Oltrepassò i vicoli, vie, incroci. Non aveva mai corso così per la strada, non aveva mai commesso tante infrazioni in una volta sola. Da ogni parte sentiva clacson che strombazzavano, gente che lo spintonava, imprecava e inveiva contro di lui, ma dopo qualche minuto non ci faceva più caso. Un passo dopo l'altro la rabbia sbolliva e lui si sentiva libero fuori da quell'ufficio soffocante e noioso, senza i grattacapi, piccoli e grandi, che gli erano pesati negli ultimi giorni. Libero come una stella che devia dall'orbita e solca il firmamento lasciandosi dietro una scia sfavillante. Poi smise di pensare, di sentire il brusio del mondo che lo circondava. Rimase solo il tonfo dei piedi sul selciato, i battiti del cuore e il respiro ritmato. Benché non fosse un avventuriero per natura - anzi, il contrario - si sentì invadere da una sensazione misteriosa e sconosciuta, dal piacere di una corsa verso l'ignoto. E dentro di lui, come un pallone di gomma ben gonfiato, cominciò a rimbalzare un pensiero gradevole: forse quella corsa non sarebbe mai finita.
(da “Qualcuno con cui correre”, di David Grossman – trad. Alessandra Shomroni)
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