Blog su Cinema, Letteratura, Arte, Cultura, Tempo libero, Esperienze.
Post su Film, Libri, Mostre, Esperienze di vita, Fumetti, Cartoni Animati e quello che mi piace ed anche che mi piace di meno.
Com’è diverso l’orso. Bello nel senso più rigoroso non è,
anzi piuttosto un po’ comico nei suoi movimenti impacciati; abile e goffo, non
si sa bene come bisogna prenderlo. Vuole porgerti la zampa, tu
involontariamente ti tiri indietro. Non consideri che con la tua paura potresti
ferirlo? Un orso possiede amor proprio. Stanotte ho sognato di un orso; mi ero
tutto arruffato per la sua buffa immagine. Avevo compassione di lui: allungava
il braccio verso una ragazza, lei, la sensibilità fatta persona, lui,
sgraziato, neanche pettinato; di questo avrebbe dovuto preoccuparsi. “Lasciami
in pace” disse lei, lui se ne andò via dritto come un uomo che capisce una
parola, un cenno, andò a letto e si tirò addosso la coperta.
(La Rosa, di Robert Walser, trad. Anna Bianco - Adelphi)
Frank Lucas: Tu pensi davvero che mettere me dietro le sbarre
cambierà qualcosa per le strade? I tossici continueranno a farsi,
ruberanno per farsi e poi moriranno. Mettermi dentro o lasciarmi fuori
non cambierà niente. Richie Roberts: E' così che stanno le cose. Frank Lucas: Stanno proprio così, e che abbiamo Richie? Abbiamo
me e te seduti qua, abbiamo quello stronzo spione dell'autista di mio
fratello, hai un po' di eroina... ti servirà ben più di questo Richie. Richie Roberts: Ho il possesso di eroina, spaccio, associazione a
delinquere, corruzione di pubblico ufficiale, ho testimoni che ti hanno
visto uccidere a sangue freddo, ho i tuoi conti all'estero, i tuoi beni
immobili, le tue attività... tutto comprato coi soldi dell'eroina. E ho
i genitori dei ragazzi morti di overdose del tuo prodotto, è questa la
mia storia per la giuria, renderò tutto convincente; "quest'uomo ha assassinato migliaia di persone, l'ha fatto da un superattico guidando una Lincoln" a parte questo, non devi preoccuparti. Frank Lucas: Va molto bene, ma è per questo che andiamo in
tribunale , no Richie? Perché ho dei testimoni anche io: ho celebrità,
ho personaggi dello sport.. io ho Harlem, Richie. Mi sono preso cura di
Harlem e Harlem si prenderà cura di me , mi devi credere. Richie Roberts: Ho più di questo, Frank. Frank Lucas: Che hai? Richie Roberts: Ho una fila di persone che vuole testimoniare contro di te che parte dalla porta e gira intorno al palazzo. Frank Lucas: Ma dai, tutte balle... Richie Roberts: La vita l'hai rovinata a tanti, Frank. Ho la famiglia mafiosa Mazzano, te la ricordi? Frank Lucas: No, senti, non c'entro niente coi Mazzano e i Mazzano non c'entrano niente con me... Richie Roberts: C'entrano eccome con te. Sai perché? Perché a parte il fatto che ti odiano personalmente, odiano ciò che rappresenti. Frank Lucas: Io non rappresento altro che Frank Lucas. Richie Roberts: Sicuro? Un uomo d'affari nero del tuo calibro?
Rappresenti il progresso, il genere di progresso per cui loro perderanno
un mare di soldi. Con te fuori dai piedi, tutto potrà tornare normale.
(Frank Lucas/Denzel Washington e Richie Roberts/Russell Crowe in "American Gangster", di Ridley Scott - 2007)
L’idea alla base del romanzo di Cornell Woolrich
è tanto semplice quanto sicuramente efficace, la trama praticamente essenziale
e questo permette di godersi la storia gustandone le descrizioni di strade,
luoghi, locali e dei vari personaggi.
Fra gli Stati Uniti e Cuba si ha a che fare con
figure vere, immediate, molto concrete e dirette, supportate da una
scrittura che non cede neanche per una riga, tanto sicura e brillante da
potersi concedere anche qualche spunto creativo. Coinvolgente e funzionale al
ritmo la scelta di approfondire la psicologia dei protagonisti con tratti
intensi e penetranti.
Una intrigante figura femminile ed un protagonista a
cui si rivolgono le simpatie del lettore e di chi lo aiuta ad uscire fuori da
un gran pasticcio.
Gli appassionati di Woolrich accuseranno una certa
mancanza di malinconica tensione, tratto distintivo di altre sue opere, ma la
lettura cattura e si fatica a staccarsi dalle pagine di questo Incubo Nero.
Mai rubare la donna a un boss. Peccato che Bill
Scott lo scopra quando ormai è maledettamente tardi. Fuggito all’Avana con Eve,
la bella moglie di un gangster di Miami, Scott si sente ormai al sicuro. Ma la
lunga mano della vendetta lo raggiunge anche a Cuba. In un bar affollato, Eve
viene pugnalata a morte. E l’unico sospettato è proprio lui…(da blog.librimondadori.it)
Tootsie e Victor-Victoria: due cult per il cinema del 1982
Il tema del doppio, della maschera e dello scambio di ruoli è fecondo di trovate e soluzioni comico-drammaturgiche fin dall'antichità.
Fra le commedie cinematografiche che preferisco e di cui consiglio assolutamente la visione, ce ne sono due accomunate oltre che dal genere, dalla tematica e dalla assoluta maestria dei registi, dall'anno di uscita: il 1982.
"Tootsie" di Sydney Pollack e "Victor-Victoria" di Blake Edwards.
In TootsieDustin Hoffman è Michael Dorsey, un talentuoso attore teatrale che si ritrova senza lavoro, nonostante l'impegno del suo agente (lo stesso Pollack che lo definisce un "fiero rompicoglioni"), a causa del suo
caratteraccio e della proverbiale pignoleria che lo porta a litigare con registi ed autori. Stanco dei rifiuti, tenta il tutto per tutto: si
traveste da donna e ottiene un importante ruolo in una seguitissima soap-opera, soffiandolo all’amica Sandy/Teri Garr(assolutamente godibile e coinvolgente la sua prova).
Ben presto il gioco gli sfugge di mano, perché la pacata e risoluta
Dorothy Michaels (questo il nome del suo alter-ego femminile) piace
proprio a tutti. A Julie/Jessica Lange(Oscar come Migliore attrice non protagonista) infermiera protagonista della soap opera e al suo anziano padre, al collega attempato dalla carriera in fase calante, alla stampa, al pubblico.
Tra battute folgoranti e irresistibili momenti comici, in cui spicca il fondamentale contributo di Bill Murray, il copione di Larry Gelbart e Don McGuire
trova il suo ispirato interprete in un brillante e istrionico Dustin Hoffman che, come spesso ha fatto e farà anche negli anni successivi, riesce a far dimenticare il suo aspetto ordinario e
con il suo talento cattura lo spettatore e gli fa amare Dorothy/Michael.
Non è da meno Victor-Victoria, che inoltre ha qualche altra freccia da scagliare oltre al ritmo ed al sicuro divertimento.
Blake Edwards fa leva su Julie Andrews e Robert Preston per aggiungere humor tagliente e raffinato, con un accurato approfondimento dei caratteri e la brillante gestione di tematiche gay, che Pollack ha solo vagamente sfiorato.
Anche qui un artista, una cantante, si trova senza lavoro e possibilità di sostentamento, perciò per una serie di equivoci e situazioni bizzarre, tanto quanto gli amici che frequenta, decide di cantare "come un uomo che finge di essere una donna".
Julie Andrews sembra aver ritrovato lo smalto dei bei tempi (guadagnandosi diversi riconoscimenti e una nomination agli Oscar) e, benchè non dotata dell’ambiguità di una Marlene Dietrich (sempiterna icona gay
a cui è emblematicamente dedicata la prima inquadratura del film), in
virtù di un sovrumano talento e a doti recitative non comuni, riesce ad
esser credibile per tutta la durata del film nei panni di una donna che
finge di essere un uomo che finge di essere una donna, forse perché non
dotata di una femminilità prorompente e proprio per questo vagamente androgina
(senza poi stare a ricordare le sue straordinarie doti canore che le
permettono di valorizzare il già notevolissimo spartito di un ispirato Henry Mancini).
Robert Preston sbalza e ritrae un omosessuale pronto, spiritoso e dalla battuta caustica, senza tuttavia scadere nello stereotipo caricaturale della “checca acida”.
Tutt’altro! Infonde al personaggio una profonda umanità e possiamo dire
a ragione che ha lasciato a futura memoria un’interpretazione
magistrale. James Garner, seppur accerchiato da cotanti “mostri”, non sfigura nel ruolo del gangster macho e machista
che si sente vacillare la propria eterosessualità sotto i piedi, ma che
soprattutto teme il giudizio altrui. Menzione d’onore alla spiritosa Lesley Ann Warren (che si aggiudicò una nomination agli Oscar),
semplicemente perfetta: con il suo ruolo, la pupa del boss bionda e
starnazzante, rinverdisce i fasti di un’altra mitica oca bionda entrata
di diritto nella storia del cinema: Jean Hagen, alias Lina Lamont di Cantando sotto la pioggia.
Va
anche detto che il film, oltre a mostrare una confezione splendidamente
accurata che ci riporta indietro con tanta nostalgia ai musical
classici di Hollywood degli Anni ’30 col loro lusso e col loro allegro ottimismo, grazie ad una sceneggiatura (ispirata a un film tedesco del 1933, Viktor und Viktoria) di rara intelligenza ed arguzia a firma di Edwards
stesso, senza monologhi o dialoghi piattamente didascalici e senza
dover per forza rivolgersi ad un pubblico fatto solo di militanti
dell’Arcigay, sa essere molto più persuasivo nel suo messaggio di
tolleranza di mille ed inuitili (oltre che mediocri) Stonewall, Le fate ignoranti, La finestra di fronte e tanti tanti, forse troppi, altri film a tema.
Proprio perché il grande Blake
non è un regista specializzato nel genere, bensì un uomo di grande
ironia, sa perfettamente che con il sorriso, il riso e la risata grassa
si riesce a convincere il pubblico (quindi, la gente comune) più che con
90 minuti di lamentose prediche da un pulpito. Ed Edwards va perfettamente a segno, ricorrendo ad una vicenda solo apparentemente farsesca o dai contorni vagamente boccacceschi, ma in realtà profondamente umana e niente affatto ipocrita o necessariamente compiacente nel tratteggiare il mondo gay.
Se
poi il tutto è condito da canzoni magnifiche (che sanno essere di volta
in volta ironiche, scatenate e a ritmo di jazz o romantiche), costumi
di una perfezione esemplare, scenografie di raro buongusto e da frizzi e
lazzi (affidati soprattutto alla macchietta dell’investigatore privato
pasticcione e maldestro, legato a doppio filo con l’altro ispettore
francese pasticcione e maldestro: Clouseau) , “con un poco di zucchero la pillola va giù” (tanto per citare una celeberrima canzone di sua moglie
Julie Andrews benchè non dotata dell’ambiguità di Marlene
Dietrich(icona gay a cui è emblematicamente
dedicata la prima inquadratura del film), in virtù di una splendida voce, di capacità attoriali e di gestione della scena non comuni, riesce ad esser credibile per tutta la durata del
film nei panni di una donna che finge di essere un uomo che finge di essere una
donna, forse anche perché non dotata di una femminilità prorompente e proprio per
questo vagamente androgina.
Robert Prestonsenza scadere nello
stereotipo caricaturale della “checca acida”, ritrae ed offre al pubblico la figura di un omosessuale
pronto, spiritoso e dalla battuta caustica.
Non sono da meno James Garner, gangster
macho e machista, che sente vacillare la propria eterosessualità sotto i
piedi, e Lesley Ann
Warren(nomination agli Oscar),
semplicemente perfetta nel ruolo della pupa del boss bionda e starnazzante.
Il film presenta una sceneggiatura di rara
intelligenza ed arguzia a firma di Edwards stesso, con
monologhi e dialoghi brillanti e divertenti, preziosi anche quando si fanno più seri e sono portatori di un condivisibile messaggio di tolleranza, senza essere didascalici.
La vicenda è solo apparentemente farsesca o dai
contorni vagamente boccacceschi, ma in realtà profondamente umana e niente
affatto ipocrita o compiacente nel tratteggiare il mondo gay.
Entrambi i film hanno dalla loro anche la musica, con belle canzoni ed una colonna sonora da ascoltare.
Julie Andrews sembra aver ritrovato lo smalto dei bei tempi (guadagnandosi diversi riconoscimenti e una nomination agli Oscar) e, benchè non dotata dell’ambiguità di una Marlene Dietrich (sempiterna icona gay
a cui è emblematicamente dedicata la prima inquadratura del film), in
virtù di un sovrumano talento e a doti recitative non comuni, riesce ad
esser credibile per tutta la durata del film nei panni di una donna che
finge di essere un uomo che finge di essere una donna, forse perché non
dotata di una femminilità prorompente e proprio per questo vagamente androgina
(senza poi stare a ricordare le sue straordinarie doti canore che le
permettono di valorizzare il già notevolissimo spartito di un ispirato Henry Mancini).
Robert Preston sbalza e ritrae un omosessuale pronto, spiritoso e dalla battuta caustica, senza tuttavia scadere nello stereotipo caricaturale della “checca acida”.
Tutt’altro! Infonde al personaggio una profonda umanità e possiamo dire
a ragione che ha lasciato a futura memoria un’interpretazione
magistrale. James Garner, seppur accerchiato da cotanti “mostri”, non sfigura nel ruolo del gangster macho e machista
che si sente vacillare la propria eterosessualità sotto i piedi, ma che
soprattutto teme il giudizio altrui. Menzione d’onore alla spiritosa Lesley Ann Warren (che si aggiudicò una nomination agli Oscar),
semplicemente perfetta: con il suo ruolo, la pupa del boss bionda e
starnazzante, rinverdisce i fasti di un’altra mitica oca bionda entrata
di diritto nella storia del cinema: Jean Hagen, alias Lina Lamont di Cantando sotto la pioggia.
Va
anche detto che il film, oltre a mostrare una confezione splendidamente
accurata che ci riporta indietro con tanta nostalgia ai musical
classici di Hollywood degli Anni ’30 col loro lusso e col loro allegro ottimismo, grazie ad una sceneggiatura (ispirata a un film tedesco del 1933, Viktor und Viktoria) di rara intelligenza ed arguzia a firma di Edwards
stesso, senza monologhi o dialoghi piattamente didascalici e senza
dover per forza rivolgersi ad un pubblico fatto solo di militanti
dell’Arcigay, sa essere molto più persuasivo nel suo messaggio di
tolleranza di mille ed inuitili (oltre che mediocri) Stonewall, Le fate ignoranti, La finestra di fronte e tanti tanti, forse troppi, altri film a tema.
Proprio perché il grande Blake
non è un regista specializzato nel genere, bensì un uomo di grande
ironia, sa perfettamente che con il sorriso, il riso e la risata grassa
si riesce a convincere il pubblico (quindi, la gente comune) più che con
90 minuti di lamentose prediche da un pulpito. Ed Edwards va perfettamente a segno, ricorrendo ad una vicenda solo apparentemente farsesca o dai contorni vagamente boccacceschi, ma in realtà profondamente umana e niente affatto ipocrita o necessariamente compiacente nel tratteggiare il mondo gay.
Se
poi il tutto è condito da canzoni magnifiche (che sanno essere di volta
in volta ironiche, scatenate e a ritmo di jazz o romantiche), costumi
di una perfezione esemplare, scenografie di raro buongusto e da frizzi e
lazzi (affidati soprattutto alla macchietta dell’investigatore privato
pasticcione e maldestro, legato a doppio filo con l’altro ispettore
francese pasticcione e maldestro: Clouseau) , “con un poco di zucchero la pillola va giù” (tanto per citare una celeberrima canzone di sua moglie
Julie Andrews sembra aver ritrovato lo smalto dei bei tempi (guadagnandosi diversi riconoscimenti e una nomination agli Oscar) e, benchè non dotata dell’ambiguità di una Marlene Dietrich (sempiterna icona gay
a cui è emblematicamente dedicata la prima inquadratura del film), in
virtù di un sovrumano talento e a doti recitative non comuni, riesce ad
esser credibile per tutta la durata del film nei panni di una donna che
finge di essere un uomo che finge di essere una donna, forse perché non
dotata di una femminilità prorompente e proprio per questo vagamente androgina
(senza poi stare a ricordare le sue straordinarie doti canore che le
permettono di valorizzare il già notevolissimo spartito di un ispirato Henry Mancini).
Robert Preston sbalza e ritrae un omosessuale pronto, spiritoso e dalla battuta caustica, senza tuttavia scadere nello stereotipo caricaturale della “checca acida”.
Tutt’altro! Infonde al personaggio una profonda umanità e possiamo dire
a ragione che ha lasciato a futura memoria un’interpretazione
magistrale. James Garner, seppur accerchiato da cotanti “mostri”, non sfigura nel ruolo del gangster macho e machista
che si sente vacillare la propria eterosessualità sotto i piedi, ma che
soprattutto teme il giudizio altrui. Menzione d’onore alla spiritosa Lesley Ann Warren (che si aggiudicò una nomination agli Oscar),
semplicemente perfetta: con il suo ruolo, la pupa del boss bionda e
starnazzante, rinverdisce i fasti di un’altra mitica oca bionda entrata
di diritto nella storia del cinema: Jean Hagen, alias Lina Lamont di Cantando sotto la pioggia.
Va
anche detto che il film, oltre a mostrare una confezione splendidamente
accurata che ci riporta indietro con tanta nostalgia ai musical
classici di Hollywood degli Anni ’30 col loro lusso e col loro allegro ottimismo, grazie ad una sceneggiatura (ispirata a un film tedesco del 1933, Viktor und Viktoria) di rara intelligenza ed arguzia a firma di Edwards
stesso, senza monologhi o dialoghi piattamente didascalici e senza
dover per forza rivolgersi ad un pubblico fatto solo di militanti
dell’Arcigay, sa essere molto più persuasivo nel suo messaggio di
tolleranza di mille ed inuitili (oltre che mediocri) Stonewall, Le fate ignoranti, La finestra di fronte e tanti tanti, forse troppi, altri film a tema.
Proprio perché il grande Blake
non è un regista specializzato nel genere, bensì un uomo di grande
ironia, sa perfettamente che con il sorriso, il riso e la risata grassa
si riesce a convincere il pubblico (quindi, la gente comune) più che con
90 minuti di lamentose prediche da un pulpito. Ed Edwards va perfettamente a segno, ricorrendo ad una vicenda solo apparentemente farsesca o dai contorni vagamente boccacceschi, ma in realtà profondamente umana e niente affatto ipocrita o necessariamente compiacente nel tratteggiare il mondo gay.
Se
poi il tutto è condito da canzoni magnifiche (che sanno essere di volta
in volta ironiche, scatenate e a ritmo di jazz o romantiche), costumi
di una perfezione esemplare, scenografie di raro buongusto e da frizzi e
lazzi (affidati soprattutto alla macchietta dell’investigatore privato
pasticcione e maldestro, legato a doppio filo con l’altro ispettore
francese pasticcione e maldestro: Clouseau) , “con un poco di zucchero la pillola va giù” (tanto per citare una celeberrima canzone di sua moglie
Julie Andrews sembra aver ritrovato lo smalto dei bei tempi (guadagnandosi diversi riconoscimenti e una nomination agli Oscar) e, benchè non dotata dell’ambiguità di una Marlene Dietrich (sempiterna icona gay
a cui è emblematicamente dedicata la prima inquadratura del film), in
virtù di un sovrumano talento e a doti recitative non comuni, riesce ad
esser credibile per tutta la durata del film nei panni di una donna che
finge di essere un uomo che finge di essere una donna, forse perché non
dotata di una femminilità prorompente e proprio per questo vagamente androgina
(senza poi stare a ricordare le sue straordinarie doti canore che le
permettono di valorizzare il già notevolissimo spartito di un ispirato Henry Mancini).
Robert Preston sbalza e ritrae un omosessuale pronto, spiritoso e dalla battuta caustica, senza tuttavia scadere nello stereotipo caricaturale della “checca acida”.
Tutt’altro! Infonde al personaggio una profonda umanità e possiamo dire
a ragione che ha lasciato a futura memoria un’interpretazione
magistrale. James Garner, seppur accerchiato da cotanti “mostri”, non sfigura nel ruolo del gangster macho e machista
che si sente vacillare la propria eterosessualità sotto i piedi, ma che
soprattutto teme il giudizio altrui. Menzione d’onore alla spiritosa Lesley Ann Warren (che si aggiudicò una nomination agli Oscar),
semplicemente perfetta: con il suo ruolo, la pupa del boss bionda e
starnazzante, rinverdisce i fasti di un’altra mitica oca bionda entrata
di diritto nella storia del cinema: Jean Hagen, alias Lina Lamont di Cantando sotto la pioggia.
Va
anche detto che il film, oltre a mostrare una confezione splendidamente
accurata che ci riporta indietro con tanta nostalgia ai musical
classici di Hollywood degli Anni ’30 col loro lusso e col loro allegro ottimismo, grazie ad una sceneggiatura (ispirata a un film tedesco del 1933, Viktor und Viktoria) di rara intelligenza ed arguzia a firma di Edwards
stesso, senza monologhi o dialoghi piattamente didascalici e senza
dover per forza rivolgersi ad un pubblico fatto solo di militanti
dell’Arcigay, sa essere molto più persuasivo nel suo messaggio di
tolleranza di mille ed inuitili (oltre che mediocri) Stonewall, Le fate ignoranti, La finestra di fronte e tanti tanti, forse troppi, altri film a tema.
Proprio perché il grande Blake
non è un regista specializzato nel genere, bensì un uomo di grande
ironia, sa perfettamente che con il sorriso, il riso e la risata grassa
si riesce a convincere il pubblico (quindi, la gente comune) più che con
90 minuti di lamentose prediche da un pulpito. Ed Edwards va perfettamente a segno, ricorrendo ad una vicenda solo apparentemente farsesca o dai contorni vagamente boccacceschi, ma in realtà profondamente umana e niente affatto ipocrita o necessariamente compiacente nel tratteggiare il mondo gay.
Se
poi il tutto è condito da canzoni magnifiche (che sanno essere di volta
in volta ironiche, scatenate e a ritmo di jazz o romantiche), costumi
di una perfezione esemplare, scenografie di raro buongusto e da frizzi e
lazzi (affidati soprattutto alla macchietta dell’investigatore privato
pasticcione e maldestro, legato a doppio filo con l’altro ispettore
francese pasticcione e maldestro: Clouseau) , “con un poco di zucchero la pillola va giù” (tanto per citare una celeberrima canzone di sua moglie
"Suonavano la Sonata a Kreutzer di Beethoven. Lo conoscete voi il primo presto? Lo conoscete?!" gridò. "Uh! È una cosa spaventosa quella sonata. Proprio quella parte. E in generale è una cosa spaventosa la musica. Ma che roba è? Io non riesco a capire. Cos'è la musica? E perchè fa l'effetto che fa? Dicono che la musica costituisca una forma di elevazione dell'anima: è assurdo, falso! Agisce, agisce terribilmente; lo dico per quanto mi riguarda, ma non certo come elevazione dell'anima! Agisce non come forma di elevazione o di svilimento, ma come forma di eccitazione dell'anima. Come dirvi? La musica mi costringe a dimenticare me stesso, la mia situazione reale, mi trasporta in un'altra situazione che non è la mia: sotto l'effetto della musica mi sembra di sentire ciò che propriamente non sento, di comprendere ciò che non comprendo, mi sembra di potere ciò che non posso. Questo lo spiego col fatto che la musica agisce come lo sbadiglio, come il riso: non ho sonno, ma sbadiglio se sto guardando uno che sbadiglia, non c'è niente da ridere, ma rido se sento uno che ride."
"Quella, la musica, mi trasporta subito direttamente nella condizione interiore in cui si trovava colui che l'ha scritta. Mi fondo interiormente con lui, mi trasporto da una condizione all'altra, ma perché lo faccio non lo so. E certo quello che ha scritto, per esempio, la Sonata a Kreutzer, Beethoven, certo lui sapeva perché si trovava in quella condizione: la sua condizione lo ha portato a determinate azioni e perciò questa condizione aveva per lui un significato, mentre per me non ne ha nessuno. La musica, quindi, eccita soltanto senza un esito. Se suonano una marcia militare, i soldati marciano a tempoi di musica: è stato raggiunto un esito; se suonano un danza, io ballo e di nuovo la musica ha un esito; se si canta una messa, io mi associo, qui pure c'è un esito, mentre là è eccitazione pura e manca ciò che deve farsi dell'eccitazione raggiunta. È per questo che a volte la musica agisce in modo così spaventoso, così terribile."
"E invece questo strumento spaventoso a chi va a capitare in mano! Questa Sonata a Kreutzer, per esempio, il presto iniziale: ma si può, forse suonare questo presto in un salotto tra signore in décolleté? Suonarlo e poi applaudire, e dopo c'è il gelato e dopo ancora si parla dell'ultimo pettegolezzo. Queste cose si possono suonare solo in determinate, importanti e significative circostanze e quando sia necessario compiere determinate e importanti azioni che corrispondano a questa musica. Suonare e fare ciò a cui predispone questa musica. Altrimenti l'eccitazione fuori luogo e fuori tempo di un'energia e di un sentimento che non trovano sfogo non può non agire in modo deleterio. Su di me, almeno, questa cosa ha agito in modo terribile; è stato come se in me si aprissero dei sentimenti e delle possibilità, così mi sembrava, del tutto nuovi, che fino a quel momento mi erano sconosciuti. Ecco come stanno le cose, era tutto completamente diverso da come pensavo e vivevo prima! Era come se qualcosa mi parlasse dentro. Cosa fosse questa cosa nuova che avevo scoperto non riuscivo a rendermene conto, ma la coscienza di questa nuova condizione mi rendeva molto felice. Quelle stesse persone, tra cui anche mia moglie e lui, mi si presentavano sotto una luce del tutto diversa. " (Sonata a Kreutzer, di Lev Nikolàevič Tolstòj - trad. Laura Salmon)
È la storia di una città che, partita da modestissimi inizi, è tanto cresciuta da essere ormai oppressa dalla sua stessa grandezza. (Tito Livio, Ab urbe condita, proemio).
Ab exiguis profecta initiis eo creverit ut iam magnitudine laboret sua.
Romanzo di esordio di Ruth Rendell e primo caso letterario del commissario Wexford.
Datato 1964, "Con la morte nel cuore" fu riproposto da Fanucci 40 anni dopo, non mostrando di essere datato o fuori tempo, data la capacità dell'autrice di proporre quello che era un giallo classico, con elementi affatto banali o scontati, bensì con una grande attenzione allo studio dei personaggi e delle loro caratteristiche, raccontate più che semplicemente descritte.
L'ambientazione è tipicamente inglese, ovvero un'immaginaria cittadina nel Sussex, dove segreti e misteri di provincia si dipanano all'interno della storia, che presenta, come detto, una struttura tipica dei gialli di tradizione britannica, alla Agatha Christie. Gli elementi che compongono la narrazione e lo stile della Rendell sono essenzialmente
l'attenzione al momento storico e culturale degli anni sessanta, la cura nella definizione psicologica dei
personaggi, originali nella loro varietà, l'importanza data alle
relazioni umane, la meticolosità dei dettagli, l'indagine attenta e condotta in modo "artigianale", espressa tramite uno stile asciutto ed efficace. Nonostante l'intreccio sia in fondo semplice, quello che fa la differenza è l'atmosfera, ambigua e
misteriosa, originata da una narrazione sapiente, con tratti decisi,
in alcune parti raffinata ed elegante.
Un gustoso giallo, ricco di suspense, che invita il lettore a seguire Wexford nella sua indagine, affezzionandosi a lui ed all'ispettore Burden che lo affianca.
"Amore e morte" disse il capo ispettore Wexford. "Sono stati questi gli
unici eventi sensazionali nella vita di Margaret Parsons, l'amore e la
morte. L'unico problema è che sono entrambi avvenuti nel mio distretto".
La polizia sapeva tutto della vita di Margaret Parsons, una vita
assolutamente normale, almeno all'apparenza. Margaret era sempre stata
una "brava" donna, religiosa, all'antica, rispettabile. L'intera sua
esistenza pulita e ordinaria come la sua casa, monotona e sicura come il
suo matrimonio. Ma non è la vita di Margaret Parsons che interessa
Wexford, quanto la sua morte. Una donna prevedibile e ordinaria ha
trovato una morte passionale e violenta, senza motivo, senza alcun
indizio.
(da ibs.it)