Vedere
un film, magari al cinema, perché si è letto il libro da
cui è tratto o che comunque lo ha ispirato. Oppure acquistare un romanzo dopo averne visto la
trasposizione cinematografica, oppure ancora, caso mi dicono meno frequente,
leggere il libro (o i libri) su cui si basa una serie televisiva di successo. A molti accade questo, io ovviamente
rientro nella ipotetica categoria che se ne può individuare!
Può
succedere di rimanere delusi dal film, annoiati dal libro, farsi conquistare
dall’uno e/o dall’altro, fare paragoni tra i personaggi “di carta” e quelli
“veri”, stupirsi per la lentezza di una scrittura
o rimanere infastiditi dalla velocità con cui il regista presenta la vicenda, rende banali o addirittura salta
intere pagine su cui noi ci siamo soffermati e che ci hanno emozionato o,
magari, tenuto in tensione.
Credo
che molto spesso quello che avviene, per conto nostro oppure in condivisione
con amici, colleghi e familiari, si basi su un potenziale equivoco di fondo. Sovente riteniamo, secondo la mia visione a
torto, che sia necessario “rispettare” la sacralità di un’opera letteraria, per
così dire “a prescindere”, quasi fosse intoccabile ed immodificabile. Perciò le
modifiche che un regista od uno sceneggiatore legittimamente fanno,
giacché è il loro mestiere, ci appaiono imperdonabili tradimenti dell’unica e
vera originale opera, termine assoluto di paragone di ogni sforzo di adattamento,
registico od interpretativo.
Non
so esattamente da dove derivi tale atteggiamento, ma noto che anche di fronte a
film molto ben riusciti, diretti con buone capacità e sceneggiati con ottimi
risultati, si sente pronunciare frasi come “ma
il libro è un’altra cosa!”, “il libro è più bello”, “ma hai letto il libro? non
c’è paragone” e così via. Temo ci sia ancora uno zoccolo duro di
atteggiamento radical chic (Tom Wolfe docet), per cui fa più “figo”
dire di preferire il libro al film, sostenere che l’opera letteraria è
superiore a quella cinematografica, quantomeno perché si ritiene, non del tutto
a ragione, che leggere sia maggiormente qualificante che andare al cinema o
vedere film in televisione su canali liberi (caso diverso il videonoleggio o le
visioni pay per view, poiché assumono altra veste, tipiche soluzioni giudicate
più di prestigio).
A
ciò si potrebbe aggiungere che non si è sicuri che chi dice di aver letto il
libro da cui è tratto “La solitudine dei
numeri primi” lo abbia effettivamente letto, tantomeno abbiamo la certezza
che il nostro ipotetico interlocutore abbia una diretta ed autentica conoscenza
de “I Miserabili” o di “Anna Karenina”, dei quali per farsi
un’idea, anche solo superficiale e sufficiente per sostenere una breve
conversazione dietro uno spritz od un campari soda, basta farsi un giro su Wikipedia (sempre lodata!).
Altro
elemento a mio avviso degno di riflessione è il fatto che alcuni personaggi, i
quali ahimè ogni tanto incontravo e frequentavo prima che la paternità mi
costringesse a forzata ed imperitura clausura, sembra riescano a leggere e
vedere tutto quello che viene prodotto e presentato nel poliedrico e variegato mondo della Letteratura e del Cinema, o
almeno quello che viene ritenuto degno di entrare a far parte della moda e
degli usi e costumi del momento. Ma dove lo trovano il tempo, impegnati come
sono a bere aperitivi, andare in palestra, consumare pranzi e cene “di lavoro”,
frequentare club e discoteche, ritornare in palestra, farsi una lampada, andare
al centro estetico, passare dal parrucchiere, correre lungo il parco, scaricare
applicazioni per iPhone, iPod, iPad, iChitammuerte? O dicono cazzate a
ripetizione o si procurano utili “bignami” di letteratura e cinema, cibandosi e
riempiendo l’ambiente di luoghi comuni,
qualunquismi da accatto e “riflessioni”
da cappuccino alla macchinetta. O di fatto fanno finta di lavorare e passano
intere giornate a guardare siti e film sul computer dell’ufficio?
Ma
sto un po’ divagando e torno al tema centrale: ritengo che romanzi/libri e film siano opere da tenersi distinte, quantomeno
per poterne godere in modo autonomo e libero da condizionamenti ed influenze.
Personalmente ho visto autentici capolavori
tratti da romanzi appena carini, quando non addirittura mediocri, viceversa
alcuni registi hanno prodotto schifezze da opere
letterarie veramente notevoli, siano esse classici, opere moderne o
capolavori riconosciuti.
Stanley Kubrick, con assoluta libertà, grande intelligenza e sublime
tecnica, ci ha proposto buoni film
da grandi romanzi (Eyes Wide
Shut da Doppio sogno
di Schnitzler), grandi film da buoni romanzi (Arancia meccanica dall’omonimo di Anthony Burgess), ottimi film da romanzi passabili (Barry
Lindon da Le memorie di Barry Lyndon
di William Makepeace Thackeray), film straordinari da libri trascurabili (Shining dall’omonimo libro di Stephen King).
Ci
sono anche registi che con il loro lavoro hanno fatto scoprire o riscoprire
autori poco letti ed opere trascurate, cosa senza dubbio meritoria. Ricordo,
giusto per fare alcuni esempi, “Il
pranzo di Babette”, sceneggiato e diretto da Gabriel Axel, tratto dall'omonimo racconto di Karen Blixen (con meritato Oscar al miglior film straniero), oppure
“Qualcuno volò sul nido del cuculo”,
di Miloš Forman che mi ha fatto
leggere ed apprezzare il romanzo omonimo di
Ken Kesey. Oppure c’è la possibilità di
ispirarsi al romanzo di Joseph
Conrad “Cuore Di Tenebra“, spostando l’azione dal Congo di fine Ottocento
agli anni Sessanta in Vietnam, come ha fatto Francis Ford Coppola con quel grandissimo capolavoro di “Apocalypse Now”.
Da
libri apprezzabili e di successo sono stati tratti film francamente evitabili,
girati probabilmente per sfruttare l’onda emotiva e positiva generata dalle
opere letterarie, come ad esempio “Il
Cacciatore di aquiloni” o “Il Senso
di Smilla per la neve”. Altri hanno imboccato, con pessimi risultati, la
via del remake di ottimi film tratti da romanzi, ne sa qualcosa Adrian Lyne con il suo “Lolita”, dove un non del tutto incolpevole
Jeremy Irons recita nel ruolo che fu
di un ammirevole James Mason, oppure
ricordo il mediocre “Sabrina” di Sydney Pollack, mal interpretato da Harrison Ford, Julia Ormond e Greg
Kinnear, remake dell'omonimo film del 1954 di Billy Wilder, con Audrey
Hepburn, Humphrey Bogart e William
Holden, basato sull’opera teatrale di
Samuel A.
Taylor.
Ci
sono poi i casi di autori letteralmente saccheggiati, che possono vantare di
aver ispirato un numero elevato di pellicole. Un nome? Elmore Leonard! Praticamente un libro su tre di quelli che ha
scritto ha dato origine ad un film. Chiedete a Soderbergh
(Out of Sight), a Tarantino (Jackie Brown), oppure a Barry
Sonnenfeld (Get Shorty) o a F. Gary Gray (Be Cool), solo per i più recenti. In alcuni ha contribuito alla sceneggiatura.
Naturalmente,
purtroppo, accade anche che da romanzi mediocri vengano prodotti film
addirittura peggiori. Se vi volete male leggete e poi vedete “Treno di Panna”, scritto e diretto da Andrea De Carlo, oppure la recentissima Twilight Saga.
Tutto
questo per sostenere che se tenessimo distinti, consapevolmente e con adeguato
rispetto per noi stessi e gli autori, film
e libri, probabilmente potremmo
godere di più di visioni e letture. Le quali, guarda caso, sono
distinte, proprio come le stimolazioni
che originano, ovvero un film, generalmente, va guardato ed ascoltato, mentre un
romanzo, di solito, va letto, con buona pace di sinestesie varie e trascurando chi vede i suoni e ascolta i colori
(magari con il sostegno di sostanze e prodotti lisergici o similari). Viene da
sé quindi che la resa è giocoforza diversa, e gli autori molto spesso ne sono
consapevoli, per cui un regista che pretenda di seguire passo a passo un
romanzo rischia di produrre un prodotto quantomeno pesante, se non una immane
boiata, mentre uno scrittore su alcune “pesantezze” potrebbe costruirci le
proprie fortune. Il lettore sia
libero, tanto quanto lo sia lo spettatore,
indipendentemente da ciò che ognuno sia stato prima (lettore o spettatore ovvero).
Rendere
in azione, far vedere ed ascoltare, un dialogo
od una situazione richiede un lavoro
intenso, per tanti motivi, non ultimo le diverse esigenze del “consumatore” e
le distinte “situazioni di consumo” di un prodotto. Per cui ritengo non si
debba porre troppo il problema del “tradimento” di un romanzo, che se diviene
oggetto di una sceneggiatura subirà inevitabilmente una netta modifica e verrà
sottoposto ad un processo che potrebbe anche nettamente trasformarlo. A volte
anche con ottimi risultati! Ci sono anche casi di scrittori che divengono sceneggiatori
delle proprie opere per il Cinema.
Concludo
ricordando una personale esperienza, che risale al lungo e travagliato periodo
delle scuole superiori. In quegli anni la RAI
trasmise “I Promessi Sposi”,
sceneggiato televisivo con la regia di Salvatore
Nocita. Rammento che ci furono polemiche varie ed articolate riguardo alla
resa delle pagine manzoniane, con alcune accuse di “tradimento” e “sconsacrazione”
dell’opera letteraria. Ebbene regista
e sceneggiatori si presero diverse libertà, alcune un po’ al limite, per
così dire, ma lo scopo di rendere accessibile ad un vasto pubblico il
capolavoro di Manzoni era raggiunto,
anche grazie a qualche soluzione estrosa che andava incontro ai gusti ed alle
abitudini degli spettatori televisivi, che magari avevano una conoscenza
giocoforza mediata e forse poco approfondita dell’opera.
Per
cui i Bravi ritratti come fossero cow boys ed il don Abbondio di Sordi un
po’ macchiettistico rientravano, a mio avviso, in una modalità di resa che
raggiungesse un pubblico vasto. Gli eventuali punti deboli erano, in realtà, la mediocre recitazione dei due
attori che impersonavano gli innamorati divisi, qualche personaggio fuori ruolo
e la sceneggiatura in alcuni passaggi troppo ingessata, quando non stucchevole
e pesante. Insomma un film, o in quest’ultimo caso uno sceneggiato (ora però si preferisce il termine “fiction” con
evidente scadimento non solo artistico ma anche linguistico), può essere brutto
indipendentemente dalla fedeltà al testo originale, così come da un libro
“dimenticabile” o anonimo può nascere un film più che dignitoso, godibile o
addirittura un capolavoro.
Vedi anche: