giovedì 16 agosto 2018

Da "O Capitano! Mio Capitano!" alla disillusione - L'Attimo che non c'era


L'attore statunitense Ethan Hawke è indubbiamente molto noto per la lunga serie di film e personaggi interpretati, per il suo impegno come regista ed anche come scrittore (Minimum Fax ha pubblicato alcuni suoi libri). Per chi ha circa 40 anni il buon Hawke è stato innanzitutto e forse un po' è ancora, soprattutto, il timido e represso Todd Anderson de “L'Attimo Fuggente”.
Proprio il film di Peter Weir, quello del “Carpe Diem”, di “O Capitano! Mio Capitano”, di Walt Whitman e del fiume Congo che “scava con la testa”.


Era il 1989 quando il film uscì, pochi mesi prima che l'Occidente si convincesse di aver vinto e si illudesse di aver fatto sì che la Libertà prevalesse contro il “Male”. L'Occidente libero e democratico si apprestava a godersi la caduta del Muro (come se ce ne fosse solo uno!) e gli adolescenti di buona parte del mondo, persino in Italia, si entusiasmavano per le vicende di quel gruppo di studenti negli Stati Uniti degli anni 50. Gli USA ancora per qualche tempo si sarebbero sentiti innocenti e dalla parte della ragione e del giusto, prima che si cominciasse ad ucciderne i presidenti e si ponessero le basi per le battaglie sui diritti civili.

Chi frequenta la Welton Academy in quel periodo (solo maschi, ricordate la famosa scena della telefonata da parte di Dio?), per volere dei genitori entra in una istituzione formativa che prevede e perpetua una rigida separazione delle classi, con la pretesa, o la scusa, di preparare la futura classe dirigente. Una istituzione che prende, forma e restituisce uomini destinati a divenire, nel loro intimo essere, “carne da macello”.
Contro questo sembrava stagliarsi la figura del professor John Keating, un Robin Williams che a fatica teneva a bada la sua natura istrionica non sempre centrata ed opportuna nei vari film interpretati.

Ebbene io ed i miei coetanei e compagni di scuola non potemmo non innamorarci di questo film e dei suoi protagonisti. Cosa c'era di più esaltante di un professore che ti fa urlare in aula, giocare a pallone durante l'ora di letteratura declamando versi, ti invita a “sentire” la poesia, ti sprona a goderti i tuoi giorni “succhiando il midollo della vita”, sempre senza “strozzarti con l'osso”? Come si poteva non invidiare gli studenti Todd Anderson, Neil Perry, Knox Overstreet, Charlie “Nuwanda” Dalton, Steven Meeks, Gerard Pitts e detestare il traditore Richard Cameron? Un gruppo tanto fortunato da accogliere gli insegnamenti del professore di lettere Keating e, abbandonati, strappati i testi classici, si ritrova in una grotta per leggere poesie, suonare male il sassofono, fumare sigarette e parlare di sesso, il tutto senza preoccuparsi della morale e del decoro. Si vedeva, si voleva vedere in ciò più che un richiamo, un vero impulso, quasi un ancestrale istinto alla libertà da una repressione sociale ma anche intima, privata, perfino auto-imposta.



Ora, a distanza di quasi 30 anni, mi viene da pensare che prendemmo una grossa cantonata. “L'Attimo Fuggente” ci sembrava un film sulla e per la libertà, e per tanti anni ancora io stesso mi sono illuso che avrei potuto “cogliere l'attimo”, persino con i miei tanti ed enormi limiti. Pensavo che non mi sarei fatto stringere da norme, consuetudini, tradizioni e cliché, sociali, privati ed emotivi. Invece, penso ora, quello era un film sull'illusione. Acutamente e dolorosamente un'opera sull'illusione della libertà. Dopo tre decenni di vita e di esperienze, di film e di libri letti, di studi ed esami, giungo ad affermare che “L'Attimo Fuggente” era un avvertimento, una predizione. Forse qualcuno dei miei amici e amori di allora continua a ritenerlo un invito, una spinta per smuovere gli spettatori, gli adolescenti incerti ed inerti ed indicare una via. Probabilmente può esserlo, ma la via che viene proposta è quella del martirio, tanto tragico e doloroso quanto inevitabile. 

 

I fatti: Neil Perry mette fine ai suoi giorni sparandosi in testa con la pistola del padre, che gli vuole impedire di recitare. Nuwanda viene espulso per aver picchiato il traditore Cameron, che invece riceve un encomio poiché si è più o meno consapevolmente piegato alle volontà e “desiderata” istituzionali. Gli altri sono costretti all'abiura nei confronti dell'amato professore, scelto come unico e solo colpevole della tragedia prima ricordata. Ben poco è servito che le pagine del manuale di letteratura, scritto da un immaginario professore emerito di nome Jonathan Evans Pritchard, siano state strappate via, giacché il tutto si risolve in un gesto puramente estemporaneo, senza vere, auspicabili conseguenze a lungo termine. 

 

Martirio quindi anche del professor Keating, il difensore del pensiero libero, che viene in un attimo rimosso dall’incarico. Avranno anche imparato a pensare con la loro testa, alcuni (pochi) studenti di Welton, ma la Società è più potente. Sempre sarà più potente. Anche i membri della setta dei poeti estinti finiranno dietro una teca di vetro, immortalati in una fotografia polverosa e muta. Anche loro sussurreranno “carpe diem” ai prossimi iscritti alla Welton, più giovani ma che ugualmente saranno inquadrati dietro lavori che non vogliono svolgere e ruoli sociali che gli sono stati calzati addosso da quando sono nati. E anche loro resteranno in realtà inascoltati.

Con durezza ed un po' di rammarico scrivo che il bel film che ci ha fatto sognare di vita, libertà, speranza e amore per noi stessi e gli altri risulta in realtà un film di sconfitta, di tristezza, di uomini morti e di repressione. È un film che dopo aver fieramente sorretto e profuso la speranza, giunge ad annientarla. La speranza che non può esistere in una società che si considera già libera e democratica, e se ne fa vanto in ogni luogo ed in occasione. 
 

Onore. Disciplina. Tradizione. Eccellenza. Queste le quattro parole che connotano la Welton Academy. Queste le quattro parole che si fanno vuote nel momento stesso in cui vengono pronunciate. Onore. Disciplina. Tradizione. Eccellenza. Eppure molti adolescenti di quegli anni, ancora senza social network e telefonino, scrivendo sul diario le frasi del film, i versi di Walt Whitman, nel mio caso anche indossandoli stampati su una maglietta, si sono a loro volta illusi di poter essere padroni della propria vita, liberi di fare ed essere ciò che sentivano dentro di loro, liberi anche di vivere i “vuoti” della propria anima per prenderne consapevolezza, senza fretta o imposizioni. Magari liberi ed in grado, se avessero voluto, di prendere parte a una rivoluzione o a qualcosa di simile, di poter offrire le proprie energie ed il proprio entusiasmo per far migliorare tutti quanti, essere veramente liberi e democratici, di poter essere parte della società in modo paritario, senza venirne schiacciati. 

 

Ma alla fine Todd Anderson sale su quel banco, e con lui la macchina da presa, e con lui tutti gli spettatori, come ultimo commiato. Un ultimo, disperato e velleitario gesto di ribellione che segna la fine della setta dei poeti estinti. Li estingue una volta per tutte. Quel “grazie, ragazzi” è il dolcissimo e perduto saluto di un uomo sconfitto a una generazione che come lui sarà sconfitta, se non accetterà i dogmi, le regole e le imposizioni di chi decide, pone e dispone. Di chi agisce liberandosi e schiacciando i diversi, i non inquadrati, chi denuncia l'assurdità, l'iniquità e l'ingiustizia di uno stile e di una visione.

In un college molto tradizionale nel New England degli anni Cinquanta, capita un professore simpatico e anticonformista, che esorta i ragazzi ad affrontare lo studio e la vita seguendo le proprie idee e non quelle dei nonni. Uno degli studenti, entrato in conflitto con i genitori, si suiciderà. La responsabilità viene rifilata al prof. Lui sarà cacciato, ma i suoi allievi non lo dimenticheranno. (da mymovies.it)

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