Blog su Cinema, Letteratura, Arte, Cultura, Tempo libero, Esperienze. Post su Film, Libri, Mostre, Esperienze di vita, Fumetti, Cartoni Animati e quello che mi piace ed anche che mi piace di meno.
mercoledì 28 marzo 2018
lunedì 26 marzo 2018
Citazioni Cinematografiche n.243
Libanese: A me a scola me piacevano solo l'imperatori: Augusto, Tito, Adriano...
Freddo: A me no! Erano tutti matti!
Libanese: Sì però era gente che pensava en grande a Fre'!
Freddo: No, no, finivano sempre male, poi mica in guera eh, sempre così pe' e stronzate...
Libanese: Che ne sai magari ce capita pure a noi così.
Freddo: Che te pensi de esse' n'imperatore? Oddio un po' de manie de grandezza ce l'hai.
Libanese: Le manie de grandezza ce l'hanno avute tutti quelli c'hanno cambiato a storia...
Freddo: Tipo?
Libanese: Mussolini, Hitler, te ce metto pure Stalin, eh...
Freddo: Sì, e mettece pure Mao Tse-tung...
Libanese: Mao Tse-tung è comunista però c'ha du' palle così... Dittatori, vabbè, ma che male c'è a esse dittatori?
Freddo: No, no, coi dittatori nun me ce ritrovo proprio.
Libanese: Eh, lo so, lo so! Pare che nun te conosco... Come te conosco io, nun te conosce nessuno, Fre'!
Freddo: A me no! Erano tutti matti!
Libanese: Sì però era gente che pensava en grande a Fre'!
Freddo: No, no, finivano sempre male, poi mica in guera eh, sempre così pe' e stronzate...
Libanese: Che ne sai magari ce capita pure a noi così.
Freddo: Che te pensi de esse' n'imperatore? Oddio un po' de manie de grandezza ce l'hai.
Libanese: Le manie de grandezza ce l'hanno avute tutti quelli c'hanno cambiato a storia...
Freddo: Tipo?
Libanese: Mussolini, Hitler, te ce metto pure Stalin, eh...
Freddo: Sì, e mettece pure Mao Tse-tung...
Libanese: Mao Tse-tung è comunista però c'ha du' palle così... Dittatori, vabbè, ma che male c'è a esse dittatori?
Freddo: No, no, coi dittatori nun me ce ritrovo proprio.
Libanese: Eh, lo so, lo so! Pare che nun te conosco... Come te conosco io, nun te conosce nessuno, Fre'!
(Il Libanese/Pierfrancesco Favino e Il Freddo/Kim Rossi Stuart in "Romanzo Criminale", di Michele Placido - 2005)
sabato 24 marzo 2018
La mia Vita da Zucchina (2016)
Capita, a
volte, che il caso, le circostanze, qualche motivazione indipendente
da noi, ci porti ad esperienze ed eventi che non avremmo immaginato
possibili. Accade quindi che dopo un po', a volte durante le vicende
stesse vissute, si faccia un bilancio, magari parziale, che ci porti
a ringraziare o maledire la sorte.
Molto più
banalmente può succedere che in visita dai nonni, i miei bambini ed
io vediamo un bel film d'animazione che ci eravamo persi alla sua
uscita nei cinema.
“La
mia Vita da Zucchina”, per la regia
di Claude Barras
e distribuito da Teodora Film, è veramente un film prezioso.
Originale per la capacità di liberarsi delle ormai imperanti logiche
dell'animazione commerciale, senza però perdere il necessario
e fondamentale equilibrio tra narrazione e scelte tecnico-artistiche,
personale visione del lavoro di produzione e regia e ragioni di
opportuna visibilità e fruizione da parte del pubblico. Poco più di
un'ora di essenziale e pregevole lavoro artistico e narrativo, con al
centro idee forti e chiare, per una sceneggiatura semplice e diretta,
con poco intreccio drammaturgico, ma tanto diretto da farsi godere in
tutto e per tutto.
Volutamente
la storia è lineare, in qualche passaggio fin troppo semplice, con
una dose di didascalico che non disturba perché inserita in una
visione del prodotto che fa della semplicità
e della purezza delle intenzioni il suo punto
forte.
Basta poco
per delineare caratteri ed ambienti, affetti e pulsioni, personaggi
positivi e negativi, scenari e pensieri. Chiare sono le
linee dell'animazione a passo uno che
riportano alle emozioni del giovane Tim Burton, chiare sono le storie
dei bambini protagonisti, cristallini i sentimenti e le azioni
rappresentate, per una lucida essenzialità che arricchisce la
visione ed il cuore di chi ferma a seguire le vicende di Zucchina e
degli altri ospiti della comunità per minori in cui viene inserito.
È comunque
presente qualche eccellenza e mirabile preziosismo, dato dai dialoghi
e dall’accuratezza dei tessuti, dei vestiti, dai netti
cromatismi e da una immediatezza estetica che
piace ai bambini e agli adulti che sappiano spogliarsi di
sovrastrutture estetizzanti e tecno inganni così di moda.
Zucchina non è un vegetale, è un ragazzino molto coraggioso. Quando perde la madre, pensa di essere rimasto solo al mondo, ma non ha fatto i conti con tutte le persone che incontrerà nella sua nuova vita nella casa dei bambini… Simon, Ahmed, Jujube, Alice e Béatrice: hanno tutti delle storie particolari e anche i più duri hanno in realtà un cuore d’oro. E poi c’è quella ragazzina, Camille. A dieci anni si può avere un gruppo di amici, ci si può innamorare, ci sono tantissime cose da scoprire e imparare. E si può essere felici.
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giovedì 22 marzo 2018
Ogni artista è un eroe
“Ogni artista è un eroe, bisogna che soffra perché un giorno abbia la gioia di imporre a tutti la sua vittoriosa personalità”
(James Ensor)
mercoledì 21 marzo 2018
lunedì 19 marzo 2018
Citazioni Cinematografiche n.242
James Bond: Sei una delle più belle ragazze che io conosca.
Tatiana Romanov: Grazie, ma forse ho la bocca troppo grande.
James Bond: No, è della grandezza giusta... almeno per me.
(James Bond/Sean Connery e Tatiana Romanov/Daniela Bianchi in "A 007, dalla Russia con amore", di Terence Young - 1963)
sabato 17 marzo 2018
Giallo, Noir & Thriller/51
Titolo:
False Apparenze
Autore:
Dahl Kjell Ola
Traduttore:
Paterniti Giovanna
Editore:
Marsilio – 2012
Quarto
episodio della serie creata da Kjell Ola Dahl, “False
Apparenze” vede maggiormente protagonista l'ispettore Frank
Frølich, anche perché Gunnarstranda è inizialmente in ferie
entrando in scena e nel cuore delle indagini solo successivamente.
Frølich
si trova coinvolto in due, addirittura tre indagini o comunque casi
da affrontare, per certi versi suo malgrado, dovendo fare
inevitabilmente i conti con le proprie emozioni, le pulsioni che lo
caratterizzano in questa fase della sua vita e con il proprio
passato. Un passato che segna ed incide sul presente e sul suo
lavoro, influenzatone a tal punto che il suo diretto superiore
Gunnarstanda e la polizia di Oslo tutta cominciano a dubitare delle
sue capacità di indagine e studio delle vicende narrate. Si
intrecciano varie piste, che riguardano un traffico di droga, la
morte di una giovane donna promessa sposa dell'amico d'infanzia di
Frølich, la scomparsa di una studentessa africana ed un vecchio caso
in cui è coinvolto uno psicologo vicino, in qualche modo, a
pressoché tutti i personaggi del romanzo.
Le
piste seguite si rivelano una ad una fallaci, del tutto od in parte,
con inaspettati punti di intersezione tra loro. Molto efficace il
lavoro di Kjell Ola Dahl, che riesce a mantenere il ritmo,
alternando azione e meditazione, non invasive descrizioni e
narrazione costante, che coinvolge il lettore e gli dona una certa
dose di incertezza e tensione che si diffonde per tutta le lettura.
Non proprio una gran figura, professionalmente parlando, di Frank
Frølich, che viene raccontato in tutta la sua umanità e i propri
dubbi ed insicurezze, ma un episodio stimolante e ben scritto che
rinnova il gusto per questa serie.
Nel
cuore della notte, in un cassonetto delle immondizie nel centro di
Oslo, giace il corpo di una giovane donna avvolto con cura in una
pellicola di plastica trasparente. Chiamato dal medico legale,
l'ispettore Frank Frølich la riconosce: l'aveva da poco incontrata
alla festa del suo migliore amico di un tempo, che ora diventa il
principale sospettato dell'omicidio. Costretto controvoglia a
occuparsi del caso, Frølich sa di non poter essere imparziale. Le
indagini riportano in vita tormentati ricordi legati alla sua
giovinezza, ma proprio nel passato potrebbe nascondersi un'importante
traccia per la soluzione. In un pericoloso gioco di equivoci e
simulazioni, Frølich si trova coinvolto in un'indagine emotivamente
molto complessa, che si confronta con la lealtà più nobile e il
tradimento più intollerabile, dove razionalità, passione e
desiderio di rivalsa si fondono in una miscela esplosiva, dando vita
a un crescendo di colpi di scena. (da
marsilioeditori.it)
giovedì 15 marzo 2018
Una questione di strade
LA STRADA NON PRESA
Divergevano due strade in un bosco
Ingiallito, e spiacente di non poterle fare
Entrambe essendo uno solo, a lungo mi fermai
Una di esse finché potevo scrutando
Là dove in mezzo agli arbusti svoltava.
Poi presi l'altra, che era buona ugualmente
E aveva forse i titoli migliori
Perché era erbosa e poco segnata sembrava;
Benché, in fondo, il passar della gente
Le avesse invero segnate più o meno lo stesso,
Perché nessuna in quella mattina mostrava
Sui fili d'erba l'impronta nera d'un passo.
Oh, quell'altra lasciavo a un altro giorno!
Pure, sapendo bene che strada porta a strada,
Dubitavo se mai sarei tornato.
Questa storia racconterò con un sospiro
Chissà dove fra molto molto tempo:
Divergevano due strade in un bosco e io...
Io presi la meno battuta,
E di qui tutta la differenza è venuta.
Chissà dove fra molto molto tempo:
Divergevano due strade in un bosco e io...
Io presi la meno battuta,
E di qui tutta la differenza è venuta.
(Robert Frost, Trad. Giovanni Giudici)
mercoledì 14 marzo 2018
lunedì 12 marzo 2018
Citazioni Cinematografiche n.241
Solo chi sogna può volare!
(Peter Pan in "Le Avventure di Peter Pan", di Clyde Geronimi, Wilfred Jackson e Hamilton Luske - 1953)
sabato 10 marzo 2018
Le Storie #65 - Il Terzo Giorno
A
proposito del numero 65 della collana “Le Storie”
inevitabilmente il primo aggettivo che si utilizza ed ampiamente
viene divulgato è “lovecraftiano”, poiché i riferimenti
all'autore di Providence sono dichiarati ed evidenti, fin dalla bella
copertina di Aldo Di Gennaro. Ci sarebbe da ricordare anche Poe, ma
Lovecraft è senza dubbio presente e preponderante.
Messa
così si rischia la delusione e di allontanare dall'albo “Il
Terzo Giorno” ben più di un potenziale lettore. Infatti gli
omaggi del mondo del fumetto e dell'illustrazione all'autore
statunitense sono molteplici e spesso apprezzabili, per cui se ci si
ferma a definire il lavoro di Marco Nucci, Isaak Friedl e Stevan
Subic come un semplice omaggio e una storia ispirata ai racconti di
Lovecraft, molti di noi rimarrebbero un po' freddi di fronte ad un
“ennesimo” tributo al maestro del fantastico e dell'horror.
Fortunatamente
c'è altro e anche se a fine lettura il mio giudizio non è stato
entusiastico bisogna riconoscere che almeno per la prima parte la
lettura è appassionante. Gangster novel dai toni e dalle
inquadrature nettamente cinematografiche che si incontra con il
fantastico e l'horror di buona qualità, per una trama ben
studiata e che scivola bene. Discorso diverso per la seconda parte
della storia, quando sembra che gli autori abbiano messo in pista
troppi elementi e l'accelerazione del ritmo e dell'azione, a scapito
dei punti centrali della trama e della sceneggiatura, fa perdere un
po' il filo di tutto ed il lettore prova la sgradevole sensazione di
non ritrovarsi più.
Una
sorta di disorientamento che lo costringe a tornare a sfogliare le
pagine lette in precedenza per cercare di riannodare qualche filo e
riprendere qualche passaggio, nel tentativo, a mio modo di vedere
velleitario per quanto infruttuoso, di riprendersi. Tale sforzo per
fortuna viene ripagato dal poter rivedere ed apprezzare le splendide
tavole firmate da Stevan Subic. Il disegnatore serbo compie
un gran bel lavoro, con un suo tratto personale da cui si notano i
suoi gusti e preferenze per l'uso del chiaro e scuro, delle ombre e
del nero. Tocco personale che si fa apprezzare per la cura dei
dettagli e per l'abilità di rendere sulla carta un orrore
immaginifico e visionario, in grado di supplire ai passaggi narrativi
meno convincenti.
Tre
banditi in fuga in un giorno di pioggia. Gli ingredienti perfetti di
un gangster-movie, con tanto di sparatorie e inseguimenti. O forse
no? Lungo quelle strade coperte di fango, sulla costa di un mare
minaccioso, anche il criminale più spietato può incontrare qualcosa
di troppo duro per i suoi denti, qualcosa di antico e malvagio che
attende nella tenebra...
(da
sergiobonelli.it)
giovedì 8 marzo 2018
Modello n°1: Giuditta!
Giuditta
I
Autore:
Gustav Klimt – 1901
Vienna, Österreichische Galerie
Giuditta
è una delle eroine bibliche, non necessariamente la mia
preferita ma una di quelle che maggiormente ha stimolato pittori,
scrittori ed artisti in genere, nonché la fantasia di molti.
Gustav
Klimt evidentemente non fu insensibile al suo fascino, dato che
la ritrasse in due occasioni, in questo caso con il suo stile tipico.
Opera in cui c'è molto di decorativo, che fa largo utilizzo di
elementi dorati, che qui vediamo sia nello sfondo, ricco di elementi
vegetali, che nella veste di Giuditta, oltre che nel suo ricco
collare pieno di pietre preziose.
Giuditta,
giusto per ripassare un po' di storia biblica, al fine di salvare il
popolo ebraico, sedusse il generale assiro Oloferne per poi
ubriacarlo e ucciderlo tagliandogli la testa. Ragione per cui nel
dipinto, in modo teatrale e un po' truce, la vediamo mentre tiene in
mano la testa dell'avversario.
Come in
diverse opere di Klimt, anche qui non manca una certa dose di
sensualità, esaltata dalla veste che si apre sul seno della
donna, scoprendolo e mostrandolo all'osservatore. Tale sensualità ai
nostri occhi assume una doppia valenza, come se l'osservatore fosse
messo in guardia ed invitato a diffidare delle donne audaci e
provocanti.
Una femme
fatale di inizio novecento ispirata alla biblica Giuditta?
Effettivamente il tema della femme fatale ispirò molti artisti ed il
'900 si sarebbe prestato molto bene a ciò. Se quindi nel
Rinascimento Giuditta era simbolo di eroismo, coraggio, forza di
volontà e amore per la patria, nel dipinto di Klimt diventa quasi
simbolo di un erotismo pericoloso e crudele. Ne sono prova anche
lo sguardo beffardo della donna, che si rivolge a chi la osserva per
indicargli la fine che potrebbe fare, e il gesto della mano destra,
che invece pare accarezzare ironicamente i capelli di Oloferne.
Franz Lehár - Valzer di Giuditta
mercoledì 7 marzo 2018
lunedì 5 marzo 2018
Citazioni Cinematografiche n.240
Detective Nock: Può una macchina pensare?
Alan Turing: Quindi ha letto le mie pubblicazioni.
Detective Nock: Perché dice questo?
Alan Turing: Perché sono in una stazione di polizia accusato di
aver pregato un ragazzo di toccarmi il pene e lei mi ha appena domandato
se le macchine pensano.
Detective Nock: È così o no? Può una macchina riuscire a pensare come un essere umano?
Alan Turing: Molti dicono di no.
Detective Nock: Lei non è molti.
Alan Turing: Il problema è che la sua è una domanda stupida.
Detective Nock: Lei dice?
Alan Turing: È ovvio che le macchine non possono pensare come le
persone. Una macchina è diversa da una persona e pensa in modo diverso.
La domanda interessante è: poiché qualcosa pensa diversamente da noi
vuol forse dire che non sta pensando? Noi ammettiamo che gli esseri
umani abbiano divergenze gli uni dagli altri. Lei ama le fragole, io
odio pattinare, lei piange ai film tristi, io invece sono allergico al
polline. Qual è il punto d-di avere gusti diversi, diverse preferenze se
non mostrare che i cervelli lavorano diversamente e che pensiamo
diversamente? E se diciamo questo delle persone non possiamo dire lo
stesso di cervelli fatti di rame, acciaio e cavi?
(Detective Nock/Rory Kinnear e Alan Turing/Benedict Cumberbatch in "The Imitation Game" di Morten Tyldum - 2014)
venerdì 2 marzo 2018
La Neve di Stalingrado - Editoriale Cosmo
“Un Eroe
Una Battaglia” è una breve serie della Editoriale Cosmo, ne avevo
già parlato a proposito della Battaglia di Caporetto, torno a farlo
ora con “La Neve di Stalingrado”.
Le
considerazioni possono essere ridotte a due, di differente tipologia.
La prima è più tecnica, la seconda storico-narrativa e un po' di
natura evocativa.
In merito
all'aspetto tecnico-artistico lo stile scelto è semplice ed
efficace, i disegni di Valerio Befani
sono un elemento positivo di questo albo, soprattutto
nelle tavole in cui l'autore si sofferma con cura sui dettagli
e grazie ad una inchiostrazione pastosa riesce a donare pathos ad una
serie di disegni e scene che nella loro struttura tendono ad essere
poco dinamiche, non solo a causa del formato un po' sacrificato,
omaggio e recupero del fumetto bellico anni 60 (a
cui la serie si è evidentemente ispirata). La
sceneggiatura di Davide La Rosa è efficace
e riesce a tenere ben in asse la narrazione storica, con realismo e
fedeltà ai fatti, ed elementi romanzati e ricostruzione libera degli
avvenimenti, nonostante qualche concessione a determinati cliché
tipici dei film di guerra e qualche dialogo un po' troppo moralista e
consolatorio. Che la guerra sia brutta e faccia schifo, tiri fuori il
peggio e a volte il meglio dagli uomini e dalle donne è ormai
ampiamente stato rappresentato, al cinema, nei romanzi, nel fumetto e
nelle canzoni, per cui una maggiore originalità e un po' più di
rigore sarebbe stato preferibile, ma bisogna cercare di raggiungere
il pubblico, per cui va bene così.
Per quanto riguarda l'aspetto di ricostruzione e di
narrazione storica, si nota un buon lavoro di ricerca e
preparazione. L'azione si svolge nel contesto dei combattimenti della
Seconda guerra mondiale che tra l’estate del 1942 e il 2
febbraio 1943 videro i soldati dell’Armata Rossa opporsi
all'offensiva delle truppe tedesche, italiane, rumene e ungheresi,
per il controllo della regione fra il Don e il Volga, e in
particolare della città di Stalingrado (attuale
Volgograd), allora centro politico ed economico di importanza
strategica.
Siamo
nel pieno dell’Operazione
Barbarossa,
ritenuta dagli storici la più vasta operazione militare terrestre di
tutti i tempi, sul fronte orientale della seconda guerra mondiale
La
battaglia di Stalingrado ebbe
inizio con l’avanzata delle truppe dell’Asse fino al Don e al
Volga, e terminò con l’annientamento della 6ª Armata tedesca
rimasta circondata, segnando la prima grande sconfitta
politico-militare della Germania nazista, nonché l'inizio
dell’avanzata sovietica verso ovest, che sarebbe poi terminata con
la battaglia di Berlino e il suicidio di Hitler.
All'interno
dell'albo un ruolo centrale lo riveste la cosiddetta “Casa
di Pavlov”,
che ha assunto negli anni una valenza fortemente simbolica per i
Sovietici, come segnale dell’ostinata resistenza dell’URSS
durante la battaglia di Stalingrado e la Grande Guerra Patriottica
più in generale. Qui il lettore fa la conoscenza di Irina,
personaggio allo stesso tempo inventato e rappresentativo di un
popolo e di una nazione, che, pur mostrandosi come un’eroina
impavida al limite della sfrontatezza, simbolo di una femminilità
forte e fiera, non soverchia per importanza il ruolo focale che la
Storia ha in questo fumetto, né appare come una presenza
eccessivamente ingombrante, venendo lasciato ampio spazio ai
personaggi storicamente vissuti, come il generale tedesco, poi
feldmaresciallo, Friedrich Paulus. Il ruolo di Irina, in modo
funzionalmente strategico a livello di sceneggiatura e narrativo,
diviene quello di offrire al lettore un
personaggio nel quale identificarsi,
in grado di accompagnarlo nella Storia e di condurlo verso un finale
aperto quanto amaro. La guerra non finirà dopo l'assedio di
Stalingrado, simbolo di molto e di più nel bilancio di una guerra e
della Storia europea e mondiale, giustamente utilizzato per
rappresentare, ricordare, omaggiare e anche fare propaganda, poiché
i Sovietici invasi in fondo loro stessi avevano invaso (gli
stati baltici ad esempio).
Comunque,
ricordando il testo di una canzone degli Stormy Six, da quel momento
“sulla
sua strada gelata la croce uncinata lo sa d'ora in poi troverà
Stalingrado in ogni città”.
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giovedì 1 marzo 2018
Esther Stories
“E'
vero, la bellezza di Esther facilitava le cose a tutti, perché così
nessuno doveva davvero guardarla. Creava una distanza di cui nessuno
si accorgeva veramente fino a molto tempo dopo. Ma nella mia famiglia
c'era anche un ragazzo che poi, crescendo, sarebbe diventato mio
padre. Mentre tutti gli altri amavano la bellezza di Esther senza
guardarla davvero negli occhi, mio padre vedeva tutta un'altra
persona. La Esther che voleva essere vista da mio nonno da dietro
quella macchina fotografica. E mio padre la odiava. […] Mio padre
vedeva solo la Esther spaventata, inquieta, imperfetta. La Esther dei
capricci. La Esther che si faceva venire certi attacchi fino a quando
compì sedici anni. Che dava in escandescenze rotolandosi sul
pavimento della cucina, urlando che le facevano schifo i suoi capelli
e tirando le scarpe addosso a Olivia”.
(da Esther Stories, di
Peter Orner, trad. Riccardo Duranti – Minimum Fax)
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