venerdì 31 ottobre 2014

Dylan Dog #338 - Mai più, Ispettore Bloch


Esempio di metanarrazione nell’ultimo albo di Dylan Dog.

Il numero 338 della serie, “Mai più, Ispettore Bloch”, presenta la prima, grande rivoluzione nell’universo narrativo dell’inquilino di Craven Road. Il pensionamento dell’Ispettore Bloch, mentore dell’old boy Dylan, è occasione per far tornare in scena la Morte e rompere un equilibrio, narrativo e “ambientale”, sul quale buona parte del microcosmo della serie si basava.

L’ispettore raggiunge la tanto agognata, invocata e rimandata pensione. Come prima di lui, tanti personaggi cinematografici e letterari erano ritratti alle soglie di questo traguardo, spesso “giocandoci sopra” ed utilizzando tale condizione per creare situazioni e gag ad arte, o anche solo semplicemente come elemento caratterizzante di un “tipo” o, appunto, di un “carattere”.
Qui l’occasione del ritiro di Bloch dal lavoro è utilizzata per presentare una efficace e convincente metafora, sufficientemente chiara ma non banale e a mio avviso ben sviluppata. Ovvero la pensione come simbolo della perdita di status dell’ispettore, che, smettendo di lavorare e di essere quell’informale superiore di Dylan Dog, rischia di “morire” come figura dell’universo narrativo presentato, di non essere più un importante ed adeguato comprimario, alla pari ed in contrapposizione a Groucho, ed esposto quindi all’azione della Morte, che in effetti nelle pagine dell’albo vediamo affiancarlo ed accompagnarlo.

Persino la Morte sembra andare in pensione ed è qui che metafora e metanarrazione si incontrano, nelle intenzioni della brava sceneggiatrice Paola Barbato, per regalare al lettore una vicenda con tratti surreali e gag divertenti, in grado di intrattenere, far sorridere e invitare a conoscere meglio il buon ispettore, anche attraverso le debolezze sue ed i timori di Dylan.

Il tratto realistico di Bruno Brindisi (pressoché una garanzia) sostiene il tutto e rende ancora più gradevole la lettura, grazie alla cura della fisionomia dei protagonisti e degli elementi scenografici. Angelo Stano è all’altezza della situazione anche quando realizza una copertina “omaggio”, per cui lunga vita a Dylan Dog e all’ormai ex ispettore Bloch.



L’aveva attesa, invocata e desiderata da una vita la pensione, Bloch… e finalmente l’ora è scoccata. L’ex-ispettore svuota l’ufficio dalle sue cose e lascia dietro sé Scotland Yard, ma non Dylan Dog, la cui amicizia continuerà con l’affetto e la stima di sempre. Nel frattempo, l’Indagatore dell’Incubo è alle prese con il paradossale caso di Nora, una ragazza che è stata uccisa senza che sia morta. (da sergiobonelli.it)



giovedì 30 ottobre 2014

Una rosa



Vorrei soltanto una rosa;
questa luce chiara e tiepida negli occhi,
e una rosa tra le foglie verdi.
Una rosa,
per guardarla, per riposarmi,
per sentire l’anima e vedere la sua;
per restare qui solo in silenzio,
in armonia con la sera incantevole.
Lasciare che il tempo, come una ragazza
sfogli la sua bianca corolla,
scegliendo, lasciando cadere
tra le cose, nuove cose;
il tempo di luce e d’ombra…
Vorrei soltanto essere
una dolcezza di fronte a un’altra;
vorrei soltanto sognarti;
vorrei una rosa, una rosa.

(Eugenio De Nora)

di Isabella Pugliese

martedì 28 ottobre 2014

Il posto fisso non esiste più


Renzi: “Il posto fisso non esiste più”.

Non mi sembra un cambiamento di cui essere lieti, gentile Presidente del Consiglio, oppure la sua era solo un’ovvietà da esibire, una “dichiarazione ad effetto” per alimentare un qualcosa che comincia ad assumere gli inquietanti segni di un culto della personalità, di cui credo non si abbia poi tanto bisogno?

Se il posto fisso è scomparso, non ritengo sia responsabilità delle lavoratrici e dei lavoratori che scioccamente vorrebbero lavorare e vivere dignitosamente, bensì credo sia perché non esistono più aziende, grandi, medie e piccole, che creino un prodotto capace di durare e rinnovarsi nel tempo, fare ricerca ed innovazione, offrire quel famoso “made in Italy” in grado di farsi apprezzare e richiedere nel mondo. Credo sia perché le grandi fabbriche sono “gestite” da multinazionali che non hanno il minimo interesse a creare una struttura sociale intorno alla fabbrica stessa, poiché fanno presto ad abbandonare capannoni e magazzini e trasferirsi in un altro continente. Vede, qualche decennio fa, nel nostro Paese, le grandi industrie offrivano ai lavoratori, oltre al lavoro, anche un beneficio nel dopolavoro. Costruivano o copartecipavano alla costruzione di asili, case, scuole, colonie estive (pensi che nella città in cui vivo ne esiste una ancora attiva, anche se magari non è l’esempio migliore). Non era necessario essere illuminati e lungimiranti come Adriano Olivetti, vede, persino la Fiat faceva, in un certo modo, la sua parte. Nella sua regione la Solvay, almeno fino agli anni 60, è un altro esempio che potrei farle. In buona sostanza, alcune grandi aziende, attraverso il loro operato, riflettendo non solo su fatturato, entrate-uscite annuali ed altre importanti questioni, si ponevano nella condizione di offrire opportunità anche a chi non ne poteva avere e allo stesso tempo creavano anche nuovi posti di lavoro indotto. Riesce ad immaginare oggi Vodafone, Telecom, Sky o McDonald’s mettere in atto comportamenti analoghi? Chi ci lavora ha contratti precari nella maggior parte dei casi, ma anche se avesse contratti a tempo indeterminato, pensa riuscirebbe a continuare a lavorare per più di pochi anni a certe condizioni e senza tutele? Perché è difficile riuscire a lavorare per una vita in un call center o in un fast food, oppure fare la commessa da Oviesse o Pittarello a 800 € al mese, perché è complicato fare l’assistente in un centro per anziani a €7.50 lordi all’ora, assunti da cooperative esterne, che per vincere l’appalto fanno a gara fra loro a chi fa risparmiare di più al committente, magari pubblico, senza curarsi di qualità del lavoro e delle condizioni di chi ci è impiegato. Perché gli istituti di credito, quando non falliscono in quanto gestiti da ladri e farabutti, ti finanziano un’attività praticamente solo se i soldi li hai già e quindi non ti servono prestiti, perché i gestori di fondi d’investimento spostano soldi che non esistono realmente finché non entrano nelle loro tasche. Perché il bilancio delle aziende si fa con le fluttuazioni delle azioni e non con il fatturato, spesso falsando i bilanci.

Il posto fisso non esiste più, ce ne siamo accorti da tempo. Se ne sono accorti anche i sindacati, anche se spesso dimostrano il contrario. Non esiste più neanche per i pochi che hanno un contratto a tempo indeterminato, considerando che loschi individui travestiti da imprenditori di fatto riescono a fare quello che gli pare, a volte anche con il tacito assenso di rappresentanti delle Istituzioni. Forse il posto fisso non esiste più perché qualcuno ha pensato di rendere tutti uguali togliendo i diritti a chi ne aveva anziché darne a chi non ne aveva.

Fra quei qualcuno dimostra, con le sue dichiarazioni, gli slogan anglosassoni, i selfies ed i gelati in maniche di camicia, di esserci anche lei. Lei e i suoi predecessori che avete corrotto il sistema facendo credere che il sistema fosse corrotto perché avevamo troppi diritti.

Il posto fisso non esisterà più, insieme alla dignità del lavoro.




lunedì 27 ottobre 2014

Citazioni Cinematografiche n. 68


"Nell'antichità, quando gli uomini non avevano la scrittura, per comunicare, cercavano un sasso la cui forma esprimesse i loro sentimenti e lo inviavano all'altra persona. Chi lo riceveva, dalla sensazione al tatto e dal peso capiva i sentimenti di chi l'aveva inviato."

(Daigo Kobayashi/Masahiro Motoki in “Departures”, di Yojiro Tacita - 2008)
 

 

domenica 26 ottobre 2014

Le Storie #24 - #25


Da diverso tempo non commento o esprimo opinioni e preferenze sugli albi de “Le Storie”, l’interessante e valida serie edita dalla Sergio Bonelli. Impegni familiari e lavorativi (più che altro la ricerca di un lavoro), qualche accidente e malanno fisico hanno rallentato la lettura e accresciuto la mai abbandonata pigrizia. Per cui dopo aver parlato del numero 18, “I Combattenti”, non mi sono più impegnato (??) nel presentare le mie impressioni sugli albi successivi. E chi se ne frega? potrebbe giustamente esclamare uno dei pazienti visitatori di queste righe, ma poiché, invece, mi voglio cullare nell’illusione che a qualcuno importi, ritorno a scrivere e riempire un po’ di spazio, per quanto “virtuale”, riferendomi alle ultime uscite della serie.

Si sono susseguite storie ispirate allo Steampunk vittoriano (“Scacco alla Regina”), una ambientata nell’Indocina Francese con elementi noir e tipici dello spionaggio (il non particolarmente riuscito “Eroe senza Patria”), un’altra vicenda londinese dove gotico e suggestioni da “ghost story” vengono ben valorizzati dai disegni di Nicola Mari (“Il Principe di Persia”), ma soprattutto gli albi 20 e 21, rispettivamente “La Gabbia” e “L’Ultima Trincea”
 










Le due uscite sono diverse per ambientazione e sviluppo narrativo, ma accomunate da un palpabile senso di claustrofobia, giungendo al drammatico finale dopo essersi fatti coinvolgere da sceneggiature ben congegnate, con una nota di merito per quella a firma Paola Barbato (La Gabbia), decisamente convincente e ricca di suspense e colpi di scena.

Inoltre durante l’estate è uscito un riuscitissimo ed imperdibile Speciale a colori con un protagonista veramente notevole che, nientemeno, è alla ricerca di un fuggitivo d’eccezione, Michelangelo Merisi, meglio conosciuto come Il Caravaggio.

Per arrivare a quella che, un po’ enfaticamente, potremmo definire l’attualità, mi accingo a scrivere delle ultime due uscite, la numero 24 “La Voce di un Angelo” e la numero 25 “Capodanno Cubano”.

LA VOCE DI UN ANGELO

Scenario bellico per la sceneggiatura di Stefano Vietti ed i disegni di Alfio Buscaglia.
Un albo che, nonostante qualche cedimento imputabile al personaggio principale, palesemente non provvisto di spalle sufficientemente grosse per portare il peso di un albo comunque denso e sostanzioso a livello di tematiche ed ambientazioni, si fa apprezzare e riesce ad intrattenere senza risultare banale o scontato. Non è il primo albo ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, tante sono le “Storie” che “utilizzano” una guerra per ambientare vicende ed avventure. D’altra parte un conflitto, a livello narrativo e grafico, offre molti spunti e possibilità, per cui mi sono gustato quest’albo che ha come attrazione gli espressivi ed emozionanti disegni ed il fatto di proporre l’aspetto psicologico della guerra, della propaganda e di quello che vivono i combattenti, introducendo anche un pizzico di “soprannaturale” che stempera la gravità del tema. In qualche passaggio sembra di leggere una favola ed entrambi gli autori, sceneggiatore e disegnatore, se ne dimostrano consapevoli.

1944, lo sbarco in Normandia ha sfondato le difese tedesche e gli Alleati premono sui confini della Germania… Oltre quei confini c’è, però, qualcosa che sostiene la resistenza delle armate hitleriane: una voce gentile che – da una piccola stazione radio nel folto della foresta – parla a ogni soldato del Reich come se lo conoscesse personalmente… Il capitano Anderson ha una missione chiara: rintracciare quella voce e farla tacere per sempre! (da sergiobonelli.it)

CAPODANNO CUBANO


Amore e gangster al tempo della rivoluzione cubana, con una buona sceneggiatura di Pasquale Ruju (recuperate la sua non troppo fortunata miniserie Cassidy!) e i disegni, puntuali ed eleganti, di Max Avogadro.
La serie ci ha proposto anche di meglio, va detto, ma il noir e l’hard-boiled fanno sempre la loro figura e Ruju ci si trova particolarmente comodo. Dialoghi serrati, precisi, efficaci, per nulla verbosi e senza “autocompiacimenti” che ne avrebbero compromesso il risultato. Uno schema narrativo riconoscibile, debitore del cinema di Francis Ford Coppola (ma forse anche di quello di De Palma), che si fa apprezzare e facilita la lettura e il gusto di ammirare scenari e situazioni ben disegnate e rese, anche nei minimi dettagli, da un Avogadro in forma e ben disposto nei confronti del lettore, seppure con qualche tavola leggermente sovraccarica.

Cuba, 1958. La revolución castrista è alle porte e la “bella vita” dei gangster americani – che sull’isola hanno fatto fortuna – sembra giunta al capolinea. Per un giovane luogotenente che vuole fare carriera a spese del suo boss, l’occasione è propizia, portata dal caos e dall’incertezza… Ma l’ambizioso Harry Rain dovrà stare molto attento: la strada che porta al vertice è costellata di trabocchetti mortali! (da sergiobonelli.it)
 

venerdì 24 ottobre 2014

Hai mai visto un cinese grasso?

Renoir

Di lui ricordo la calma ed il sorriso leggero e sempre presente. Mi piaceva quel suo modo di guardare l’interlocutore e donargli attenzione e considerazione, senza prendersi troppo sul serio, senza farlo pesare. Chi parlava con lui si sentiva accolto discretamente e con familiarità, quasi che tutto potesse essergli riferito, in modo ovvio e naturale, non come una confessione, ma più come confidenza. Lo si metteva al corrente di cose personali, anche piccoli segreti, con la certezza che li avrebbe ascoltati, accarezzati e poi custoditi per farne occasione di semplici, ma allo stesso tempo profondi, dialoghi. Scambi di battute che sarebbero rimasti nella memoria e nel cuore di chi lo incontrava e faceva un po’ di strada insieme a lui.

Ma più di tutto mi riempiva le giornate la sua ironia e la prontezza con cui riusciva a parlare di cose serie, difficili, di piccoli e grandi drammi. Sempre senza smarrire una dolcezza che comunque si coglieva dietro le parole e le espressioni, anche buffe, che faceva. Non ti prendeva in giro, ti abbracciava con tutto sé stesso attraverso le battute e le modulazioni della voce. Dovevi avere la pazienza di andare oltre quel leggero velo che, in un primo momento, nelle prime occasioni in cui parlavi con lui, si avvertiva quasi ad invitarti di andarci piano, di non avere fretta di entrare in confidenza, di rispettare e dare valore ai tuoi, ai suoi tempi. In seguito sarebbe stato più semplice, ti saresti affidato a lui, quando ne sentivi il bisogno, e non avresti mai pensato che fosse lì, di fronte a te, per infastidirti o renderti la vita più difficile. Gli davo il benvenuto e si faceva accogliere, perché era lui, per primo, ad accogliere me. Mi faceva entrare nel suo sentiero e camminavamo insieme, sicuro che non avrei smarrito la mia strada, ma semplicemente modificata un po’, verso una meta che ancora non conoscevo, ma che lui, placidamente sornione, sembrava avere già chiara.

Una volta, a pranzo, lei, preoccupata del suo peso, drammaticamente in conflitto con il suo corpo e perciò concentrata solo sulla sfida con sé stessa e i pochi chili che le coprivano un animo addolorato e tormentato, non ne voleva assolutamente sapere di mangiare. Altri, prima di lui, avevano cercato di convincerla, di farla ragionare, dichiarandosi sinceramente allarmati dalla sua condizione. Loro insistevano per il suo bene, la rassicuravano, capivano il suo turbamento, ma lei avrebbe dovuto mangiare, altrimenti si sarebbe seriamente ammalata. 
 
Prima di quanto programmato lui arrivò e dopo averci salutato tutti e scambiato una rapida occhiata con ognuno di noi, le si rivolse e sorridendole augurò buon appetito. Alle lamentele e imprecazioni che la ragazza aveva fino a quel momento proferito si sostituirono risate e battute dei presenti. Lei, rimasta in silenzio per alcuni secondi che parvero più lunghi di quanto fossero, ricominciò a dire che stava ingrassando e che sarebbe diventata ancora più brutta, anche se solo un chicco di riso fosse entrato nella sua bocca. “Riso?” esclamò lui, “ma il riso non fa ingrassare, hai mai visto un cinese grasso?  Certo, possono essere brutti, hai ragione, ma non sono grassi!”. Sconcerto negli occhi degli altri adulti che avevano ascoltato tali parole. “Per cui – continuò – ora buon appetito e mangia con calma, per la bruttezza cominceremo ad organizzarci subito dopo pranzo!”.

martedì 21 ottobre 2014

Orfani



Il mese scorso scorso si è conclusa la prima annata di “Orfani” e in questo ottobre si ricomincia con “Orfani – Ringo”.

Dopo i primi numeri non ho scritto più nulla sulla serie, ripromettendomi di seguirla e gustarla fino alla fine, stimolato da superbi disegni e dall'ottima colorazione di ogni albo. Ho fatto bene ad aspettare la fine della serie, poiché alcune personali impressioni non erano proprio azzeccate ed in fondo alcuni dei timori che avevo espresso si sono rivelati, almeno in parte, infondati.
 Mese dopo mese, mi si è chiarito il fatto che Roberto Recchioni ed Emiliano Mammuccari, coautori di “Orfani”, di fatto non stavano rivoluzionando la Sergio Bonelli Editore, una sua serie, ma bensì con grande professionalità, lucidità e coinvolgendo disegnatori, sceneggiatori e addetti alla colorazione di primo piano, stavano in qualche modo aggiornando il “fumetto bonelliano”.

Ovvero con scelte meditate ma comunque coraggiose l'intero staff, creatori, sceneggiatori e disegnatori, hanno operato sui dialoghi, sulle “inquadrature”, sulla resa delle situazioni, sulla psicologia e presentazione dei protagonisti e dei comprimari (giusto quelli che servivano). A ciò si è aggiunta una cura per la sceneggiatura e resa della storia che è riuscita a rispettare la tradizione ed inserire elementi nuovi e anche “insoliti” per una serie Bonelli.


Insomma a “distruggere” in fondo son buoni tutti, o lo sarebbero, più difficile e rischioso, a livello di sforzo lavorativo e creativo, risulta inserire elementi e scelte nuove rispettando, valorizzando e, appunto, riuscendo ad aggiornare e rendere originale, quello che c'era già e che magari se va avanti da qualche decennio, tutto sommato proprio da buttare non è. Per questo apprezzo ancora di più l'intera serie, che tra l'altro ha proposto copertine, tutte a firma di Massimo Carnevale, talmente belle da lasciare ammirati.



 



















Un fumetto che non era solo fantascienza, ma anzi si è rivelato una sorpresa e che è andato oltre i generi e le etichette, riuscendo anche a proporre, attraverso compattezza e fine sincronizzazione di testo e disegni, un prodotto nuovo, con accenni “metafumettistici”, dove i rimandi alla musica, all'arte, alla storia, la sociologia e psicologia non sono risultati “posticci” o goffamente inseriti, ma bensì ottimamente calati all'interno di una coinvolgente continuity, che non ha risparmiato colpi di scena e qualche “contentino” al lettore.

A qualcuno può non essere piaciuta la matrice supereroistica che Recchioni ha dato al tutto, dove a volte l'azione ha preso il sopravvento sulla psicologia dei personaggi e la coerenza delle loro azioni, ma credo che anche questo possa rientrare in quell'azione di aggiornamento (attualizzazione?) del fare fumetto e della creazione di una serie, pensata per “stagioni”, che è cosa diversa sia da una serie “regolare” classica che da una miniserie (senza dimenticare che in casa Bonelli alcune miniserie si sono risolte, purtroppo, in serie classiche “a tempo determinato”).




Una serie da leggere e da assaporare, magari acquistando i volumi giganti editi dalla BAO, che effettivamente sono un gran bel vedere!




lunedì 20 ottobre 2014

Citazioni Cinematografiche n. 67


Zed: Ma qual è il piano?
Eric: Entriamo, prendiamo tutto e usciamo.

(Zed/Eric Stoltz e Eric/Jean-Hugues Anglade in “Killing Zoe”, di Roger Avary - 1994)


venerdì 17 ottobre 2014

Silenzio # 14



“Quando si sta bene insieme non si ha nessun bisogno di mentirsi, di rassicurarsi. Direi, anzi, che la gioia la si riconosce dal silenzio. Quando la comunione è vera e intera, senza infingimenti, solo il silenzio può esprimerla.”

(Romain Gary, Cocco mio)
 
 
 
 

martedì 14 ottobre 2014

Foglie d'Autunno


Veder cadere le foglie mi lacera dentro
soprattutto le foglie dei viali
soprattutto se sono ippocastani
soprattutto se passano dei bimbi
soprattutto se il cielo è sereno
soprattutto se ho avuto, quel giorno, una buona notizia
soprattutto se il cuore, quel giorno, non mi fa male
soprattutto se credo, quel giorno, che quella che amo mi ami
soprattutto se quel giorno mi sento d'accordo con gli uomini e con me stesso
veder cadere le foglie mi lacera dentro
soprattutto le foglie dei viali dei viali d'ippocastani
.


(Nazim Hikmet - Foglie Morte, da Poesie d’amore, Mondadori, 2002 – Trad. Joyce Lussu)


lunedì 13 ottobre 2014

Citazioni Cinematografiche n. 66


Fausto: Lo sai chi sono io?
Giovanni: No.
Fausto: L'undici di picche.
Giovanni: Ma non esiste.
Fausto: Appunto. Una carta che non sta nel mazzo, buona per nessun gioco.

(Capitano Fausto Consolo/Vittorio Gassman e Giovanni Bertazzi/Alessandro Momo in “Profumo di donna”, di Dino Risi - 1974)




domenica 12 ottobre 2014

In una notte come questa



Lorenzo: La luna splende limpida. In una notte come questa, quando mite baciava gli alberi un dolce vento, senza farli stormire, in una notte come questa Trailo saliva, penso, le mura di Troia ed in sospiri l’anima esalava verso le tende greche, dove dormiva quella notte Cressida.

Gessica: In una notte come questa Tisbe sorvolò tremebonda la rugiada e, prima del leone, il riflesso scorgendone, atterrita fuggì.

Lorenzo: In una notte come questa, ferma sulla riva selvaggia, con un ramo di salice Didone al suo amore accennava di tornare a Cartagine.

Gessica: In una notte come questa magiche erbe colse Medea, che il vecchio Enone ringiovanirono.

Lorenzo: In una notte come questa Gessica dal ricco ebreo scampava e, in compagnia di sprovveduto amante, da Venezia fuggì fino a Belmonte.

Gessica: In una notte come questa il giovane Lorenzo le giurava eterno amore e il cuore le involò con promesse infinite, neppure una sincera.

Lorenzo: In una notte come questa quella piccola strega della bella Gessica denigrava il suo amore, e lui la perdonava.

Gessica: Nel gioco delle notti saprei ben subissarti, non venisse nessuno. Ma taci… odo il passo d’un uomo.

(Il Mercante di Venezia – Atto quinto, scena 1 – William Shakespeare, trad. Enzo Giachino)


Marc Chagall - La Bellezza

venerdì 10 ottobre 2014

Adam Wild # 1 - Gli Schiavi di Zanzibar


Sensibile al richiamo dell’avventura più “classica” non ho potuto evitare di acquistare e leggere il primo albo della nuova serie Bonelli, Adam Wild, “Gli Schiavi di Zanzibar”.



Avventura classica, ma non desueta o vecchia, per carità. Perché se dopo diverse serie “nuove”, “controcorrente”, “moderne”, la casa editrice milanese ci offre una testata dal gusto più in linea con la sua tradizione (alla Tex, Zagor o Mister No, tanto per intenderci), il lettore non incontra un semplice epigono di illustri predecessori ed un albo “retrò”. Bensì mi sono trovato di fronte ad un eroe tipico ma con parecchi elementi che evidenziano un’attenta opera di rilettura ed aggiornamento della tradizione. Sia sotto il profilo della caratterizzazione del protagonista, lo scozzese d’Africa Adam Wild per l’appunto, che per quanto riguarda scrittura, tempi narrativi e sceneggiatura.



So che giudicare una serie dal primo numero, ma anche solo dai primi tre o quattro, può essere errore grave e portare a figure barbine. Io per esempio ho frainteso “Orfani” dopo i primi numeri e prima o poi farò ammenda e ne scriverò in questa sede. Pertanto mi riprometto di leggere i successivi albi di Adam Wild.



Adam Wild n.1, “Gli Schiavi di Zanzibar”, a cavallo fra tradizione ed innovazione, con disegni eleganti e molto suggestivi, ad opera di Alessandro Nespolino, con una bella copertina di Darko Perovic, che dovrebbe firmare le cover di tutte le prossime uscite, diverte e invita alla lettura.



Il personaggio creato da Gianfranco Manfredi non delude e con ironia, azione, spregiudicatezza e senso dell’onore e della lealtà si presenta al pubblico, con la non tanto celata intenzione di intercettare i gusti sia dei più fedeli lettori Bonelli che di un pubblico “nuovo” e forse anche “giovane”. Manfredi è senza dubbio uno dei maggiori narratori e scrittori che si siano cimentati con il fumetto nostrano, prova ne sono, rimanendo in casa Bonelli, il western gotico-horror “Magico Vento” e le due serie dedicate a Ugo Pastore, “Volto Nascosto” e “Shanghai Devil”.  
 
Non sono da meno i comprimari ed i compagni d’avventura dell’audace ed aitante protagonista, dichiaratamente ispirato, quantomeno sotto il profilo grafico, agli eroi hollywoodiani di film d’avventura e di “cappa e spada”.



Insomma una buona lettura che introduce una serie da tenere d’occhio, con premesse tali da farmi pensare che potrebbe regalarmi tante soddisfazioni e ore di gustosa lettura!

A Zanzibar la tratta degli schiavi è stata ufficialmente abolita, ma il traffico di esseri umani continua clandestinamente. Adam Wild è lì per eliminarlo. In molti congiurano per ucciderlo. Congiurare è un conto, riuscirci è un altro. Non è saggio fare arrabbiare Adam!
(da sergiobonelli.it)



martedì 7 ottobre 2014

Non solo rose



L’usignolo e la rosa.

Nel silenzio dei giardini, a primavera, nella tenebra delle notti,
Canta sulla rosa l’usignolo d’oriente.
Ma l’amabile rosa non sente, non ascolta,
E a quell’inno d’amore si dondola e dorme.
Non canti forse anche tu per una fredda bellezza?
Risvegliati, poeta, verso che cosa tu vuoi tendere?
Ella non ascolta, non capisce il poeta;            
Tu la guardi, ella fiorisce; tu la implori: non risponde.

(Aleksandr Sergeevič Puškin, trad. Eridano Bazzarelli)