Quanti
abbiano avuto la pazienza, il tempo, una corretta predisposizione
alla lettura ed all'interpretazione, nonché una certa dose di
“onestà” critico-storiografica, sono consapevoli che Karl
Marx e Friedrich Engels abbiano affermato, nei loro
scritti, la necessità che l'Economia fosse predominante
rispetto alla Politica.
Fu una loro
geniale intuizione, probabilmente la maggiore scoperta da loro
operata. Il primato dell'Economia rispetto alla Politica.
Messa così
sembra un gran favore, un inconsapevole assist ai capitalisti, ai
padroni, alle multinazionali.
Non è
proprio così, Economia e Politica avrebbero dovuto dialogare (il
materialismo dialettico non è solo questo ovviamente), ma vi
prego di farmi scrivere ancora qualcosa su Marx, Engels e quelle che
si sono dichiarate incarnazioni politiche e pratiche del loro
pensiero, per poi tornare al punto di cui sopra.
Ebbene,
partendo da Lenin (immagino non ci sia bisogno di
presentarlo), si è assistito e si è vissuta l'autonomizzazione
della Politica rispetto all'Economia, operata essenzialmente dai
comunisti/socialisti, forse per troppa fretta, forse per una non del
tutto corretta interpretazione degli scritti marxiani. La Politica
considerata autonoma e superiore all'Economia. Pertanto i
comunisti/socialisti, definitesi marxisti, rinunciarono a servirsi di
quella che probabilmente fu la più geniale scoperta di Marx.
Quello
che nei loro scritti il buon Marx ed il suo sodale Engels
prefiguravano, sognavano, era un Eden laico, punto di arrivo del
massimo livello di sviluppo economico possibile del capitalismo.
Il prodotto di una società ricca, economicamente progredita e
stabile, che nel comunismo avrebbe dovuto trovare il mezzo per
diventarlo ancora di più, dove il benessere e l'agiatezza sarebbero
stati a portata di tutti. Una società egualitaria, giusta, ma anche
opulenta, dato che Marx mai auspicò l'eguaglianza nella povertà e
nell'indigenza, tanto meno teorizzava una società repressiva,
violenta o liberticida. Ruolo centrale aveva ed avrebbe dovuto avere
l'Economia, in un contesto più giusto ed equo. Ovvero “da
ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo i propri
bisogni”.
Come si
arrivò, invece, nella storia del '900, a società e stati comunisti
ove i concetti vennero ribaltati e traditi, è appassionante materia,
almeno, ma non solo, storiografica.
Dalla
Rivoluzione d'Ottobre con il
movimento comunista, nello specifico seguendo il pensiero
marxista-leninista, l'Economia fu messa in secondo piano rispetto
alla Politica. Si potrebbe dire che in Lenin
prevalse l'ambizione di essere un costruttore di Storia, giungendo
così a forzare i tempi di un percorso invece lungo, con un parto
prematuro, quindi la costruzione del Socialismo in un Paese
economicamente e socialmente arretrato, come lo era la Russia
zarista. Medesimo errore fu poi commesso da altri, ragione per
cui fu legittimo e lo è tuttora, considerare Lenin traditore del
pensiero marxiano ed engelsiano, in quanto affidò alla Politica
anche i compiti che sarebbero toccati all'Economia. Una sorta di
comunismo “asiatico”, che tragicamente aprì la strada a Stalin
ed ai suoi epigoni.
Marx ed
Engels mai avrebbero voluto la supremazia della Politica rispetto
all'Economia, ma neanche che quest'ultima fosse totalmente libera e
priva del supporto e dell'opera di verifica da parte della prima.
Come detto la Rivoluzione Russa fu il trionfo della Politica
sull'Economia, tutta la successiva costruzione del comunismo fu
colpevolmente fondata sulla prima che si appropriò dei compiti
specifici della seconda, nella aberrante forma della dittatura. Tale
costruzione andò incontro alla disfatta, con il movimento comunista
mondiale che cercava l'egemonia essenzialmente attraverso la forza,
mentre i paesi capitalistici la ottennero sul terreno dell'economia.
Vi dice qualcosa il “Piano Marshall”? Gli Stati Uniti se
ne servirono per consolidare (alcuni dicono creare) il loro
predominio, operando con maggiore forza e convinzione in Europa,
arrivando a vincere il confronto planetario con l'Unione Sovietica
grazie alla loro superiorità economica, costringendo lo storico
avversario ad abdicare (non sconfiggendolo, sia chiaro).
Insomma riuscivano a produrre maggiore ricchezza, al di là di come e
dove fosse distribuita.
I cari
Marx ed Engels, un secolo prima, avevano già capito il problema. Per
poter rappresentare una fondamentale (definitiva?) tappa nel
cammino dell'umanità sulla strada del progresso, era necessario che
il modello di produzione “comunistico” si rivelasse in grado di
produrre più benessere rispetto a quello capitalistico.
Quindi non
condizioni di vita uguali ma misere, bensì “ricchezza”
collettiva, risultato della fatica dell'uomo e base di ogni progresso
sociale ed economico, grazie alla quale l'uomo stesso sarebbe
divenuto veramente libero.
Ora, per non
farla troppo lunga, tuttora si rischia di dover pagare l'errore,
commesso anche da parte dei partiti comunisti occidentali, che hanno
dimostrato di aver letto e vissuto Marx attraverso l'interpretazione
leninista, pur con qualche opportuno aggiustamento e in virtù delle
vicende storiche vissute. Va da sé che il Piano Marshall era
essenziale per ricostruire un'economia ed un Paese, giacché come
marxianamente se ne rese conto Palmiro Togliatti in Italia,
per risollevare il Paese era necessario evitare la catastrofe di una
bancarotta di Stato, che forse avrebbe portato ad una non proprio
auspicabile rivoluzione, pericolosa da gestire e quasi sicuramente
destinata a fallire e portare ulteriori lutti e sciagure. In Italia
quindi, ma il resto dell'Europa occidentale non se ne differenziò
troppo, opportunamente i partiti marxisti scelsero di spingere per
una politica di lavoro, quindi di creazione di ricchezza, evitando
una strategia di sussidi. Allo stesso tempo, però, a sinistra si è
continuato a credere nella possibilità della Politica di riuscire ad
esercitare ugualmente l'egemonia sull'Economia, lasciata in toto
all'iniziativa capitalistica. Ovvero i partiti e le organizzazioni di
sinistra, un tempo comuniste-socialiste, giacché non giunsero ad
instaurare la nota “dittatura del proletariato” tanto meno
si trovarono ad operare in Stati assolutistici e tirannici, bensì
compiute democrazie rappresentative, riversarono forze, energie e
risorse intellettuali nella sfera politica ed in quello culturale come creazione e diffusione di cultura, lasciando che gli
strumenti della “creazione di ricchezza” rimanessero nella
mani dei capitalisti. Capitalisti che, per definizione, puntano e
pensano solo alla creazione di capitale, prevalentemente per sé
stessi, solo per sé, fregandosene di eventuali regole che non siano
a loro esclusivo e totale vantaggio. Quando il Capitale ha
dialogato con la Politica lo ha fatto per corromperla a proprio
vantaggio, con il Partito Socialista craxiano fulgido esempio di tale
manifestazione.
Esiste un
capitalismo responsabile? Un capitalismo illuminato? No, solo
Adriano Olivetti e chi a lui ha guardato, ha potuto ipotizzare e
realizzare il concetto che il profitto aziendale debba essere
reinvestito a beneficio della comunità. Le multinazionali, il
privato imprenditore ed altri elementi del genere non lo hanno fatto,
non lo fanno e mai lo faranno.
La Sinistra,
la Politica sociale in generale sta sempre più perdendo il
confronto. Avendo creduto nel primato della Politica sull'Economia,
illudendosi che la prima potesse disgiungersi dalla seconda, lasciata
totalmente in mano al Capitale, ha favorito la vittoria di
quest'ultimo. Il Capitalismo, l'economia che esso
incarna, aberrazione stessa del più sano concetto di Economia quale
sistema di interazioni per soddisfare i bisogni individuali e
collettivi, nel rispetto degli elementi che tale sistema vanno a
comporre, è nemico della collettività.
La Politica
ora dovrebbe riguadagnare terreno, nell'ottica di reale
interazione con l'Economia, non per annullarne il primato, poiché in
un sistema globalizzato tale prospettiva è irrealizzabile, ma bensì
per contenerne e indirizzarne le energie e le inevitabili derive.
A livello di
singoli stati ciò è difficile, ma in un'ottica di politica europea
è francamente non solo auspicabile, ma imprescindibile, giacché
Marx stesso ebbe a scrivere che “tutta la
storia dell'industria moderna mostra che il capitale, se non gli
vengono posti dei freni, lavora senza scrupoli e senza misericordia
per precipitare tutta la classe operaia a un livello di profonda
degradazione”.