Blog su Cinema, Letteratura, Arte, Cultura, Tempo libero, Esperienze. Post su Film, Libri, Mostre, Esperienze di vita, Fumetti, Cartoni Animati e quello che mi piace ed anche che mi piace di meno.
giovedì 31 ottobre 2019
mercoledì 30 ottobre 2019
Rebecca ed un pozzo per trovare marito
Rebecca al pozzo, di Giandomenico Tiepolo - 1751. Parigi, Louvre
Nella Bibbia, più precisamente nel libro della Genesi, si legge che Abramo, dopo la scomparsa della moglie Sara, intendeva dare una sposa al figlio Isacco. Decise di affidare al servo Eliezer il compito di trovare una donna adatta. Giunto nei pressi di un pozzo, il servo incontrò la giovane Rebecca,
che si sarebbe rivelata figlia del fratello di Abramo: la scelta
ricadde dunque su di lei, che avrebbe deciso di seguire Eliezer e
sposare il cugino Isacco.
lunedì 28 ottobre 2019
Citazioni Cinematografiche n.326
Per uno che non doveva far parte di questo mondo, devo confessare che
all'improvviso mi costa lasciarlo. Però dicono che ogni atomo del nostro
corpo una volta apparteneva a una stella... forse non sto partendo,
forse sto tornando a casa.
(Vincent Freeman/Ethan Hawke in "Gattaca - La porta dell'universo", di Andrew Niccol - 1997)
sabato 26 ottobre 2019
Her - Lei (2013)
L'attore
del momento è Joaquin Phoenix, in virtù della sua prova in “Joker”
da qualche giorno nelle sale cinematografiche.
Incuriosito
dalle lodi che ha ricevuto, ho recuperato la visione di un film di
qualche anno fa in cui è protagonista. Si tratta di “Her- Lei”,
di Spike Jonze, del 2013.
Ebbene,
lo dico senza mezzi termini, il film non mi è affatto piaciuto, anzi
trovo che sia noioso, superfluo e fin troppo scontato, al limite del
moralismo da chiacchiere fra mogli annoiate di ricchi professionisti.
Mi
accingo ad argomentare il mio lapidario giudizio. Le immagini sono
tutte uno sparare colori pastello che dovrebbero comunicare lo stato
d'animo del protagonista, ma che si risolvono poi in una sequenza di
“smarmellamenti-apri tutto” che invece di donare spessore e
profondità finiscono per irritare lo spettatore che sono. Tutta
quella diffusione di bagliore e luce probabilmente dovrebbe sopperire
alla estenuante assenza di narrazione e accattivarsi le simpatie di
chi guarda il film, ma a mio parere basta essere un minimo formati
alla visione cinematografica che l'espediente si svela per ciò che
è, ovvero un trucco avvilente da soap opera.
Phoenix,
impiegato in una ditta che scrive lettere per conto terzi, acquista
un sistema operativo di ultimissima generazione e finisce per
innamorarsi di Lei, che ha una voce che nella versione italiana è
quella di Micaela Ramazzotti. Voce che dopo circa mezz'ora diviene
irritante e fastidiosa, non solo per il suono ma anche per ciò che
dice e come lo dice. Frasi che neanche nei film di Sorrentino
troverebbero spazio, che sembrano scritte solo per poi essere diffuse
tramite i social network, magari accompagnate da insulse e vomitevoli
immagini di luoghi naturali, animali placidamente addormentati o
coppie abbracciate su prati o spiagge, al tramonto o all'alba secondo
i gusti del momento.
Proprio
un film da coppie, o da chi vorrebbe presto farne parte, sembra
“Her”. Adatto a farsi le coccole sul divano, a corteggiare
qualcuno che in fondo si sa già che ci sta e magari, se sei un uomo,
a mostrarti tanto “sensibile” e “carino” da farti sposare, o
al limite da “combinarci qualcosa”. Un pippone da due ore per
fighetti che si crogiolano davanti ad immagini patinate, abiti
vintage, una colonna sonora scandalosamente ammiccante, dialoghi sul
niente e sul nulla spinto, morale scontata ma rassicurante,
espressioni piacione sul volto dell'incomprensibilmente lodato
Joaquin e così via. Un film spacciato per fantascienza! Si
potrebbe dire tutto sommato innocuo e passeggero, ma Jonze ci ha
vinto un Oscar® per la
sceneggiatura. Sceneggiatura molto limitata e stupefacentemente esile
se non assente. Vai con la musica per coprire i vuoti, vai con la
luce sparata per limitare la visione del niente, procedi ad una
panoramica sulla città ogni cinque minuti per creare una parvenza di
profondità, ma i dialoghi purtroppo devono esserci e in più di un
passaggio avrei preferito udire rumori intestinali invece delle frasi
pronunciate dal “sensuale” sistema operativo e dai pochi umani
dotati di voce.
Una
masturbazione adatta a molti spettatori, che con uno smartphone
appena acquistato potranno sproloquiare con i loro “contatti”
sulla pericolosità della tecnologia che limita e sublima i contatti
personali, sul fatto che non ci si parla più, che non si sta insieme
fisicamente, che si dovrebbe comunicare di più e meglio, e vai con i
pistolotti etico-morali. Melassa sintetica che non riesce minimamente
ad avvicinarsi alla fantascienza distopica, alla complessità del
dibattito, reale ed intrigante nella sua raffinatezza, sul rapporto
uomo-macchina. Un protagonista egoista, chiuso nelle sue bassezze e
nel suo narcisismo autodiretto, prima vittima e poi, con una logica
da bambino delle elementari, carnefice di una ex moglie che non lo
sopporta neanche fino al secondo piatto in un pranzo di scuse
tardive, pateticamente anticipate da flashback irritanti e fastidiosi
anche a livello fisico.
A
Jonze è andata di lusso, un film mediamente brutto che diviene quasi
di culto, una sceneggiatura imbarazzante che viene premiata, un
attore medio che viene spacciato per la nuova star, musiche che fanno
la gioia di quarantenni che vanno in giro con i risvoltini nei
pantaloni, cardigan vintage, occhiali dalla montatura tartarugata e
smartphone pronto a condividere e rilanciare immagini, frasi, foto ed
altro superfluo nelle loro giornate da “uomo del 21° secolo”.
Estraneo a tutto nel suo essere immerso in quella che è la sua e
solo la sua realtà, inconsapevolmente reazionario ed in fondo il
collega che non vorrei avere.
giovedì 24 ottobre 2019
L'Infernale Quinlan: la sequenza iniziale
Il
genere noir nel cinema, oltre agli aspetti di contenuto e di trama nonché
alle specificità dei suoi protagonisti, risultò e ancora oggi
risulta importante e straordinariamente interessante, per alcune
caratteristiche di tipo tecnico-formale, a volte innovative, quali la
voce over, il flashback, l’illuminazione a bassa intensità e la
posizione della macchina da presa, spesso posta in diagonale o di
sbieco, con uso di grandangoli, tra l'altro per accentuare il punto
di vista emotivo del carattere o dei caratteri principali.
L’infernale Quinlan (Touch of evil), diretto ed interpretato da Orson Welles nel 1958, rappresenta sia uno dei punti più alti del genere che un po' “il canto del cigno” del noir “classico” di tipo hollywoodiano (di lì a qualche anno arrivò il cinema europeo, francese in particolare e anche negli USA qualcosa cambiò).
Vidi
il film, nella sua versione restaurata, in un cinema a me molto caro
quanto scomodo come solo le vecchie sale potevano essere, durante gli
anni universitari, rimanendone rapito e in qualche modo segnato. Non
la farò troppo lunga e mi limito a sottolineare come
l'interpretazione dei protagonisti e la fotografia,
suggestiva nel suo bellissimo bianco e nero, mi misero di fronte ad
una superba e avvincente lotta tra Bene e
Male, tra stili di investigazione, tra distinte visioni con aspetti
inconciliabili e con più di un elemento di tipo manicheo.
Goduria
per gli occhi, le orecchie ed il cuore, questo concentrato di
virtuosismo e di irriducibilmente esasperato barocchismo wellessiano
offre distorsione delle immagini, primi e primissimi piani
emozionanti, eccitante montaggio alternato, nonché un non comune
uso, per frequenza ed efficacia, della profondità di campo e
sbalorditivi movimenti di camera che culminano nell’ubriacante e
mai abbastanza visto e rivisto piano-sequenza iniziale di 3'e 30".
Welles
introduce la storia e alcuni dei principali protagonisti: da un primo
piano di un paio di candelotti di dinamite la cinepresa si sposta
rapidamente su un carrello, seguendo un’automobile che esce da un
parcheggio e un carrello dolly la riprende quando si immette sulla
strada, scivolando fra i personaggi che chiacchierano su una via
trafficata. Il resto scopritelo da soli!
martedì 22 ottobre 2019
Perché lo fa?
Tutto quel parlare di
ambiente e clima. Cosa ci sarà dietro?
Ogni settimana
volontariato in parrocchia. Cosa nasconde?
Sempre in giro sulla
spiaggia a raccogliere rifiuti. Cosa ci guadagna?
Si è fatta eleggere in
consiglio comunale. Quali affari deve proteggere?
Raccomanda a tutti di fare
la raccolta differenziata. Chi lo paga?
Organizza il cinema
gratuito per i bambini del quartiere. Perché lo fa?
Guida il pulmino dei
disabili il sabato pomeriggio. Si dovrà far perdonare qualcosa!
Marcello Mastroianni in “Maccheroni” - di Ettore Scola (1985)
lunedì 21 ottobre 2019
Citazioni Cinematografiche n.325
Hola. Mi nombre es Iñigo Montoya. Tu hai ucciso mi padre, preparate a morir.
(Iñigo Montoya/Mandy Patinkin in "La storia fantastica", di Rob Reiner - 1987)
venerdì 18 ottobre 2019
Nella casa del pianista, di Jan Brokken
Titolo:
Nella casa del pianista
Autore:
Jan Brokken
Traduttore:
Claudia Di Palermo
Editore:
Iperborea - 2011
La storia di
un uomo, quella di un artista, il racconto di un'amicizia, di amici e
amanti, il ritratto di un'epoca e di un periodo, un viaggio
attraverso i sentimenti, i pensieri, i dolori e le felicità di
uomini e donne che hanno vissuto, conquistato qualcosa e perduto
altro.
Tutto questo
e probabilmente altro ancora il lettore scopre in “Nella casa
del pianista” dell'olandese Jan Brokken, edito da
Iperborea.
Lo scrittore
si basa su ciò che ha vissuto in prima persona, su ciò che il
pianista sovietico Youri Egorov,
fuggito prima in Italia e poi giunto ad Amsterdam nella seconda metà
degli anni 70, gli ha raccontato, confidato e trasmesso sotto ogni
aspetto, attraverso la loro amicizia e le loro arti, lo scrivere, il
narrare e la musica. Brokken è un grande conoscitore ed appassionato
di musica che, tra l'altro, ha spesso affrontato il tratteggio e la
descrizione di figure di primo piano in ambito letterario e artistico
(come in Bagliori a San Pietroburgo ad
esempio). Questo gli
ha consentito di arricchire il proprio lavoro, rendendolo
appassionante, intimo, coinvolgente, con qualche elemento
cinematografico che rende ancora più viva l'esperienza della
lettura.
Chi legge
scopre Egorov sotto il
profilo umano ed artistico, con i suoi pregi e le sue doti di grande
esecutore ed interprete, ma viene posto di fronte anche ai suoi
difetti, alle sue debolezze, ai suoi tratti peggiori. Empatia e
rabbia, comprensione e repulsione si alternano nell'animo del
lettore, che legge e “vive” le esperienze del pianista morto di
AIDS nel 1988. Inoltre si viene a conoscenza di alcuni meccanismi e
retroscena relativi al mondo dell'industria discografica, a come si
organizzano festival musicali, al rapporto fra artisti ed impresari e
fra gli artisti stessi.
La prosa è
fluida e mai banale, rallenta e accelera il ritmo con intelligenza e
rispetto verso i personaggi ritratti e chi legge.
Si gode della sua ricchezza e solidità, che sa di precisione e cura
dei dettagli, con pagine liriche che riescono a non perdere quella
freschezza espressiva che invita a leggere e leggere ancora.
Non si tema di trovarsi di fronte ad una “semplice”
trasposizione, magari un po’ infiocchettata, di una storia vera,
perché Egorov e Brokken ci offrono qualcosa che si fa forte non solo
della sua autenticità, ma anche del rispetto ed affetto di un amico,
nel suo voler essere omaggio, tributo ed emozionante lascito.
La sera
del 30 gennaio 1980 Youri Egorov, astro nascente del pianoforte, dà
uno dei suoi primi, memorabili concerti nell’Europa occidentale,
interpretando gli studi di Chopin. Per Jan Brokken è una
folgorazione e l’inizio di un legame profondo: dalle prime battute
riconosce in lui il talento che ogni giorno sente esercitarsi nella
casa vicina. Dalla nativa Kazan, dopo l’inizio di una promettente
carriera, Youri Egorov aveva deciso, come Rudolf Nureyev, di fuggire,
approdando finalmente ad Amsterdam dopo un rocambolesco rifugio in
Italia. Al grande danzatore russo lo unisce anche l’omosessualità,
tenuta segreta in Unione Sovietica, che ora può vivere liberamente
in Olanda, dove non corre più il rischio di essere internato. In
Occidente il successo non si fa attendere, così come le grandi
tournée internazionali, le registrazioni, la consacrazione accanto
ai più acclamati cantanti e direttori d’orchestra. Ma sotto il
talento prodigioso cova la fragilità dell’uomo, esacerbata dalla
perenne insoddisfazione e dall’amore disperato per la Madre Russia.
Youri si aggrappa alla stretta cerchia di amici che orbita intorno
alla sua casa di Amsterdam, una nuova calorosa «famiglia»:
l’architetto Brouwer, suo compagno di vita, la «principessa»
Tatjana e il gruppo di hippy, musicisti e creativi che lo sentiranno
suonare le ultime tragiche note, prima della prematura morte per
aids, a soli trentatré anni. (da
iperborea.com)
mercoledì 16 ottobre 2019
Posso rinunciare a te, non posso condividerti
"Come puoi nasconderlo, quando sei perdutamente innamorato di lei, inebriato della felicità che lei ti offre?" Frenai il suo pronto diniego con un gesto della mano. "L'ami come non hai mai amato e, passione per passione, lei te ne restituisce in egual misura! Ti domina, ti tiene stretto, ti possiede! Una donna, in una situazione come la mia, intuisce, sente e vede. Non sono una sciocca, una somara, che deve essere 'attendibilmente informata'. Tu ti avvicini a me meccanicamente, pieno di scrupoli, con gli avanzi della tua tenerezza e i rimasugli della tua vita. Ma io posso rinunciare a te. Non posso, invece, condividerti. La parte migliore di te appartiene a lei; so quanto vale e ti cedo liberamente a lei per sempre!".
(da Gli amici degli amici, di Henry James - trad. Barbara Placido)
lunedì 14 ottobre 2019
Citazioni Cinematografiche n.324
Mikael Blomkvist: Non vorrei averti allarmato, piombando qui...
Lisbeth Salander: Se mi tocchi ti ritrovi più che allarmato...
Mikael Blomkvist: Non arriveremo a questo. Il tuo rapporto... pieno di dettagli. Ma per me non è stato divertente.
Lisbeth Salander: Non era il suo scopo...
Mikael Blomkvist: Quando scrivo su qualcuno, io cerco di divertire il lettore...
Lisbeth Salander: Wennerström non si è divertito tanto...
Mikael Blomkvist:
Ah... il tuo capo, Armansky, sì, mi ha detto che accetti solo incarichi
che ti interessano, quindi dovrei sentirmi lusingato. Ti siederai? E
dice anche che si rivolge a te quando l'incarico è "sensibile". Ha usato
questa parola, sensibile. Io userò illegale. Perché di questo si tratta
quando entri nel mio computer... No, non prenderò provvedimenti.
Potrei, ma non lo farò. Quello che farò è raccontarti una storia e se ti
diverte, magari deciderai di aiutarmi con le ricerche e sennò, vediamo,
posso lavarti i piatti e non farmi più vedere... però intanto mangia.
Lisbeth Salander: Che genere di ricerche?
Mikael Blomkvist: Lisbeth... posso chiamarti Lisbeth? Voglio che mi aiuti a prendere un assassino di donne.
(Mikael Blomkvist/Daniel Craig e Lisbeth Salander/Rooney Mara in "Millennium - Uomini che odiano le donne", di David Fincher - 2011)
sabato 12 ottobre 2019
mercoledì 9 ottobre 2019
Giallo, Noir & Thriller/72
Titolo:
La Trappola
Autore:
Unni Lindell
Traduttore:
Irene Peroni
Editore:
Newton Compton – 2007
Primo libro
in cui collaborano, non senza problemi e reciproche antipatie, Cato
Isaksen e Marian Dahle della squadra investigativa operativa ad Oslo.
L'autrice
Unni Lindell è una delle più lette ed apprezzate non solo in
Norvegia ma in buona parte dei paesi europei, perciò la curiosità
ed un po' anche l'attesa che vivevo nell'avvicinarmi al romanzo hanno
giocato la loro parte.
Veramente un
buon thriller, “nordico” nel senso più completo ed onesto
del termine, dove ad un inizio molto intrigante e promettente seguono
pagine di indagini, approfondimenti sulle psicologie ed i vissuti dei
vari protagonisti e, dettaglio a volte poco apprezzato e approvato da
una parte non secondaria di lettori di gialli-thriller, una serie di
descrizioni su ambienti, aspetto fisico, condizioni personali, azioni
che ad una prima impressione sembrano banali appesantimenti. In
realtà personalmente mi godo questi passaggi, anche se riconosco che
in questo romanzo qualche cedimento è presente. Niente che poi non
ritorni nel corso della lettura, dal momento che anche i dettagli
hanno certamente importanza e, a ben vedere (e leggere)
risultano fondamentali nello svolgersi della trama e delle due
indagini che si incrociano e si influenzano vicendevolmente, cosi
come in fondo nell'ambito delle vite dei vari personaggi.
Dolore,
tristezza, solitudine possono coltivare il male ed un animo che
ospiti il buio e la malattia ne vengono conquistati e portati ad
azioni malvagie e raccapriccianti, così come “La Trappola” ci
mostra.
La
Lindell mostra di avere ben in mente ogni cosa, di padroneggiare la
trama, il dipanarsi degli eventi, i vari protagonisti e quanto
dicono, vivono e subiscono. In questo aiuta molto, ed il lettore
ne trae vantaggio, l'attenta ed intelligente divisione in capitoli,
che permette di apprezzare quanto viene descritto e come si svolgono
i fatti ed il lavoro degli investigatori. Tensione e suspence sono
calibrati e portati alla giusta dose, sebbene il lettore più esperto
possa comunque anticipare qualche snodo narrativo, anche se ciò non
toglie gusto ai colpi di scena che si fanno comunque apprezzare, nel
solco di una classicità che non stanca e che l'autrice tiene ben
presente nel proporre il suo stile e la sua visione di
giallo-thriller.
È un
giorno di giugno in Norvegia. Come ogni lunedì, il furgone che vende
i gelati passa per il suo solito giro alla periferia di Oslo. In quel
pomeriggio, mentre tutti i bambini si accalcano intorno al camioncino
per comprarsi un cono, il piccolo Patrik Øye scompare
improvvisamente. L’ultima persona ad averlo visto è la vecchia
signora che abita nella casa marrone in fondo alla strada. A distanza
di una settimana, Elna Druzika, giovane immigrata lettone, viene
investita da un’auto all’uscita dal lavoro. Dell’incidente si
sa poco, solo che il corpo della ragazza presentava delle ferite
precedenti all’impatto letale con una macchina di colore rosso. I
due casi non sembrano avere alcun nesso, fino a quando la squadra
investigativa capitanata da Cato Isaksen non scoprirà un particolare
inquietante: Wiggo Nyman, l’autista del furgone dei gelati, era
anche il fidanzato di Elna. (da
qlibri.it)
lunedì 7 ottobre 2019
Citazioni Cinematografiche n.323
Tobias Beckett: Hai fatto una mossa molto furba. Per una volta. Ti avrei ucciso io. Volevo davvero imparare a suonare... bene il valachord.
Han Solo: Lo so.
(Tobias Beckett/Woody Harrelson e Han Solo/Alden Ehrenreich in "Solo: A Star Wars Story", di Ron Howard - 2018)
sabato 5 ottobre 2019
venerdì 4 ottobre 2019
Potrei, ma non oso
Nel mio cuor dubitoso
sento bene una voce che mi dice:
“Veramente potresti esser felice.”
Lo potrei, ma non oso.
(Umberto Saba)
sento bene una voce che mi dice:
“Veramente potresti esser felice.”
Lo potrei, ma non oso.
(Umberto Saba)
mercoledì 2 ottobre 2019
Fine stagione
Fine stagione, di Mimì Quilici Buzzacchi 1932 - Forlì, Collezioni del Novecento di Palazzo Romagnoli.
La malinconia della fine dell'estate. Espressa sia dagli elementi della composizione, come dai toni cupi. Risalta l'uso di qualcosa di simile ad una scala di grigio, ravvivata dal rosa chiaro (un rosso sbiadito dal sole?)
di uno dei due ombrelloni. Persino il mare, reso con un azzurro spento, richiama e si confonde con i grigi del resto dell'ambiente, richiamando un'atmosfera ed uno stato d'animo.
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