Intrigato e
stimolato dalla presenza nel cast di Ricardo Darín,
ammirato ed elogiato per la sua interpretazione in “Il Segreto dei suoi Occhi”,
mi sono avvicinato alla visione di “Neve
Nera”, per la regia
di Martin Hodara.
Purtroppo
ho dovuto prendere atto che l'attore argentino non è propriamente il
protagonista del film, cedendo molto, forse troppo spazio ad altri
due personaggi, che di fatto sono i veri personaggi centrali,
quantomeno per il numero di inquadrature e battute a loro assegnate.
Per
amor di sintesi e semplicità di seguito presento ciò che ritengo
essere gli elementi positivi e quelli meno positivi, se non
addirittura negativi, del film.
Positivi:
quasi
tutta la prima parte del film sembra scritta apposta per stimolare lo
spettatore e coinvolgerlo in una vicenda non del tutto originale ma
comunque intrigante, anche grazie ad una ottima e nitida fotografia
che presenta il contesto naturale e socio-familiare con maestria e
ammirabile efficacia; i flashback si alternano ordinatamente e con
buona scansione, aiutando chi guarda a ricomporre il puzzle degli
avvenimenti e a seguire il percorso,di vita ed emozionale, passato ed
in evoluzione dei caratteri; i silenzi più dei dialoghi raccontano e
coinvolgono.
Meno
Positivi:
la seconda parte del film sembra meno efficace, con una scrittura ed
una sceneggiatura un po' troppo semplice, quasi scolastica, offrendo
la sensazione che si sia voluto “non osare” e rimanere sul
“sicuro”, quasi un rassicurante “già visto” pur con maestria
tecnica (piano
sequenza efficace, buon uso del campo controcampo);
il personaggio femminile centrale risulta a suo modo invadente e
petulante, esagerando la sua pur, a livello di sceneggiatura,
indovinata funzione, ed il fatto che l'attrice che lo interpreta sia
nettamente la peggiore del cast non aiuta; soluzioni narrative e
risvolti psicologici/psicanalitici troppo semplicistici e mal
posizionati.
Rimane
il fatto che un film solo in parte di genere avrebbe potuto offrire
di più e di meglio. Personalmente ritengo che sia stato poco e non
completamente utilizzato il contributo del già citato Ricardo Darín,
anche se è comunque un piacere rivederlo, sebbene sia anche vero che
fare un film puntando sopratutto sulla qualità degli attori e una
buona, anche ottima tecnica, spesso non basta.
Il
nucleo
da tragedia greca
c'è e avrebbe potuto rendere possibile un grande film, con almeno
tre belle scene che da sole meriterebbero la visione, la Natura
contribuisce alla grande alla scenografia, con montagne innevate,
foschie che hanno il fascino del misterioso, nuvole come funeste
messaggere, tempeste di neve e quel senso di selvaggia solitudine che
ha sempre una certa presa sul pubblico, ma
l'intreccio noir alla fine risulta artificioso e si rimane solo
parzialmente soddisfatti.
A
ben vedere avrebbe potuto essere un film sul silenzio, sui silenzi,
su bugie che si raccontano e ci si racconta per riuscire a vivere,
poteva essere un dramma familiare con terzo elemento aggiunto, una
fotografia di interni fisico-emotivi con il contributo degli spazi
aperti, una sottile e drammatica indagine sul male, invece si rimane
a qualche passo da tutto questo, privilegiando la forma (ancorché
non completamente perfetta)
rispetto alla sostanza. Ma lo si capisce solo a visione terminata,
per cui tutto sommato vale la pena.
Segnati
dalla tragica morte del fratello minore durante una battuta di
caccia, Marcos (Leonardo Sbaraglia), Salvador (Ricardo
Darín)
e Sabrina (Dolores Fonzi) da anni hanno preso le distanze l’uno
dall’altro. Il primo si è rifatto una vita in Europa e aspetta un
bambino dalla moglie Laura (Laia Costa), il secondo vive in quasi
totale isolamento nella casa di famiglia sperduta nelle fredde
foreste della Patagonia, mentre Sabrina è rinchiusa in un ospedale
psichiatrico a causa della shock subito. Le loro storie sono
destinate a intrecciarsi di nuovo alla morte del padre, quando Marcos
tornerà nella terra natia per affrontare il problema dell’eredità
paterna.