Qualcuno dei pochi lettori di questo blog ricorda l'anime “L'incantevole Creamy”?
Quello che per la prima volta in Italia andò in onda nel 1985.
Quello che raccontava della piccola Yu Morisawa, capace di trasformarsi nell’affascinante cantante Creamy Mami, grazie all’aiuto di una bacchetta magica, dono di alieni giunti nella sua città a bordo di un'arca spaziale. Yu che era sempre in compagnia di un paio di gatti, alieni anche loro, Posi e Nega.
A me piaceva moltissimo e l'ho seguito per tutti i 50 episodi, poi replicati negli anni successivi su alcune reti private, proprietà di un losco individuo che in seguito per evitare di finire in galera si buttò in politica.
Alla madre dei miei figli, invece, non piaceva. Anzi, come recentemente mi ha ripetuto, lo detestava. La motivazione ha alla base la reazione della stragrande maggioranza delle bambine, così come dei bambini, alla visione del cartone animato. Tutti stravedevano per Creamy, bella, brava e famosa, mentre sottovalutavano Yu. Così, secondo lei (e a mio avviso giustamente), a causa di queste bambine e bambini e di alcuni distratti genitori, si diffondeva l'idea che per essere apprezzati e riuscire così ad avere un “posto” nella società, ci si dovesse tradire, travestire, farsi passare per qualcun'altra, diversa ed in linea con stereotipi e immagini dominanti.
Effettivamente l'interpretazione principale e la reazione di gran parte delle giovani spettatrici e dei giovani spettatori, avallano questa posizione.
In questa sede suggerisco, invece, un diverso punto di vista, che considero anche maggiormente vicino, per quanto un po' più difficile da comprendere in giovane età, a quanto si vedeva nell'anime.
La vicenda è giocata sul tema del “doppio”, con conseguenti situazioni comiche che si vengono a creare, ma “L'incantevole Creamy” è anche un’opera che propone una ulteriore tematica. Ovvero quella della presa di coscienza di sé. Yu è una bambina sostanzialmente insicura, in linea con l'età, che da un giorno all'altro si trova ad indossare i panni di una idol ammirata, di successo e famosa. Questo le permette di vivere una doppia vita ed allo stesso tempo di dover fare i conti con la propria esistenza.
Yu riesce ad utilizzare, quindi, il breve periodo magico concessole (un anno) per provare a trovare la propria strada. L'efficace percorso narrativo vede Yu accettare, con il tempo, se stessa e abbandonare l’artificiosità di un personaggio come quello di Creamy. È un tema per nulla superficiale, che forse necessitava l'aiuto di un adulto con un po' di coscienza e di capacità interpretative ed esplicative. Non mi meraviglia quindi che il giovane pubblico di allora si fermasse prima, all'interpretazione più facile. Motivo per cui chi mi sta accanto reagiva e tuttora reagisce con rigidità e permalosità al solo sentire nominare Creamy.
A parte l'eco del Manzoni e dei suoi venticinque lettori (falsa modestia, come già avvertiva Eco: 25.000 ne vuole, di lettori) mi trovo in accordo sulla valutazione positiva del cartone animato. Sarà che Creamy è una maschera, e come tale l'ho sempre recepita, e il percorso di conoscenza e fiducia in se stessa di Yu mi rasserenò molto. Posi e Nega sono come due daimon che aiutano a trovare la strada in questo percorso. Alla fine, poi, Toshio preferisce lei. Per me, come ragazzina, il messaggio non era: diventa una star e sarai ammirata, ma piuttosto: nella tua autenticità potrai essere amata da chi davvero conta.
RispondiEliminaPoi il food-truck delle crepes negli anni Ottanta, chi se lo scorda! 😆
Faccio parte dei pochi (mila) lettori di questo blog, e seppure appartenente ad una generazione poco più recente, mi sono anch'io interessato a "L'incantevole Creamy". Ammetto sia di non aver visto tutte le 50 puntate, sia di aver recuperato il restante grazie a televisioni private e loschi individui. Devo però fare i complimenti ad Adribrando, alla madre dei suoi figli, e non per ultima a Marinella per il risvolto di questa discussione.
RispondiEliminaEffettivamente valutando tutte le conclusioni non c'è che dire se non che quella di Creamy è una serie del tutto riuscita. Il motivo per cui ora siamo qui a scambiare opinioni è proprio il frutto della caparbietà di un autore che magari ha voluto proprio che da bambini ci godessimo con spensieratezza l'avventura fantastica della ragazza umile che trova il modo per ritagliare il proprio spazio nella società. Poi noi spettatori crescendo abbiamo messo da parte la realtà dei cartoni così come abbiamo abbandonato il desiderio di sfondare e diventare personaggi. Allora ad un certo punto ci siamo chiesti: "Ma non è che quel cartone voleva farmi diventare Creamy, prima per spronarmi a superare le mie incertezze, e ora per mostrarmi da un'altra prospettiva chi sono veramente? Ma in fin dei conti le persone a cui sono emotivamente legato, non sono proprio quelle che apprezzano la mia autenticità (come dice Marinella) che non la mia parte più costruita poco convincente ed effimera?" ok, allora "aspetta che adesso me lo riguardo e magari trovo una diversa chiave di lettura". Ed eccomi qui a 30 anni a parlare ancora di Creamy.
Con ciò valuto "L'incantevole Creamy" un vero e proprio percorso iniziatico, cosi da rischiare di essere incompreso dagli spettatori più piccini. Ma è anche giusto dire che le lezioni più importanti ci appaiono tali prendendole più di una volta in considerazione. E come osserva la compagna dell'Adribrando, a volte per accedervi è necessario rischiare.
In ultima analisi l'autore è riuscito a fare in modo che Creamy sia un cartone rivolto a tutti, ma non per tutti.