lunedì 11 marzo 2013

Film di Guerra. 3 di 4



Terzo appuntamento con i film di guerra che ho scelto!
Si arriva al Vietnam…

GUERRA DEL VIETNAM

Una ferita rimasta aperta per anni nella cuore della cultura e del patriottismo statunitense. La disfatta in sud-est asiatico ha rappresentato per anni l’occasione di portare al cinema l’assurdità di tale conflitto e della guerra in generale, momento di annientamento di qualsiasi umanità. I film sul Vietnam sono di due tipi: quelli prettamente bellici, con azioni di guerra in mezzo all’inospitale giungla, e quelli più di denuncia che oltre alla battaglia, o anche tralasciandola, mostrano il ritorno dei soldati e il lascito della guerra. Dopo il Vietnam cambia, infatti, la visione della guerra sul grande schermo, luogo non più adibito tanto alla rappresentazione realista dei combattimenti, ma quanto alla narrazione delle vicende umane e delle reazioni dei protagonisti. Io ho scelto quest’ultima via, ed ulteriori elementi di mio gusto, con quello che di seguito propongo.

Urla del silenzio (1984) di Roland Joffé.
Cruda e toccante rievocazione dei giorni che vissero le popolazioni della Cambogia dopo l'evacuazione degli statunitensi del 1975. Film eccezionale per il coraggio dei temi trattati con intelligenza e sensibilità, la maestria tecnica e recitativa che non indulgono su sentimentalismi ma espongono lucidamente la crudeltà e gli opportunismi di quegli anni.

Apocalypse Now (1979) di Francis Ford Coppola.
Cosa si può aggiungere a quanto già scritto e detto, a proposito di una delle opere più imponenti che il cinema abbia mai prodotto? Da tutti i punti di vista un capolavoro, inciso nell’immaginario collettivo (musiche, immagini, riprese, citazioni) e che viene tuttora preso come metro di giudizio per il genere bellico. Preziosa, anche se notevolmente più lunga, la visione della versione Redux.


Il cacciatore (1978) di Michael Cimino.
Un film in tre parti, prima/durante e dopo la guerra e le conseguenze su chi è partito ed è tornato a casa, su chi non è tornato e su chi è rimasto ad aspettare. Non si racconta la guerra, esperienza incomprensibile per chi non l’ha vissuta e incomunicabile per chi ha combattuto, ma ci viene proposto il ritratto di una sconfitta collettiva, e al tempo stesso la rappresentazione non ideologica del vitalismo di un popolo e di una cultura, quella statunitense della provincia composta da immigrati di seconda generazione. Un film che parlava all’opinione pubblica interna e che trasmette ancora un messaggio forte e diretto.

Full Metal Jacket (1987) di Stanley Kubrick.
Divisa in due parti (addestramento e fronte), l’opera di Kubrick va al di là del Vietnam, presentato in forma nettamente diversa dall’iconografia classica (città invece della giungla), per prendere a bersaglio l'atrocità del secolo, l’aspetto sporco della Storia. Prosa asciutta, quasi sciatta, di una secchezza fertile, tagliente umor nero sulla violenza dell'istituzione militare e sulla disumanizzazione di chi ne viene a contatto.

Rambo (1982) di Ted Kotcheff.
Dramma del ritorno, dell’impossibilità di una vita normale. La guerra è evocata, ricordata attraverso il dolore e l’incredibile vicenda di un reduce. Un film d’azione che non è solo questo, un uomo solo contro tutti che, suo malgrado, si fa portatore di un messaggio di denuncia contro l’ostilità ed i pregiudizi di chi non capisce le ferite intime e psicologiche di chi ha vissuto l’orrore, alfiere di un chiaro senso dell’onore e della lealtà. Probabilmente il suo iniziale successo è dovuto ad altro, ma a distanza di tempo rimane la sensazione di un lavoro che propone significati più profondi ed importanti.
Martin Sheen in Apocalypse Now
 Fra tre giorni la quarta ed ultima parte! Non perdetela!

Leggi anche le altre parti:
1,
2,
4

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