lunedì 26 marzo 2018

Citazioni Cinematografiche n.243

Libanese: A me a scola me piacevano solo l'imperatori: Augusto, Tito, Adriano...
Freddo: A me no! Erano tutti matti!
Libanese: Sì però era gente che pensava en grande a Fre'!
Freddo: No, no, finivano sempre male, poi mica in guera eh, sempre così pe' e stronzate...
Libanese: Che ne sai magari ce capita pure a noi così.
Freddo: Che te pensi de esse' n'imperatore? Oddio un po' de manie de grandezza ce l'hai.
Libanese: Le manie de grandezza ce l'hanno avute tutti quelli c'hanno cambiato a storia...
Freddo: Tipo?
Libanese: Mussolini, Hitler, te ce metto pure Stalin, eh...
Freddo: Sì, e mettece pure Mao Tse-tung...
Libanese: Mao Tse-tung è comunista però c'ha du' palle così... Dittatori, vabbè, ma che male c'è a esse dittatori?
Freddo: No, no, coi dittatori nun me ce ritrovo proprio.
Libanese: Eh, lo so, lo so! Pare che nun te conosco... Come te conosco io, nun te conosce nessuno, Fre'!

(Il Libanese/Pierfrancesco Favino e Il Freddo/Kim Rossi Stuart in "Romanzo Criminale", di Michele Placido - 2005) 



sabato 24 marzo 2018

La mia Vita da Zucchina (2016)



Capita, a volte, che il caso, le circostanze, qualche motivazione indipendente da noi, ci porti ad esperienze ed eventi che non avremmo immaginato possibili. Accade quindi che dopo un po', a volte durante le vicende stesse vissute, si faccia un bilancio, magari parziale, che ci porti a ringraziare o maledire la sorte.

Molto più banalmente può succedere che in visita dai nonni, i miei bambini ed io vediamo un bel film d'animazione che ci eravamo persi alla sua uscita nei cinema.
La mia Vita da Zucchina”, per la regia di Claude Barras e distribuito da Teodora Film, è veramente un film prezioso. Originale per la capacità di liberarsi delle ormai imperanti logiche dell'animazione commerciale, senza però perdere il necessario e fondamentale equilibrio tra narrazione e scelte tecnico-artistiche, personale visione del lavoro di produzione e regia e ragioni di opportuna visibilità e fruizione da parte del pubblico. Poco più di un'ora di essenziale e pregevole lavoro artistico e narrativo, con al centro idee forti e chiare, per una sceneggiatura semplice e diretta, con poco intreccio drammaturgico, ma tanto diretto da farsi godere in tutto e per tutto.
Volutamente la storia è lineare, in qualche passaggio fin troppo semplice, con una dose di didascalico che non disturba perché inserita in una visione del prodotto che fa della semplicità e della purezza delle intenzioni il suo punto forte.

Basta poco per delineare caratteri ed ambienti, affetti e pulsioni, personaggi positivi e negativi, scenari e pensieri. Chiare sono le linee dell'animazione a passo uno che riportano alle emozioni del giovane Tim Burton, chiare sono le storie dei bambini protagonisti, cristallini i sentimenti e le azioni rappresentate, per una lucida essenzialità che arricchisce la visione ed il cuore di chi ferma a seguire le vicende di Zucchina e degli altri ospiti della comunità per minori in cui viene inserito.

È comunque presente qualche eccellenza e mirabile preziosismo, dato dai dialoghi e dall’accuratezza dei tessuti, dei vestiti, dai netti cromatismi e da una immediatezza estetica che piace ai bambini e agli adulti che sappiano spogliarsi di sovrastrutture estetizzanti e tecno inganni così di moda.

Zucchina non è un vegetale, è un ragazzino molto coraggioso. Quando perde la madre, pensa di essere rimasto solo al mondo, ma non ha fatto i conti con tutte le persone che incontrerà nella sua nuova vita nella casa dei bambini… Simon, Ahmed, Jujube, Alice e Béatrice: hanno tutti delle storie particolari e anche i più duri hanno in realtà un cuore d’oro. E poi c’è quella ragazzina, Camille. A dieci anni si può avere un gruppo di amici, ci si può innamorare, ci sono tantissime cose da scoprire e imparare. E si può essere felici.

giovedì 22 marzo 2018

Ogni artista è un eroe




“Ogni artista è un eroe, bisogna che soffra perché un giorno abbia la gioia di imporre a tutti la sua vittoriosa personalità”
(James Ensor) 





lunedì 19 marzo 2018

Citazioni Cinematografiche n.242

James Bond: Sei una delle più belle ragazze che io conosca.  
Tatiana Romanov: Grazie, ma forse ho la bocca troppo grande.  
James Bond: No, è della grandezza giusta... almeno per me.

(James Bond/Sean Connery e Tatiana Romanov/Daniela Bianchi in "A 007, dalla Russia con amore", di Terence Young - 1963) 




sabato 17 marzo 2018

Giallo, Noir & Thriller/51

Titolo: False Apparenze
Autore: Dahl Kjell Ola
Traduttore: Paterniti Giovanna
Editore: Marsilio – 2012



Quarto episodio della serie creata da Kjell Ola Dahl, “False Apparenze” vede maggiormente protagonista l'ispettore Frank Frølich, anche perché Gunnarstranda è inizialmente in ferie entrando in scena e nel cuore delle indagini solo successivamente.
Frølich si trova coinvolto in due, addirittura tre indagini o comunque casi da affrontare, per certi versi suo malgrado, dovendo fare inevitabilmente i conti con le proprie emozioni, le pulsioni che lo caratterizzano in questa fase della sua vita e con il proprio passato. Un passato che segna ed incide sul presente e sul suo lavoro, influenzatone a tal punto che il suo diretto superiore Gunnarstanda e la polizia di Oslo tutta cominciano a dubitare delle sue capacità di indagine e studio delle vicende narrate. Si intrecciano varie piste, che riguardano un traffico di droga, la morte di una giovane donna promessa sposa dell'amico d'infanzia di Frølich, la scomparsa di una studentessa africana ed un vecchio caso in cui è coinvolto uno psicologo vicino, in qualche modo, a pressoché tutti i personaggi del romanzo.



Le piste seguite si rivelano una ad una fallaci, del tutto od in parte, con inaspettati punti di intersezione tra loro. Molto efficace il lavoro di Kjell Ola Dahl, che riesce a mantenere il ritmo, alternando azione e meditazione, non invasive descrizioni e narrazione costante, che coinvolge il lettore e gli dona una certa dose di incertezza e tensione che si diffonde per tutta le lettura. Non proprio una gran figura, professionalmente parlando, di Frank Frølich, che viene raccontato in tutta la sua umanità e i propri dubbi ed insicurezze, ma un episodio stimolante e ben scritto che rinnova il gusto per questa serie.




Nel cuore della notte, in un cassonetto delle immondizie nel centro di Oslo, giace il corpo di una giovane donna avvolto con cura in una pellicola di plastica trasparente. Chiamato dal medico legale, l'ispettore Frank Frølich la riconosce: l'aveva da poco incontrata alla festa del suo migliore amico di un tempo, che ora diventa il principale sospettato dell'omicidio. Costretto controvoglia a occuparsi del caso, Frølich sa di non poter essere imparziale. Le indagini riportano in vita tormentati ricordi legati alla sua giovinezza, ma proprio nel passato potrebbe nascondersi un'importante traccia per la soluzione. In un pericoloso gioco di equivoci e simulazioni, Frølich si trova coinvolto in un'indagine emotivamente molto complessa, che si confronta con la lealtà più nobile e il tradimento più intollerabile, dove razionalità, passione e desiderio di rivalsa si fondono in una miscela esplosiva, dando vita a un crescendo di colpi di scena. (da marsilioeditori.it)

giovedì 15 marzo 2018

Una questione di strade



LA STRADA NON PRESA
Divergevano due strade in un bosco
Ingiallito, e spiacente di non poterle fare
Entrambe essendo uno solo, a lungo mi fermai
Una di esse finché potevo scrutando
Là dove in mezzo agli arbusti svoltava.

Poi presi l'altra, che era buona ugualmente
E aveva forse i titoli migliori
Perché era erbosa e poco segnata sembrava;
Benché, in fondo, il passar della gente
Le avesse invero segnate più o meno lo stesso,

Perché nessuna in quella mattina mostrava
Sui fili d'erba l'impronta nera d'un passo.
Oh, quell'altra lasciavo a un altro giorno!
Pure, sapendo bene che strada porta a strada,
Dubitavo se mai sarei tornato.


Questa storia racconterò con un sospiro
Chissà dove fra molto molto tempo:
Divergevano due strade in un bosco e io...
Io presi la meno battuta,
E di qui tutta la differenza è venuta.
(Robert Frost, Trad. Giovanni Giudici)



lunedì 12 marzo 2018

Citazioni Cinematografiche n.241

Solo chi sogna può volare! 
(Peter Pan in "Le Avventure di Peter Pan", di Clyde Geronimi, Wilfred Jackson e Hamilton Luske - 1953)



sabato 10 marzo 2018

Le Storie #65 - Il Terzo Giorno


A proposito del numero 65 della collana “Le Storie” inevitabilmente il primo aggettivo che si utilizza ed ampiamente viene divulgato è “lovecraftiano”, poiché i riferimenti all'autore di Providence sono dichiarati ed evidenti, fin dalla bella copertina di Aldo Di Gennaro. Ci sarebbe da ricordare anche Poe, ma Lovecraft è senza dubbio presente e preponderante.
Messa così si rischia la delusione e di allontanare dall'albo “Il Terzo Giorno” ben più di un potenziale lettore. Infatti gli omaggi del mondo del fumetto e dell'illustrazione all'autore statunitense sono molteplici e spesso apprezzabili, per cui se ci si ferma a definire il lavoro di Marco Nucci, Isaak Friedl e Stevan Subic come un semplice omaggio e una storia ispirata ai racconti di Lovecraft, molti di noi rimarrebbero un po' freddi di fronte ad un “ennesimo” tributo al maestro del fantastico e dell'horror.


Fortunatamente c'è altro e anche se a fine lettura il mio giudizio non è stato entusiastico bisogna riconoscere che almeno per la prima parte la lettura è appassionante. Gangster novel dai toni e dalle inquadrature nettamente cinematografiche che si incontra con il fantastico e l'horror di buona qualità, per una trama ben studiata e che scivola bene. Discorso diverso per la seconda parte della storia, quando sembra che gli autori abbiano messo in pista troppi elementi e l'accelerazione del ritmo e dell'azione, a scapito dei punti centrali della trama e della sceneggiatura, fa perdere un po' il filo di tutto ed il lettore prova la sgradevole sensazione di non ritrovarsi più.


Una sorta di disorientamento che lo costringe a tornare a sfogliare le pagine lette in precedenza per cercare di riannodare qualche filo e riprendere qualche passaggio, nel tentativo, a mio modo di vedere velleitario per quanto infruttuoso, di riprendersi. Tale sforzo per fortuna viene ripagato dal poter rivedere ed apprezzare le splendide tavole firmate da Stevan Subic. Il disegnatore serbo compie un gran bel lavoro, con un suo tratto personale da cui si notano i suoi gusti e preferenze per l'uso del chiaro e scuro, delle ombre e del nero. Tocco personale che si fa apprezzare per la cura dei dettagli e per l'abilità di rendere sulla carta un orrore immaginifico e visionario, in grado di supplire ai passaggi narrativi meno convincenti.

Tre banditi in fuga in un giorno di pioggia. Gli ingredienti perfetti di un gangster-movie, con tanto di sparatorie e inseguimenti. O forse no? Lungo quelle strade coperte di fango, sulla costa di un mare minaccioso, anche il criminale più spietato può incontrare qualcosa di troppo duro per i suoi denti, qualcosa di antico e malvagio che attende nella tenebra... (da sergiobonelli.it)


giovedì 8 marzo 2018

Modello n°1: Giuditta!


Giuditta I
Autore: Gustav Klimt – 1901

Vienna, Österreichische Galerie

Giuditta è una delle eroine bibliche, non necessariamente la mia preferita ma una di quelle che maggiormente ha stimolato pittori, scrittori ed artisti in genere, nonché la fantasia di molti.
Gustav Klimt evidentemente non fu insensibile al suo fascino, dato che la ritrasse in due occasioni, in questo caso con il suo stile tipico. Opera in cui c'è molto di decorativo, che fa largo utilizzo di elementi dorati, che qui vediamo sia nello sfondo, ricco di elementi vegetali, che nella veste di Giuditta, oltre che nel suo ricco collare pieno di pietre preziose.
Giuditta, giusto per ripassare un po' di storia biblica, al fine di salvare il popolo ebraico, sedusse il generale assiro Oloferne per poi ubriacarlo e ucciderlo tagliandogli la testa. Ragione per cui nel dipinto, in modo teatrale e un po' truce, la vediamo mentre tiene in mano la testa dell'avversario.

Come in diverse opere di Klimt, anche qui non manca una certa dose di sensualità, esaltata dalla veste che si apre sul seno della donna, scoprendolo e mostrandolo all'osservatore. Tale sensualità ai nostri occhi assume una doppia valenza, come se l'osservatore fosse messo in guardia ed invitato a diffidare delle donne audaci e provocanti.
Una femme fatale di inizio novecento ispirata alla biblica Giuditta? Effettivamente il tema della femme fatale ispirò molti artisti ed il '900 si sarebbe prestato molto bene a ciò. Se quindi nel Rinascimento Giuditta era simbolo di eroismo, coraggio, forza di volontà e amore per la patria, nel dipinto di Klimt diventa quasi simbolo di un erotismo pericoloso e crudele. Ne sono prova anche lo sguardo beffardo della donna, che si rivolge a chi la osserva per indicargli la fine che potrebbe fare, e il gesto della mano destra, che invece pare accarezzare ironicamente i capelli di Oloferne.

Franz Lehár - Valzer di Giuditta 


lunedì 5 marzo 2018

Citazioni Cinematografiche n.240

Detective Nock: Può una macchina pensare?  
Alan Turing: Quindi ha letto le mie pubblicazioni.  
Detective Nock: Perché dice questo?  
Alan Turing: Perché sono in una stazione di polizia accusato di aver pregato un ragazzo di toccarmi il pene e lei mi ha appena domandato se le macchine pensano.
Detective Nock: È così o no? Può una macchina riuscire a pensare come un essere umano?  
Alan Turing: Molti dicono di no.  
Detective Nock: Lei non è molti.  
Alan Turing: Il problema è che la sua è una domanda stupida.  
Detective Nock: Lei dice?  
Alan Turing: È ovvio che le macchine non possono pensare come le persone. Una macchina è diversa da una persona e pensa in modo diverso. La domanda interessante è: poiché qualcosa pensa diversamente da noi vuol forse dire che non sta pensando? Noi ammettiamo che gli esseri umani abbiano divergenze gli uni dagli altri. Lei ama le fragole, io odio pattinare, lei piange ai film tristi, io invece sono allergico al polline. Qual è il punto d-di avere gusti diversi, diverse preferenze se non mostrare che i cervelli lavorano diversamente e che pensiamo diversamente? E se diciamo questo delle persone non possiamo dire lo stesso di cervelli fatti di rame, acciaio e cavi?

(Detective Nock/Rory Kinnear e Alan Turing/Benedict Cumberbatch in "The Imitation Game" di Morten Tyldum - 2014) 



venerdì 2 marzo 2018

La Neve di Stalingrado - Editoriale Cosmo


“Un Eroe Una Battaglia” è una breve serie della Editoriale Cosmo, ne avevo già parlato a proposito della Battaglia di Caporetto, torno a farlo ora con “La Neve di Stalingrado”.

Le considerazioni possono essere ridotte a due, di differente tipologia. La prima è più tecnica, la seconda storico-narrativa e un po' di natura evocativa.
In merito all'aspetto tecnico-artistico lo stile scelto è semplice ed efficace, i disegni di Valerio Befani sono un elemento positivo di questo albo, soprattutto nelle tavole in cui l'autore si sofferma con cura sui dettagli e grazie ad una inchiostrazione pastosa riesce a donare pathos ad una serie di disegni e scene che nella loro struttura tendono ad essere poco dinamiche, non solo a causa del formato un po' sacrificato, omaggio e recupero del fumetto bellico anni 60 (a cui la serie si è evidentemente ispirata). La sceneggiatura di Davide La Rosa è efficace e riesce a tenere ben in asse la narrazione storica, con realismo e fedeltà ai fatti, ed elementi romanzati e ricostruzione libera degli avvenimenti, nonostante qualche concessione a determinati cliché tipici dei film di guerra e qualche dialogo un po' troppo moralista e consolatorio. Che la guerra sia brutta e faccia schifo, tiri fuori il peggio e a volte il meglio dagli uomini e dalle donne è ormai ampiamente stato rappresentato, al cinema, nei romanzi, nel fumetto e nelle canzoni, per cui una maggiore originalità e un po' più di rigore sarebbe stato preferibile, ma bisogna cercare di raggiungere il pubblico, per cui va bene così.

Per quanto riguarda l'aspetto di ricostruzione e di narrazione storica, si nota un buon lavoro di ricerca e preparazione. L'azione si svolge nel contesto dei combattimenti della Seconda guerra mondiale che tra l’estate del 1942 e il 2 febbraio 1943 videro i soldati dell’Armata Rossa opporsi all'offensiva delle truppe tedesche, italiane, rumene e ungheresi, per il controllo della regione fra il Don e il Volga, e in particolare della città di Stalingrado (attuale Volgograd), allora centro politico ed economico di importanza strategica.
Siamo nel pieno dell’Operazione Barbarossa, ritenuta dagli storici la più vasta operazione militare terrestre di tutti i tempi, sul fronte orientale della seconda guerra mondiale La battaglia di Stalingrado ebbe inizio con l’avanzata delle truppe dell’Asse fino al Don e al Volga, e terminò con l’annientamento della 6ª Armata tedesca rimasta circondata, segnando la prima grande sconfitta politico-militare della Germania nazista, nonché l'inizio dell’avanzata sovietica verso ovest, che sarebbe poi terminata con la battaglia di Berlino e il suicidio di Hitler.

All'interno dell'albo un ruolo centrale lo riveste la cosiddetta “Casa di Pavlov”, che ha assunto negli anni una valenza fortemente simbolica per i Sovietici, come segnale dell’ostinata resistenza dell’URSS durante la battaglia di Stalingrado e la Grande Guerra Patriottica più in generale. Qui il lettore fa la conoscenza di Irina, personaggio allo stesso tempo inventato e rappresentativo di un popolo e di una nazione, che, pur mostrandosi come un’eroina impavida al limite della sfrontatezza, simbolo di una femminilità forte e fiera, non soverchia per importanza il ruolo focale che la Storia ha in questo fumetto, né appare come una presenza eccessivamente ingombrante, venendo lasciato ampio spazio ai personaggi storicamente vissuti, come il generale tedesco, poi feldmaresciallo, Friedrich Paulus. Il ruolo di Irina, in modo funzionalmente strategico a livello di sceneggiatura e narrativo, diviene quello di offrire al lettore un personaggio nel quale identificarsi, in grado di accompagnarlo nella Storia e di condurlo verso un finale aperto quanto amaro. La guerra non finirà dopo l'assedio di Stalingrado, simbolo di molto e di più nel bilancio di una guerra e della Storia europea e mondiale, giustamente utilizzato per rappresentare, ricordare, omaggiare e anche fare propaganda, poiché i Sovietici invasi in fondo loro stessi avevano invaso (gli stati baltici ad esempio).

Comunque, ricordando il testo di una canzone degli Stormy Six, da quel momento “sulla sua strada gelata la croce uncinata lo sa d'ora in poi troverà Stalingrado in ogni città”.


giovedì 1 marzo 2018

Esther Stories



E' vero, la bellezza di Esther facilitava le cose a tutti, perché così nessuno doveva davvero guardarla. Creava una distanza di cui nessuno si accorgeva veramente fino a molto tempo dopo. Ma nella mia famiglia c'era anche un ragazzo che poi, crescendo, sarebbe diventato mio padre. Mentre tutti gli altri amavano la bellezza di Esther senza guardarla davvero negli occhi, mio padre vedeva tutta un'altra persona. La Esther che voleva essere vista da mio nonno da dietro quella macchina fotografica. E mio padre la odiava. […] Mio padre vedeva solo la Esther spaventata, inquieta, imperfetta. La Esther dei capricci. La Esther che si faceva venire certi attacchi fino a quando compì sedici anni. Che dava in escandescenze rotolandosi sul pavimento della cucina, urlando che le facevano schifo i suoi capelli e tirando le scarpe addosso a Olivia”.

(da Esther Stories, di Peter Orner, trad. Riccardo Duranti – Minimum Fax)