Durango si presenta come uno spaghetti-western a
fumetti, ma poi si rivela una serie che va oltre questa riduttiva definizione
per acquisire maggiore spazio e caratterizzazione.
I protagonisti e le ambientazioni si rifanno in modo
evidente al genere, tant’è vero che l’incipit è pressoché quello de “Il
grande silenzio” di Sergio Corbucci, film del 1968, dove a
parlare sono i volti, la neve e le pistole. Inoltre il debito nei
confronti di Sergio Leone, dei suoi “eroi”, ma anche di Cinecittà anni
60 e 70 è visibile; intervengono poi le matite di Yves Swolfs (autore che
adoro) a donare dignità e valore particolare ad ogni tavola, tanto
suggestiva, dettagliata e coinvolgente da richiedere di essere vista e rivista
per poterla apprezzare al meglio.
La serie negli ultimi anni è stata riproposta per
intero, inizialmente dalla GP Publishing (7 albi) e conclusa dalla Editoriale
Cosmo (ottavo ed ultimo albo).
Durango Lang è un killer solitario soprannominato “il
pacificatore”. Nella prima avventura viene violentemente menomato alla mano
destra e per questo motivo inizia a utilizzare, improvvisandosi mancino,
un’automatica Mauser C96, imponendo maschia giustizia per tutti gli albi della
serie.
Violenza, azione, facce di cuoio, polvere, passione, odio, amore, sangue, onore… cose da veri uomini!
Le ultime due storie sono state scritte da Yves Swolfs ma
disegnate da Thierry Girod. L’arte di Swolfs, con Girod non da
meno, sta soprattutto nei disegni, poiché la sceneggiatura è tutto
sommato abbastanza lineare e con pochi balzi, divenendo all’interno di una
serie genuinamente popolare un punto di forza. Il tratto è mirabile, in intere
tavole si rasenta la perfezione e l’occhio ne rimane estasiato. Il protagonista
ed i vari comprimari sono resi e caratterizzati in modo mirabile, divengono
tanto riconoscibili da accompagnare in modo “familiare” lo svolgersi della
storia e delle storie raccontate.
Nessun commento:
Posta un commento