Fersen in "Lady Oscar" |
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Ascolta. Irving Berlin. Lo sento, è dentro di me. Tutto, come dire... si schiude e... il desiderio di non morire... non morire mai... è quasi troppo grande da sopportare.
(Coleman Silk/Anthony Hopkins in “La Macchia Umana”, di Robert Benton - 2003)
Ciò che ero solito amare, non amo più; mento: lo amo, ma meno; ecco, ho mentito di nuovo: lo amo, ma con più vergogna, con più tristezza; finalmente ho detto la verità. È proprio così: amo, ma ciò che amerei non amare, ciò che vorrei odiare; amo tuttavia, ma contro voglia, nella costrizione, nel pianto, nella sofferenza. In me faccio triste esperienza di quel verso di un famosissimo poeta: “Ti odierò, se posso; se no, t'amerò contro voglia”.
Francesco Petrarca da “Ascesa al Monte Ventoso”
Secondo la leggenda di famiglia, il nonno di Ferguson partì a piedi da Minsk, sua città natale, con cento rubli cuciti nella fodera della giacca, viaggiò a ovest fino ad Amburgo passando per Varsavia e Berlino, comprò il biglietto per una nave chiamata Empress of China che attraversò l’Atlantico in mezzo a violente tempeste invernali ed entrò nel porto di New York il primo giorno del ventesimo secolo. Mentre aspettava di essere interrogato da un funzionario dell’immigrazione a Ellis Island, il nonno di Ferguson attaccò discorso con un altro ebreo russo. Quello gli disse: Scordati il nome Reznikoff. Qui non te ne fai niente. Per la tua nuova vita in America ti serve un nome americano, uno che suona bene in americano. Poiché nel 1900 l’inglese era ancora una lingua straniera per lui, Isaac Reznikoff chiese suggerimento al più esperto e maturo compatriota. Di’ che ti chiami Rockefeller, fece quello. Cosí vai sul sicuro. Passò un’ora, poi un’altra ora, e quando si accomodò per rispondere alle domande del funzionario, il diciannovenne Reznikoff aveva già dimenticato il nome che gli era stato suggerito da quell’uomo. Nome?, chiese il funzionario. Battendosi la fronte indispettito, lo stanco immigrato se ne uscí in yiddish, Ikh hob fargessen (Non me lo ricordo piú)! E fu cosí che Isaac Reznikoff cominciò la sua nuova vita in America come Ichabod Ferguson.
(4 3 2 1, di Paul Auster - Trad. Cristiana Mennella)
Sapere affrontare la morte è importante almeno quanto affrontare la vita.
(James T. Kirk/William Shatner in “Star Trek II - L'ira di Khan”, di Nicholas Meyer - 1982)
...
The sun still rises
Even with the pain
I'll tell you one thing
We ain't gonna change love
The sun still rises
Even through the rain
...
...
Il sole sorge ancora
Anche con il dolore
Ti dirò una cosa
Non cambieremo amore
Il sole sorge ancora
Anche sotto la pioggia
...
“Era l'anno in cui i tedeschi, per vendicarsi con gli italiani di Trapattoni, rifilarono a Roma un papa 'made in Germany'. Un pastore tedesco in cambio dell'Allenatore. Nonostante fosse nervoso, Proteo Laurenti scoppiò a ridere quando sentì alla radio Sua santità con le scarpe di Prada dichiarare che ' la chiesa cattolica non è una minestra riscaldata'. Se non altro, la grammatica era corretta.”
(Danza macabra, di Veit Heinichen – trad. Maria Paola Romeo ed Elena Tonazzo/Grandi & Associati)
Yukio: Sei un soldato.
Wolverine: No, per niente. Accosta.
Yukio: Tu sei un soldato.
Wolverine: Accosta. Fermati subito. Subito.
Yukio: Tu sei un soldato. E cerchi quello che cercano i soldati.
Wolverine: Che cerco?
Yukio: Una morte onorevole. La fine della sofferenza.
Wolverine: Chi ti dice che soffro?
Yukio: Un uomo che ha incubi ogni notte della sua vita è un uomo che soffre.
(Yukio/Rila Fukushima e Wolverine/Hugh Jackman in “Wolverine – L'immortale”, di James Mangold - 2013)
Nel guardare “Amore e Guerra” di Woody Allen, forse solo la prima volta ma anche ad una seconda visione, si corre il rischio di fermarsi alla vis comica, al lato ed aspetto divertente dell'opera. Intendiamoci in “Amore e Guerra” si ride parecchio, ci si diverte, ma è un po' un errore considerare l'opera un puro oggetto comico, spassoso, al quale ricorrere per il gusto di citarne le battute e da vedere quando si ha voglia di farsi quattro risate in compagnia (ma anche da soli!). Insomma è riduttivo relegare il film allo stesso piano, all'abito formale e costitutivo che presentano quelli immediatamente precedenti dell'autore newyorkese.
Woody Allen si confronta apertamente per la prima volta in questo film con due riferimenti culturali che avranno un forte impatto sulla sua poetica espressiva, sviluppandosi anche nei decenni a seguire.
Il primo, evidente fin dall’ambientazione geografica e ottocentesca, è la letteratura russa, ovvero le opere di Lev Nikolàevič Tolstòj e Fëdor Michajlovič Dostoevskij. Per quanto riguarda Dostoevskij in particolare, l'autore di “Delitto e Castigo” sarà alla base delle riflessioni portanti sia di “Crimini e misfatti” che di “Match Point”. A questo aggiungiamo quanto si può ascoltare in “Io e Annie”, nelle lezioni universitarie, oltre a un sorprendente e brillante dialogo di “Mariti e mogli”, dove Allen e Juliette Lewis così affermano: Tolstoj... Tolstoj è un pasto... Turgenev io direi che è un favoloso dessert, così lo caratterizzerei... E Dostoevskij? Ah sì, Dostoevskij è un pasto completo con contorno di vitamina e germe di grano.
Il secondo è il cinema di Ingmar Bergman, che ispirerà alcuni dei ritratti più dichiaratamente psicologici di Allen, come “Interiors”, che riprende chiaramente “Sussurri e grida”, oppure “Una commedia sexy in una notte di mezza estate” che ammicca e gioca con “Sorrisi di una notte d’estate”, per giungera a “Hannah e le sue sorelle” che si accorge e quasi distrattamente si ricorda di “Fanny e Alexander”.
Visto in quest’ottica “Amore e Guerra” assume quindi un valore ed un ruolo centrale e (ri)fondativo all’interno della filmografia alleniana, valido ed emozionante punto di svolta per un passaggio che dal cinema comico, con tratti e costrutti parodistici e da stand up comedy, dei primi anni evolve in una direzione autobiografica, che due anni più tardi genererà “Io e Annie”.
Il film con Diane Keaton sarà poi di fatto il primo tassello di un vero e proprio canone espressivo, che il regista conserverà per tutto il suo percorso artistico, non solo con lui stesso protagonista delle proprie opere ma anche quando non lo sarà.
“E' l'ultima domenica del luglio 1925, un pomeriggio caldo e assolato. L'orologio del campanile sopra la cupola della chiesa batte le tre e mezza. Le strade sono deserte. Un tram arranca faticosamente su per la salita che corre lungo il lato occidentale del cimitero, confinante con l'ampia piazza in cui si trovano il mercato coperto e il teatro. Una donna scende alla fermata e rimane lì, in piedi.
Anna.”
(Conversazioni private, di Ingmar Bergman – trad. Laura Cangemi)
Eglantine Price: Mi ascolti signor Browne...
Emelius Browne: Sono tutt'orecchi.
Eglantine Price: Lo sarà davvero se non mi presta attenzione!
(Eglantine Price/Angela Lansbury e Emelius Browne/David Tomlison in “Pomi d'ottone e manici di scopa”, di Robert Stevenson - 1971)
“Nel marzo scorso dovevo tenere a Coira, presso la Società Andreas Dahinden, una conferenza sull'arte di scrivere romanzi polizieschi. Vi arrivai in treno che già annottava - nuvole basse e un nevischio deprimente, e gelo dappertutto. La conferenza si tenne nella sala dell'Unione Commercianti. Il pubblico era piuttosto scarso, dato che quella stessa sera Emil Staiger parlava nell'aula magna del Liceo sull'ultimo Goethe. Non ero in vena quella sera - neanche gli spettatori lo erano del resto - e parecchi del luogo lasciarono la sala prima che la conferenza fosse finita.”
(La Promessa, di Friedrich Dürrenmatt – trad. Silvano Daniele)