Blog su Cinema, Letteratura, Arte, Cultura, Tempo libero, Esperienze. Post su Film, Libri, Mostre, Esperienze di vita, Fumetti, Cartoni Animati e quello che mi piace ed anche che mi piace di meno.
domenica 31 dicembre 2017
giovedì 28 dicembre 2017
Star Wars - Episodio VIII Gli Ultimi Jedi
La
parola chiave riguardo a “Star Wars”, fin dal 1977, è
sempre stata Equilibrio. Cercato ma non sempre raggiunto nella
Trilogia originale, assurdamente evitato nella seconda trilogia i cui
postumi mi fanno ancora male, perseguito nel fin troppo filologico
“Il Risveglio della Forza” che inaugura la terza trilogia,
l'equilibrio è tutto sommato avvicinato in questo Episodio VIII
“Gli Ultimi Jedi”.
Al
di là delle vicende dei vari protagonisti, fuggiti su una remota
isola, a spasso nella galassia, concentrati sul proprio ombelico o
nel far fuori chiunque ne critichi l'abbigliamento ed i copricapi
scelti, persi in sottotrame non del tutto convincenti o nel
pronunciare battute non proprio brillanti, l'Equilibrio viene cercato
e sotto più di un aspetto raggiunto, anche se forse solo
temporaneamente.
Equilibrio
fra tradizione e novità, su due distinti versanti neanche solo
immaginato nel film direttamente precedente e completamente snobbato
nel doloroso “La Minaccia Fantasma”. Equilibrio fra
computer grafica, nella quale era purtroppo affogato il padre nobile
George Lucas, ed efficaci modellini animati, già
sapientemente utilizzati da J. J. Abrams, anche se in
quest'ultimo ci sono un po' troppi irritanti pupazzetti, comunque
buoni per il merchandising, se non divorati da Chewbecca.
Equilibrio
fra fantasy e fantascienza, che in verità era già tratto
distintivo degli episodi IV-V-VI e dato per raggiunto, anche
oltrepassato da una serie di buoni film, ma messo seriamente in crisi
dagli episodi I-II-III.
Equilibrio
fra maturità e gioventù, fra canone lucasiano e nuove strade
perseguibili ed auspicabili per innovare e reiterare la classicità
del canone stesso, fra storie di una galassia lontana lontana ed un
robusto war movie (ed in questo caso Rogue One aveva già
fatto gran parte del lavoro).
Equilibrio
fra affascinante opera d'autore e blockbuster che tutto prendono,
fagocitano e sputano? A questo punto entra in gioco la Disney,
che con un inconsapevole (?) spunto
autobiografico mette in scena la vicenda di un'entità cattiva,
potente e ben attrezzata, che vuole sconfiggere i meno dotati
finanziariamente e i più puri ribelli che si oppongono al Nuovo
Ordine, di tipo Hollywoodiano.
Ogni
film è in fondo figlio del suo tempo, sia che si inserisca in un
filone, una tendenza od uno stile, sia che con irruenza sparigli le
carte per mostrare una diversa e distinta visione. Così è per “Gli
Ultimi Jedi”, che con budget più alto ed una qualitativamente
migliore predisposizione assomiglia in modo inquietante ad un
qualsiasi “Avengers” o ad un “Thor qualcosa”. Buono
per conquistare il pubblico più giovane, che al cinema spende ed è
pronto ad acquistare gadget e pupazzi. In fondo il marchio deve
essere sfruttato, per cui non c'è nulla di male nell'inserire gag e
trovate puerili, battute che dovrebbero far ridere e scene ridicole
in un film che deve necessariamente incassare decine e decine di
milioni, anche se non è Iron Man o Mary Poppins, quest'ultima
omaggiata dal generale/principessa Leila/Leia Organa/Carrie Fisher,
ancorché in modo grottesco e qui sicuramente inconsapevole.
Ovviamente
perplessità e rammarico di sorta valgono se si guarda all'episodio
VIII nel contesto e nell'affetto per una saga, al momento l'unica
vera saga degna di questa definizione. Se invece ci si accosta a “Gli
Ultimi Jedi” come ad un film qualsiasi, slegato da un complesso
narrativo e immaginifico, si può giustamente rimanerne affascinati.
Fin dall'incipit, che ne segna il tenore e la spettacolarità,
proseguendo per i molti combattimenti e scontri.
Un'esperienza
cromatica che si
rinnova in più scene, una di seguito all'altra, per una fotografia
che valorizza in pieno contest e scenari, armi, armature e armati,
prepara ad una ennesima resa dei conti che non sfigura e ne richiama
altre precedenti senza farle rimpiangere. Due ore e mezza che
scorrono, a volte a scatti, con qualche pausa che non convince, ma
che in fondo non danno tregua allo spettatore, con una parte di nuovo
che è vecchio ma nuovo per i più giovani, che se non sono
smaliziati a volte si rivelano sprovveduti di fronte alle furbizie di
un grande marchio che sa che bisogna uccidere i padri impadronendosi
di quello che funziona. I
padri vengono uccisi anche fisicamente in Star Wars, lo sappiamo, per
cui la Disney si libera di quanto di lucasiano risulta ingombrante e
si tiene stretto invece quanto produce fatturato sicuro. Il
regista Rian Johnson
recepisce gli ordini e li esegue con buone capacità e occhio attento
a calibrare personalità e disciplina. Per cui si sopportano le
mancanze logico-narrative e le evidenti cadute nel comico-grottesco.
Queste sì che testimoniano una mancanza
di equilibrio nel continuum ironico-drammatico,
favorendo la spettacolarità che per fortuna non risulta fine a se
stessa, ma godibile nel vedere almeno una certa maturazione in due,
forse tre, personaggi tra i nuovi, dato che i “vecchi” ormai
hanno dato o sono stati eliminati dalla sceneggiatura.
Altri
caratteri risultano penalizzati, o di contro mal utilizzati, ma
poiché sappiamo che fra due anni ci troveremo a parlare
dell'episodio IX non si può mai dire cosa sia definitivo e cosa
transitorio.
Durante
la visione si perde una parte della propria infanzia-giovinezza, si
sente venire meno quello slancio fanciullesco a cavallo fra anni 70
ed anni 80. Bisogna farci i conti, sono passati gli anni, per noi e
non solo, il Cinema ora è così, in buona parte, pertanto si può
scegliere se rimanere attaccati a quanto è legato agli anni
giovanili o accettare quanto di comunque buono alberga nei film di
questi anni. C'era l'ideologico, in seguito il post ideologico, ora
il post-post ideologico che in fondo è esso stesso ideologico, solo
che l'idea è diversa dalla nostra, per quanto possa importare ad una
Major, per la quale pecunia
non olet, anche
se chi spende non è convinto, purché spenda.
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mercoledì 27 dicembre 2017
lunedì 25 dicembre 2017
Merry Christmas
Merry Christmas (I Don't Want To Fight Tonight)
The Ramones
Merry Christmas, I don't want to fight tonight withMerry Christmas, I don't want to fight tonight
Merry Christmas, I don't want to fight tonight
Merry Christmas, I don't want to fight tonight with you
Where is Santa? At his sleigh?
Tell me why is it always this way?
Where is Rudolph? Where is Blitzen, baby?
Merry Christmas, merry merry merry Christmas
All the children are tucked in their beds
Sugar-plum fairies dancing in their heads
Snowball fighting, it's so exciting baby
I love you and you love me
And that's the way it's got to be
I loved you from the start
'Cause Christmas ain't the time for breaking each other's heart
Where is Santa? At his sleigh?
Tell me why is it always this way?
Where is Rudolph? Where is Blitzen, baby?
Merry Christmas, merry merry merry Christmas
All the children are tucked in their beds
Sugar-plum fairies dancing in their heads
Snowball fighting, it's so exciting baby
Yeah, yeah, yeah
I love you and you love me
And that's the way it's got to be
I loved you from the start
'Cause Christmas ain't the time for breaking each other's heart
Merry Christmas, I don't want to fight tonight with
Merry Christmas, I don't want to fight tonight with
Merry Christmas, I don't want to fight tonight with you
sabato 23 dicembre 2017
Canto di Natale di Topolino (1983)
È
la viglia di Natale e in ogni famiglia fervono i preparativi. L'unico
che sembra essere insensibile allo spirito del Natale è il vecchio
Ebenezer Scrooge, un uomo ricchissimo e senza cuore. Tra i suoi
dipendenti c'è Bob Cratchit, un uomo sempre allegro e gentile che, a
causa del risibile stipendio che riceve, è costretto a tirare la
cinghia anche a Natale. Ma questa notte Scrooge riceverà le visite
degli Spiriti del Natale passato, presente e futuro e, quando si
sveglierà, la sua vita non sarà la stessa.
“Canto
di Natale di Topolino” è senza ombra di
dubbio un classico delle festività natalizie, un appuntamento
irrinunciabile per le famiglie che sappiano apprezzare e divertirsi
con questo piccolo, perché un cortometraggio, ma imprescindibile
capolavoro di casa Disney.
Se opportunamente papà, mamme e nonni offriranno ai più piccoli, ma
anche a qualche adolescente, la visione di questo film d'animazione
datato 1983, compiranno un atto meritorio e rinnoveranno la magia non
solo del Natale, ma della narrazione per immagini.
Procediamo
con un minimo di ordine filologico: nel 1843 Charles
Dickens dà alle stampe il primo dei suoi
Christmas Books:
si intitola A Christmas Carol: A
Goblin Story of Some Bells that Rang an Old Year Out and a New Year
In, ma passerà alla storia senza il
lungo sottotitolo. La pubblicazione del Canto
di Natale acquista un ruolo centrale
all’interno della poetica e dell’arte di Dickens, che si concede
l'occasione di riversare tutto il suo sentimento di disapprovazione
verso la media e alta borghesia e l’aristocrazia britannica,
tratteggiando un personaggio, Ebenezer
Scrooge, che nella Londra di metà Ottocento
prospera facendo leva sulle disparità sociali, tanto detestate
dall'autore.
Per anni e
malauguratamente ancora oggi, da parte di insegnanti ed educatori
tanto sprovveduti quanto superficiali, Canto
di Natale viene
letto con faciloneria e proposto come un riepilogo dei dettami del
buon cristiano. Prestando maggiore attenzione e facendo un favore a
se stessi ed agli altri, in realtà ci si trova di fronte ad un acuto
saggio politico sul conflitto insanabile tra le classi, un mirabile
spaccato tra il sarcastico e il drammatico della società inglese, in
cui il tono buffonesco de Il circolo
Pickwick si lega a reminiscenze dal
sapore gotico.
Circa un secolo e mezzo dopo, nel 1983,
Walt Disney è morto
da quasi diciassette anni, e la Casa del Topo sta vivendo un momento
di stanca dopo i fasti dei cinquant’anni precedenti. La Disney è
combattuta fra il tentativo di allontanarsi dai cliché e dalle
abitudini del pubblico, per innovarsi e sperimentare nuove forme e
vie dell'animazione e dell'intrattenimento in generale, e l'esigenza
di rivendicare e sottolineare le proprie radici.
Nasce da questa esigenza Canto di Natale di Topolino, cortometraggio di meno di mezz’ora che raggiunse le sale nell’autunno/inverno del 1983. Un titolo che in breve tempo è entrato a far parte dell’immaginario cinematografico legato al Natale.
Un capolavoro si è detto, ma non solo
per l'eccellente tecnica di disegno ed animazione, per le musiche e
il brillante omaggio all'arte di Dickens. La essenziale peculiarità
che mi preme sottolineare è come durante la visione di Canto
di Natale di Topolino ci si trovi di
fronte ad un brillante adattamento di un
romanzo: i personaggi in scena, a partire da
Zio Paperone e Topolino, sono solo degli interpreti, che vestono i
panni dei vari Scrooge, Bob Cratchit, Jacob Marley e via discorrendo.
Una messa in scena del lavoro di Dickens che si dimostra anche
decisamente coerente, senza cercare di edulcorare in alcun modo né
la sgradevole cupidigia di Scrooge né il ritratto di un popolo
povero, privo di protezione e lasciato alla mercé della bontà (o
della crudeltà) del prossimo.
Paperon de’ Paperoni,
fin dalla sua ideazione e realizzazione nel 1947, è sempre stato un
parente prossimo di Ebenezer Scrooge,
al punto da rubargli persino il nome nella versione statunitense a
firma del genio di Carl Barks,
ma anche tutti gli altri personaggi Disney vengono scelti per far
parte di un cast “stellare”, recitando la loro parte con
professionalità e grande coerenza drammaturgica.
Altro elemento degno di nota è come
nella versione Disney si mantenga e venga rispettato lo schema dei
cinque atti drammatici, proprio del romanzo di Dickens, divenendo uno
dei punti di forza di Canto di Natale di
Topolino. La storia si sviluppa in
cinque passaggi chiave: il 24 dicembre,
con la presentazione dei personaggi e la mano calcata sulla crudeltà
priva di rimorsi di Scrooge; i viaggi nei
“tre Natale”,
quello del passato, del presente e del futuro; e, infine, il
risveglio dal sogno di Scrooge e la sua
definitiva presa di coscienza. Scanditi attraverso un utilizzo del
tempo mirabile, in cui gag, melanconia e dramma si mescolano senza
mai scadere nel patetismo o nella comicità irrazionale, questi
cinque passaggi articolano una storia che racchiude al proprio
interno anche molti dei punti fermi della poetica disneyana, a
partire dall’evoluzione di un personaggio che scopre la propria
umanità.
Canto di Natale di Topolino,
all'interno
degli anni 80 di casa Disney, fra vari tentativi di innovazione non
sempre apprezzabili, è dominato
da un’aura di classicità che lo rinforza, relegandolo in un posto
fuori dal tempo e dallo spazio, dove sembra dialogare realmente con
l’Inghilterra vittoriana.
Il film è anche una grande elegia del prodotto disneyano, e ospita al proprio interno i protagonisti più disparati, da Ezechiele Lupo ed i tre porcellini al Grillo Parlante, da Willie il gigante (quello del delizioso Topolino e il fagiolo magico del 1947) a Pietro Gambadilegno, passando poi per Nonna Papera, Ciccio, Orazio e Clarabella, Cip e Ciop e altri personaggi di lungometraggi precedenti. La Disney rivendica il proprio ruolo e la propria storia, e lo fa senza venir mai meno alle regole (non) scritte attorno alle quali è stata costruita.
La regia elegante e misurata di Burny
Mattinson ci regala ancora oggi un cortometraggio che diventa
“classico” già durante la prima visione, viaggio nelle pulsioni
umane, ma anche dei paperi, buffo, dolente e persino pauroso. Tutto
questo grazie all'animazione, la tecnica migliore, probabilmente, per
restituire fino in fondo lo spirito del racconto dickensiano.
venerdì 22 dicembre 2017
Si avvicina Natale
River
(Joni Mitchell)
It's coming on Christmas
They're cutting down trees
They're putting up reindeer
And singing songs of joy and peace
Oh I wish I had a river I could skate away on
But it don't snow here
It stays pretty green
I'm going to make a lot of money
Then I'm going to quit this crazy scene
Oh I wish I had a river I could skate away on
I wish I had a river so long
I would teach my feet to fly
I wish I had a river I could skate away on
I made my baby cry
He tried hard to help me
You know, he put me at ease
And he loved me so naughty
Made me weak in the knees
Oh, I wish I had a river I could skate away on
I'm so hard to handle
I'm selfish and I'm sad
Now I've gone and lost the best baby
That I ever had
I wish I had a river I could skate away on
Oh, I wish I had a river so long
I would teach my feet to fly
I wish I had a river
I could skate away on
I made my baby say goodbye
It's coming on Christmas
They're cutting down trees
They're putting up reindeer
And singing songs of joy and peace
I wish I had a river I could skate away on
They're cutting down trees
They're putting up reindeer
And singing songs of joy and peace
Oh I wish I had a river I could skate away on
But it don't snow here
It stays pretty green
I'm going to make a lot of money
Then I'm going to quit this crazy scene
Oh I wish I had a river I could skate away on
I wish I had a river so long
I would teach my feet to fly
I wish I had a river I could skate away on
I made my baby cry
He tried hard to help me
You know, he put me at ease
And he loved me so naughty
Made me weak in the knees
Oh, I wish I had a river I could skate away on
I'm so hard to handle
I'm selfish and I'm sad
Now I've gone and lost the best baby
That I ever had
I wish I had a river I could skate away on
Oh, I wish I had a river so long
I would teach my feet to fly
I wish I had a river
I could skate away on
I made my baby say goodbye
It's coming on Christmas
They're cutting down trees
They're putting up reindeer
And singing songs of joy and peace
I wish I had a river I could skate away on
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giovedì 21 dicembre 2017
La Nuova Destra
Non ce l'abbiamo con i neri e gli africani,
solo non vogliamo che ci rubino il lavoro.
Non ce l'abbiamo con gli omosessuali,
solo non vogliamo che ci contaminino col loro morbo.
Questa è una Destra nuova che vuole battersi per il
rispetto della civiltà e della democrazia.
non ce l'abbiamo con gli zingari,
solo non vogliamo che mettano in pericolo
la nostra comunità.
Non ce l'abbiamo cogli extracomunitari
solo non vogliamo che occupino le nostre case.
Questa è una Destra nuova che vuole mettersi
dalla parte del cittadino e del lavoratore.
La pelle, la lingua, la razza non c'entra.
E se non capite questo siete degli ebrei!
Corrado Guzzanti, Il libro de Kipli
solo non vogliamo che ci rubino il lavoro.
Non ce l'abbiamo con gli omosessuali,
solo non vogliamo che ci contaminino col loro morbo.
Questa è una Destra nuova che vuole battersi per il
rispetto della civiltà e della democrazia.
non ce l'abbiamo con gli zingari,
solo non vogliamo che mettano in pericolo
la nostra comunità.
Non ce l'abbiamo cogli extracomunitari
solo non vogliamo che occupino le nostre case.
Questa è una Destra nuova che vuole mettersi
dalla parte del cittadino e del lavoratore.
La pelle, la lingua, la razza non c'entra.
E se non capite questo siete degli ebrei!
Corrado Guzzanti, Il libro de Kipli
mercoledì 20 dicembre 2017
lunedì 18 dicembre 2017
Citazioni Cinematografiche n.230
“Non ho mai visto tanto esplosivo tutto
insieme. Se devo morire, morirò comodo.”
(Sergente William James/Jeremy Renner in “The Hurt Cocker”, di Kathryn
Bigelow – 2008)domenica 17 dicembre 2017
giovedì 14 dicembre 2017
Le Storie #62 – Memoryville
Altro centro della Sergio Bonelli
Editore nella collana “Le Storie”.
“Memoryville”
è un bell'albo, con evidenti connotati noir
e riconoscibilissimi debiti al thriller
poliziesco nordamericano, a cui fa
riferimento anche per il ritmo da serie tv di buona qualità.
Nonostante il tema
sottotraccia siano i ricordi, i rimpianti per il passato e gli
omicidi a cui si fa riferimento si riferiscano a “cold cases”, il
taglio è da noir contemporaneo e decisamente letterario che si mette
in mostra soprattutto grazie alle tavole di un minuzioso Max
Avogadro.
La sceneggiatura del numero 62 della serie porta la firma del
curatore della serie stessa. Gianmaria
Contro
efficacemente pesca con perizia e senza timore nell'ambito del noir
con tratti gotici, creando una storia comunque originale e godibile,
dove i vari rimandi ed omaggi letterari e cinetelevisivi si
inseriscono in una trama ben orchestrata dove la nebbia fisica si
incontra con quella metaforica di domande senza risposte, intrecci
imprevedibili, misteri da svelare e depistaggi vari.
Molto
probabilmente l'egregio lavoro dello sceneggiatore risulta ancora più
apprezzabile grazie all'apporto
grafico delle tavole
di Max Avogrado. Il disegnatore milanese offre una grande prova
stilistica ed espressiva, fornendo la controparte grafica della già
citata opprimente nebbia e oscurità che avvolge i protagonisti e le
vicende nelle quali sono coinvolti. I flashback
sono
realizzati con uno stile acquerellato con toni di grigio, che risalta
il contrasto con le scene nel presente. Avogadro svolge un lavoro
straordinario nella caratterizzazione dei personaggi, soprattutto nei
primi piani, decisamente dettagliati e in diversi punti persino
"fotografici", con una densa inchiostrazione e un
tratteggio estremamente suggestivo ed in alcuni passaggi fortemente
evocativo.
Questi
ultimi elementi, uniti ad una scelta thriller-noir che non lesina
scene
dal forte impatto visivo,
mostra il desiderio e la volontà della casa editrice e dei suoi
artisti di mostrare un certo coraggio nel proporre soluzioni nuove ed
originali, che incontrino il gusto del pubblico ed allo stesso tempo
ne stimolino interesse e curiosità. Una scelta intelligente e
lungimirante, con l'incontro fra stili di comunicazione e
rappresentazione che generino prodotti validi, pur conservando la
distinzione fra cinema/tv e fumetto, prodotti che possono e debbono
incontrarsi e vicendevolmente influenzarsi, mantenendo quella sana ed
auspicabile autonomia di registro e di resa visiva.
Illwood.
West Virginia. 2015.
Come
ogni scrittore, Harrold ha bisogno di una storia. È la sua ultima
possibilità, prima di sprofondare, travolto dai debiti e dalla
disperazione... La fortuna sembra venirgli incontro dal folto della
foresta, dove si cela qualcosa di terribile e affascinante. È la
traccia di un vecchio delitto, il primo passo di un'indagine che lo
porterà indietro negli anni, lungo una pista che conduce... nel
cuore dell'incubo più nero! (da sergiobonelli.it)
mercoledì 13 dicembre 2017
lunedì 11 dicembre 2017
Citazioni Cinematografiche n.229
Padre Francisco: Una libertà che elimina la vita non è libertà.
Ramon Sampedro: E una vita che elimina la libertà? Neppure è vita!
(Padre Francisco/José María Pou e Ramon Sampedro/Javier Bardem in "Mare Dentro", di Alejandro Amenabar - 2004)
sabato 9 dicembre 2017
Sono qui e sono lì e sono ovunque. Sono a Forlì
FASCISTI A FORLI'
Sono qui e sono lì e sono ovunque. Sono a Forlì e agiscono a volto scoperto. Bisogna riconoscerli, prendere atto che ci sono sempre stati. Ora si sentono forti e sono usciti dalle tane. Coscienza Civile e Democratica per combattere questi individui, elementi della peggior specie.
Via i fascisti dalle nostre strade, dalle nostre scuole, dai nostri luoghi di lavoro, di studio, di impegno e di lotta! Viva la Repubblica Italiana!
L'elemento ancora più inquietante è che diversi esponenti politici di rilievo nazionale li cercano, ci dialogano e intendono coinvolgerli in qualcosa
che assomiglia molto ad un possibile cartello elettorale. Berlusconi lo
fa da sempre, Salvini sta rompendo un tabù interno alla Lega e la
Meloni non si è mai veramente allontanata dai camerati.
giovedì 7 dicembre 2017
Le Storie #61 – Astromostri
Giunta al sesto anno di pubblicazioni, la collana "Le Storie" ha ben abituato i lettori con diversi albi di grande valore, a volte prevalentemente per i disegni, in alcune occasioni per la cura e l'abilità degli sceneggiatori che si sono succeduti nel presentare il loro lavoro. Spesso cura nelle tavole e ottimo soggetto e sceneggiatura si sono presentati insieme per la gioia degli occhi e lo stimolo delle menti. Il numero 61, "Astromostri", rientra a pieno titolo in questa casistica, grazie allo splendido lavoro di Maurizio Rosenzweig alle chine e disegni e di Antonio Serra per la scrittura.
"Astromostri" presenta dunque un felicissimo incontro tra il creatore di Nathan Never e un disegnatore straordinario come Maurizio Rosenzweig, negli ultimi mesi all'opera anche in casa Bonelli, all'interno del team creativo di Dampyr. Rosenzweig ha modo di sbizzarrirsi con
splash pages singole e doppie, mai gratuite e sempre a dir poco
spettacolari. Non solo i suoi "mostri" sono bellissimi e pieni di
particolari, ma l'ambientazione è fascinosamente descritta, sospesa tra realtà ed allucinazione, resa in maniera egregia con diverse soluzioni e scelte autoriali.
Serra è notoriamente innamorato della fantascienza e del Giappone e tale passione emerge e traspare da ogni tavola, ogni passaggio e da tutti i personaggi e vicende presentate. Non mi dilungo sulla trama ed i suoi snodi narrativi, efficace ed accattivante l'una quanto mai banali o gratuiti i secondi, nell'economia di una storia di meno di 100 tavole. L'autore sardo, forte di grande conoscenza ed esperienza, omaggia le sue passioni ed in particolare i film di mostri giapponesi anni 60, con una grande attenzione al contesto storico e sociale, che si incontra con il tentativo del protagonista di ritrovare il confine tra realtà e immaginazione, presentando così al lettore una delle peculiarità meglio riuscite dell'albo, quell'aspetto
sognante un po' insolito per lo stesso Serra, non propriamente tipico di altre sue produzioni.
Tokyo 1965. John è nato in America, ma - alla fine della Seconda Guerra
Mondiale - ha scelto il Giappone come nuova patria. Lavora per il cinema
e coltiva la sua passione per la fantascienza. Mostri, alieni,
principesse marziane e dischi volanti... un mondo immaginario che, come
scoprirà, può diventare reale da un momento all'altro! (da sergiobonelli.it)
mercoledì 6 dicembre 2017
lunedì 4 dicembre 2017
Citazioni Cinematografiche n.228
Stanotte ho fatto un sogno assurdo... una ragazza viene trasformata in
un cigno... solo l'amore può spezzare l'incantesimo... ma il principe si
invaghisce della ragazza sbagliata e lei si uccide.
(Nina Sayers/Natalie Portman in "Il Cigno Nero", di Darren Aronofsky - 2010)
sabato 2 dicembre 2017
Selma - La strada per la Libertà (2014)
Un film nel segno dell'America di Obama, da vedere negli anni dell'America di Trump.
Martin
Luther King Jr. non aveva ancora avuto un'opera cinematografica a
lui dedicata. Malcolm X era stato omaggiato da Spike Lee
con il controverso e discusso film del 1992, mentre il pastore di
Atlanta, autentica icona della non violenza ha in pratica dovuto
attendere fino al 2014, quando, sull'onda e nel segno dell'America
Obamiana, la regista Ava DuVernay ha diretto e proposto al
pubblico il suo “Selma – La Strada per la Libertà”.
I fatti sono
quelli legati alla nota marcia, quando nel 1965 un gruppo di
coraggiosi manifestanti, guidati appunto da Martin Luther King Jr.,
per tre volte tentò di portare a termine una marcia pacifica in
Alabama, da Selma a Montgomery (capitale dello Stato), con
l'obiettivo di rendere veramente attivo il diritto umano al voto
per i negri, come ancora allora venivano indicati. Infatti
nonostante sulla carta il diritto al voto fosse garantito dalla
legge, la realtà, specie negli Stati del sud dell'Unione, era ben
diversa, come ci viene drammaticamente mostrato nel film. Gli scontri
scioccanti e la trionfante marcia finale portarono infine il
Presidente Lyndon B. Johnson a firmare, il 6 agosto di quell'anno, lo
storico Voting Rights Act.
Scongiurato
con intelligenza il rischio di un'opera meramente
agiografica, “Selma – La Strada per la Libertà”, si fa
vedere ed apprezzare, oltre che per la ricostruzione di un clima
politico-sociale, della cronaca di quei giorni e degli avvenimenti in
sé, anche per la scelta di presentare il dottor King come un uomo,
con le sue debolezze, i suoi timori ed incertezze, alla pari con le
sue straordinarie qualità di oratore, guida di un movimento e nel
ruolo di pastore protestante.
Allo stesso
tempo, con onestà storica e narrativa, il movimento da lui
condotto non viene mostrato come monolitico e omogeneo, bensì ne
vengono mostrate le diverse anime, i vari volti che insieme a King
hanno reso possibile la conquista e l'affermarsi di diritti civili,
ai nostri occhi basilari ed imprescindibili per una democrazia
veramente degna di tale nome, ma negli Stati Uniti degli anni 60
ancora tutti da conquistare e difendere, specie per le minoranze come
gli afroamericani, termine che noi, ora, utilizziamo. Un film forse
non propriamente collettivo, comunque non un “one man show”,
che forse anche per questo risulta poco coinvolgente a livello
emotivo, con una recitazione composta e corretta che limita i vari
bravi e apprezzabili attori e li sacrifica in nome di uno stile
registico e compositivo che punta alla sobria ricostruzione ed alla
celebrazione di un periodo, autocelebrandosi appunto in quanto creato
e proposto quasi interamente da neri.
Diversi i
momenti melodrammatici, così come varie sono le scene
“opportunamente furbe”, che vanno incontro allo spettatore per
arruffianarsene il consenso, ma la regista DuVernay
qua
e là dimostra
di saperci fare, in particolare nella ricostruzione dei fatti legati,
emblematicamente, al ponte che conduce a Selma, teatro dei pestaggi
più duri perpetrati dalle forze dell'ordine a danno dei
manifestanti, massacrati senza ritegno.
Mi permetto
di esprimere un nota di disappunto per la scelta, verso la
conclusione del film, di presentare efficaci e coinvolgenti scene di
repertorio, poiché a quel punto, fatalmente, data la già citata
scelta registica e di recitazione, la realtà surclassa la
ricostruzione e l'opera perde qualche punto in materia puramente
cinematografica.
Un film
obamiano, che forse risulterà maggiormente godibile (utile?)
negli anni dell'America di Donald Trump, del revanscismo e
dell'oltranzismo razzista di una parte non secondaria dei suoi
sostenitori ed elettori.
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giovedì 30 novembre 2017
Neve Nera (Martin Hodara - 2017)
Intrigato e
stimolato dalla presenza nel cast di Ricardo Darín,
ammirato ed elogiato per la sua interpretazione in “Il Segreto dei suoi Occhi”,
mi sono avvicinato alla visione di “Neve
Nera”, per la regia
di Martin Hodara.
Purtroppo
ho dovuto prendere atto che l'attore argentino non è propriamente il
protagonista del film, cedendo molto, forse troppo spazio ad altri
due personaggi, che di fatto sono i veri personaggi centrali,
quantomeno per il numero di inquadrature e battute a loro assegnate.
Per
amor di sintesi e semplicità di seguito presento ciò che ritengo
essere gli elementi positivi e quelli meno positivi, se non
addirittura negativi, del film.
Positivi:
quasi
tutta la prima parte del film sembra scritta apposta per stimolare lo
spettatore e coinvolgerlo in una vicenda non del tutto originale ma
comunque intrigante, anche grazie ad una ottima e nitida fotografia
che presenta il contesto naturale e socio-familiare con maestria e
ammirabile efficacia; i flashback si alternano ordinatamente e con
buona scansione, aiutando chi guarda a ricomporre il puzzle degli
avvenimenti e a seguire il percorso,di vita ed emozionale, passato ed
in evoluzione dei caratteri; i silenzi più dei dialoghi raccontano e
coinvolgono.
Meno
Positivi:
la seconda parte del film sembra meno efficace, con una scrittura ed
una sceneggiatura un po' troppo semplice, quasi scolastica, offrendo
la sensazione che si sia voluto “non osare” e rimanere sul
“sicuro”, quasi un rassicurante “già visto” pur con maestria
tecnica (piano
sequenza efficace, buon uso del campo controcampo);
il personaggio femminile centrale risulta a suo modo invadente e
petulante, esagerando la sua pur, a livello di sceneggiatura,
indovinata funzione, ed il fatto che l'attrice che lo interpreta sia
nettamente la peggiore del cast non aiuta; soluzioni narrative e
risvolti psicologici/psicanalitici troppo semplicistici e mal
posizionati.
Rimane
il fatto che un film solo in parte di genere avrebbe potuto offrire
di più e di meglio. Personalmente ritengo che sia stato poco e non
completamente utilizzato il contributo del già citato Ricardo Darín,
anche se è comunque un piacere rivederlo, sebbene sia anche vero che
fare un film puntando sopratutto sulla qualità degli attori e una
buona, anche ottima tecnica, spesso non basta.
Il
nucleo
da tragedia greca
c'è e avrebbe potuto rendere possibile un grande film, con almeno
tre belle scene che da sole meriterebbero la visione, la Natura
contribuisce alla grande alla scenografia, con montagne innevate,
foschie che hanno il fascino del misterioso, nuvole come funeste
messaggere, tempeste di neve e quel senso di selvaggia solitudine che
ha sempre una certa presa sul pubblico, ma
l'intreccio noir alla fine risulta artificioso e si rimane solo
parzialmente soddisfatti.
A
ben vedere avrebbe potuto essere un film sul silenzio, sui silenzi,
su bugie che si raccontano e ci si racconta per riuscire a vivere,
poteva essere un dramma familiare con terzo elemento aggiunto, una
fotografia di interni fisico-emotivi con il contributo degli spazi
aperti, una sottile e drammatica indagine sul male, invece si rimane
a qualche passo da tutto questo, privilegiando la forma (ancorché
non completamente perfetta)
rispetto alla sostanza. Ma lo si capisce solo a visione terminata,
per cui tutto sommato vale la pena.
Segnati
dalla tragica morte del fratello minore durante una battuta di
caccia, Marcos (Leonardo Sbaraglia), Salvador (Ricardo
Darín)
e Sabrina (Dolores Fonzi) da anni hanno preso le distanze l’uno
dall’altro. Il primo si è rifatto una vita in Europa e aspetta un
bambino dalla moglie Laura (Laia Costa), il secondo vive in quasi
totale isolamento nella casa di famiglia sperduta nelle fredde
foreste della Patagonia, mentre Sabrina è rinchiusa in un ospedale
psichiatrico a causa della shock subito. Le loro storie sono
destinate a intrecciarsi di nuovo alla morte del padre, quando Marcos
tornerà nella terra natia per affrontare il problema dell’eredità
paterna.
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