curiosità su tanti temi, pubblici e privati. Il tutto per illustrare e far vivere porzioni di storie e di Storia.

Si passa dagli Stati Uniti del Piano Marshall e dei primi avvistamenti di Ufo alla Palestina degli ultimi mesi di presenza britannica, dall'Italia di Primo Levi che tenta invano di farsi pubblicare all'India che sta per divenire indipendente, dai paesi scandinavi patria sia della socialdemocrazia che della riorganizzazione fascista all'Egitto dove si comincia a parlare di jihad, dall'Ungheria socialista a remote isole nel mare del nord passando per la Germania occupata. Non solo storia ma anche cinema, musica, moda e letteratura, temi sociali e religiosi, amore e rivalità, odi e rancori, speranze e rinascite.
Un piccolo capolavoro, in grado di toccare una serie di eventi, presentare un'infinità di passaggi importanti che hanno condizionato il futuro, gli anni a venire, fino a condurci al giorno d’oggi.

 

lunedì 18 marzo 2019

Citazioni Cinematografiche n.294

Ned: Forse non dovresti vestire così.
Matty: Ho una camicetta, non vedo che altro dovrei portare.
Ned: Non dovresti portare quel corpo.

(Ned Racine/William Hurt e Matty Walker/Kathleen Turner in "Brivido Caldo", di Lawrence Kasdan - 1981) 



venerdì 15 marzo 2019

Giallo, Noir & Thriller/65

Titolo: Casino Totale
Autore: Jean-Claude Izzo
Traduttore: Barbara Ferri
Editore: E/O - 1999

Casino Totale è il romanzo che apre quella che è stata definita “La Trilogia di Fabio Montale”, ovvero i tre libri che hanno portato la fama a Jean-Claude Izzo, che si sarebbe poi guadagnato l'appellativo di fondatore del noir mediterraneo.

Il protagonista, come è facile immaginare è Fabio Montale, singolare poliziotto che cerca faticosamente ma con tenacia e ostinazione di comporre i cocci della sua vita di figlio di immigrati e di quella di tanti altri figli (immigrati e non) di una città come Marsiglia. Città che legittimamente assurge a co-protagonista del romanzo e poi dell'intera trilogia. Izzo la dipinge come una città dura, persino maledetta, pericolosa e chiusa in sé stessa, tanto da renderti difficile viverci e lavorarci, in grado di crearti problemi, portarti dolore ma anche di regalarti momenti di serenità, quando non riempirti di poesia e felicità.
In Casino Totale, come anche negli altri due romanzi che seguiranno (Chourmo e Solea), Marsiglia vive un periodo di incertezza e confusione, che va seguito ad anni di intenso sviluppo economico che ha portato uomini e donne delle ex colonie francesi, arabi, italiani a trasferirsi qui in cerca di lavoro e stabilità, soprattutto attorno al porto ed alle zone periferiche. Ora il quotidiano è fatto di ristrettezze economiche, tensione sociale, diffidenza verso gli “ultimi arrivati”, gli arabi di seconda generazione ed i francesi non per sangue ma per nascita. Terreno florido per la malavita così come per i gruppi xenofobi.

Trama non proprio facile da seguire, sebbene supportata da una scrittura decisa, netta ed efficace. Non bisogna aspettarsi troppo dall'elemento giallo, fin troppo esile, poiché non è questo l'ingrediente principale, bensì si rimane stupiti da quanto Izzo (morto nel 2000 a 56 anni) abbia fatto scuola in merito al gusto noir di ambientazione sociale e malavitosa, dato il discreto numero di opere che ne risultano ispirate in modo più o meno diretto. Quella che in superficie, dopo poche pagine lette, può apparire come una storia di vendetta, di riscatto, si rivela qualcosa di maggiormente originale. Gli ingredienti noir ci sono tutti, presenti e passati, le vite e le vicende raccontate si prestano bene ad essere gustate, anzi divorate dal lettore, che non può che rimanere affascinato da Fabio Montale. Lui non è il classico investigatore disilluso e duro, attorniato da nemici e da una pericolosa pupa, non ha nei muscoli la sua principale arma, bensì nell'ascolto, la compassione e poche, ma semplici idee, anzi principi morali, radicatisi in lui fin dall'infanzia povera nei quartieri popolari della cittadina francese affacciata sul mare. Montale è un solitario, ama la buona cucina, il vino, il whiskey, non può vivere senza il mare, la musica e la poesia. Non c'è traccia di sarcasmo o crudele ironia in lui, è gentile, mai scontroso, spiccio quanto e quando serve e, in barba alla depressione, cerca di portare avanti la sua esistenza, quasi disperatamente, tentando di fare la cosa giusta per le persone che ama e che ritiene lo meritino, anche quando, pur di riuscirci, mette a rischio tutto se stesso. 

Dopo anni di vagabondaggi nei mari del Sud, Ugo torna a Marsiglia per vendicare Manu, l'amico di gioventù assassinato dalla malavita. Ma anche lui resta ucciso e toccherà a un terzo amico, Fabio Montale, il compito di fare giustizia. Tutti e tre - Ugo, Manu e Montale - sono cresciuti nei vicoli poveri del porto di Marsiglia. Assieme hanno fatto i primi furtarelli, poi qualche rapina, ma hanno anche condiviso i sogni di paesi esotici, i primi dischi e i primi libri, le nuotate in mare, le ubriacature. E soprattutto hanno amato la stessa donna, Lole. Poi le strade si sono separate: Manu si è perso in giochi criminali troppo grandi, Ugo è partito, Montale è diventato uno strano poliziotto, più educatore di strada nei quartieri difficili che sbirro. Ora dovrà sostenere un'inchiesta durissima contro tutto e tutti, in una città, Marsiglia, simbolo di un Mediterraneo diviso tra bellezza e violenza, tra due colori: l'azzurro del cielo e del mare e il nero della morte e dell'odio. (da ibs.it)

mercoledì 13 marzo 2019

Il difficile




Il difficile non è raggiungere qualcosa, è liberarsi dalla condizione in cui si è.
(Marguerite Duras ne "L'Amante")


lunedì 11 marzo 2019

Citazioni Cinematografiche n.293

In fondo non mi serve una medaglia per sentirmi buono. Perché se quella ragazzina mi vuole bene... tanto cattivo non posso essere, no? 
(Ralph in "Ralph Spaccatutto", di Rich Moore - 2012)





sabato 9 marzo 2019

Se vi va di vedere qualche anime



Gli anime derivano da un neologismo nato in Giappone e ormai diffuso in tutto il mondo come abbreviazione di animation. Quella a loro riconducibile risulta una delle industrie di primo piano in Giappone, hanno una storia lunga e molto complessa ed affascinante, con il merito di ricoprire un ruolo cruciale dal punto di vista culturale, narrativo, tecnico e sociale da circa 100 anni.

Per chi ama il genere, per chi vorrebbe avvicinarvisi, per chi solo occasionalmente li ha incontrati, un po' anche per chi non li conosce e magari ci si accosta con molte riserve e qualche reticenza. Una mia breve e per forza di cose parziale selezione di anime, divisi per decennio, uno ciascuno dagli anni 80 ai 10 del ventunesimo secolo, senza Hayao Miyazaki per rendere il tutto meno scontato.


Akira (Katsuhiro Ōtomo, 1988)
Titolo per forza di cose fondamentale, imprescindibile per aver concentrato fantascienza, politica, analisi sociologica e dei caratteri, gigantismo rappresentativo ed una sorta di intimismo difficile da ignorare. Importante per aver (ri)dato vita al rapporto fra Oriente ed Occidente, oltre che per aver rappresentato in modo nuovo e non stereotipato i personaggi e gli ambienti, fino a quel momento noti al grande pubblico attraverso soprattutto le serie anime trasmesse in televisione, il tutto immerso in una ambientazione ed in una narrazione cyberpunk. Ammetterete che non è poco. Infine Akira è riuscito ad anticipare, a rappresentare e predire il futuro come pochi altri film sono stati in grado di fare, finendo poi per risultare una vetta fra le vette dell'animazione.


Ghost in the Shell (Mamoru Oshii, 1995)
Film a me molto caro, nonostante l'evidente complessità al limite della comprensione. Ancora fantascienza, ancora e di più cyberpunk, d'altra parte il periodo era quello giusto, non solo in Giappone ma anche in Italia. Punto di ispirazione anche per Matrix, i film dei fratelli/sorelle Wachowski, oltre che altro ancora e summa ma allo stesso tempo punto di ripartenza per un genere e per una serie di riflessioni sull'essere, sulle sue forme e le sue possibilità. Il tutto in una veste grafica e drammatica di alto livello che rende digeribile un ragionamento complesso e stratificato su tanti, forse anche troppi temi.


Metropolis (Rintarō, 2001)
Sebbene qualche imperfezione e più di un momento non proprio convincente, rappresenta un apprezzabile e imperdibile tentativo di sintetizzare diverse concezioni di cinema e di racconto. Evidente è l'intenzione di omaggiare l’omonimo film di Fritz Lang, cosa che in qualche passaggio risulta un ostacolo ed un limite, ma siamo di fronte ad un vero e proprio kolossal nipponico, in cui lo sfarzo visivo, con relativa goduria per lo spettatore, si accompagna al tentativo di ricondurre il concetto di coscienza robotica a un discorso politico e solo minimamente esistenziale. Ad accompagnare il tutto abbiamo una messa in scena fastosa che integra animazione tradizionale e computer graphic. Per uno spettatore poco allenato si esagera un po', ma resta comunque un fascino complessivo di alto livello.


Your name. (Makoto Shinkai, 2016)
Il più recente e quello che mi rimane più presente nella memoria, avendolo visto pochi mesi fa. Emozionante e coinvolgente, leggero e drammatico, rappresentativo e narrativo, con ogni elemento che funziona alla grande e svolge il suo ruolo negli spazi e nei tempi che gli vengono concessi. In Your name. è presente una non comune poetica in grado di coniugare audaci minimalismi e distanze abissali, amori adolescenziali e paradossi temporali, slanci da commedia adolescenziale e fondali pittorici abbacinanti, mozzafiato sequenze e maniacali rappresentazioni grafiche nella loro certosina perfezione. Uno stile e un’animazione che si rivela viva e pulsante, tanto da rendere impossibile non affezionarsi ai giovani protagonisti e non tifare per loro, struggendosi per le vite che si incrociano.

Titoli Bonus:
Una tomba per le lucciole (Isao Takahata, 1988);
Wolf Children (Mamoru Hosoda, 2012);
In questo angolo di mondo (Sunao Katabuchi, 2016).



lunedì 4 marzo 2019

Citazioni Cinematografiche n.292

Dallas: Mi senti, Ripley?
Ripley: Sono qui.
Dallas: Siamo sterili, facci entrare.
Ripley: Che è successo a Kane?
Dallas: Gli si è attaccato addosso qualcosa, dobbiamo portarlo in infermeria immediatamente.
Ripley: Che genere di cosa, mi occorre una definizione esatta!
Dallas: Un organismo... Apri il portello.
Ripley: Un momento, se lui entra la nave può essere infettata, conosci la procedura di quarantena: ventiquattro ore per la disinfezione.
Dallas: Può morire in ventiquattr'ore, apri il portello!!
Ripley: Ascoltami: potremmo morire tutti facendolo entrare.
Lambert: Senti, vuoi aprire questo maledetto portello? Dobbiamo riportarlo dentro!
Ripley: No, non posso farlo. E se tu fossi al mio posto faresti lo stesso.
Dallas: Ripley, questo è un ordine: apri subito il portello, mi senti?
Ripley: Sì.
Dallas: Ti dico che è un ordine, mi senti?!
Ripley: Sì, ti sento. La risposta è negativa.
Ash : Portello interno aperto.

(Dallas/Tom Skerrit, Ripley/Sigourney Weaver e Ash/Ian Holm in "Alien", di Ridley Scott - 1979)