Blog su Cinema, Letteratura, Arte, Cultura, Tempo libero, Esperienze.
Post su Film, Libri, Mostre, Esperienze di vita, Fumetti, Cartoni Animati e quello che mi piace ed anche che mi piace di meno.
Roberto: Do you like Walt Whitman? Yes, I like Walt Whitman very much. Leaves of Grass... Zack: What? Roberto: Nothing! I said "do you like Walt Whitman?" Zack: Walt Whitman? Roberto: Yes, I like Walt Whitman very much! Very good Leaves of Grass. Leaves of Grass... «Vision di pietà, di onta e afflizione, | orribil pensiero, un'anima in prigione.»Walt Whitman... Zack: Walt Whitman!
(Roberto/Roberto Benigni e Zack/Tom Waits in "Daunbailò", di Jim Jarmusch - 1986)
Moebius
ci mostra come sia possibile
fare arte e meravigliare il pubblico in una pubblicità. Nel 1989
realizzò i disegni per la campagna pubblicitaria di un marchio di
caffè. Mi colpisce la sensualità e la componente visionaria di
queste immagini.
Tradizione nel tratto e nelle linee, unite ad un dettaglio mirabile in immagini che veicolano una componente fantastica, arrivando direttamente all'osservatore e conquistandolo.
Noi fotografi abbiamo sempre a che fare con cose che svaniscono di
continuo, e quando sono svanite non c’è espediente che possa farle
ritornare. Non possiamo sviluppare e stampare un ricordo.
Clementine: Joel... Joel: Sì, mandarina... Clementine: Io sono brutta? Joel: Uhm? Clementine:
Quando ero piccola pensavo di sì. Non è possibile: l'ho detto e già
piango. I grandi non capiscono quanto ci si può sentire soli da bambini,
come se tu non contassi. Io avevo 8 anni e avevo dei giocattoli, delle
bambole. La mia preferita era una bambola brutta che io chiamavo
Clementine e la sgridavo in continuazione: "non devi essere brutta, sii
bella!" Che assurdità. Come se, potendo trasformare lei, potessi per
magia cambiare me stessa. Joel: Sei bella. Clementine: Joel, non mi lasciare mai. Joel: Sei bella sei bella sei bella.
(Clementine/Kate Winslet e Joel/Jim Carrey in "Se mi lasci ti cancello", di Michel Gondry - 2004)
Il romanzo
ripropone personaggi, ambientazioni e alcuni dei temi che il lettore
aveva incontrato nel precedente “L'Angelo del Lago”. Ritorna il delegato di polizia
Ezechiele Beretta, la Lugano anni 30
con i suoi quartieri, il Sassello in particolare, i suoi odori,
colori e umanità, nonché il lago e gli eventi che si svolgono al
suo cospetto. Ritorna il protagonista principale ed una parte degli
amici, colleghi e rivali che lo affiancano, ma non ci si aspetti un
altro consueto personaggio seriale, poiché, a mio avviso, l'autore
si scioglie da quello che a volte può rappresentare un limite, per
proporre una vicenda “nuova”, non direttamente legata o
collegabile ad altre.
Certo, la
città ed il contesto generale sono le medesime, ma DarioGalimberti sembra aver
scelto di “riscrivere” Lugano e l'ambiente, le persone e le loro
vite, con quanto ne consegue. Ovvero l'impressione è che Beretta
possa divenire un personaggio seriale, ma che la scrittura proposta
voglia evitare di dover dare per scontate una serie di informazioni e
suggestioni, così da doversi mettere nella non sempre comoda
situazione di riprendere molto e di rinnovarlo per il lettore, ma
allo stesso tempo offrendo al lettore stesso il gusto di scoprire e
“rivedere” il protagonista, l'ambiente e gli eventi sotto una
luce che può anche modificarsi ed esprimere diverse versioni di un
contesto fisico ed emotivo, nonché storico-sociale.
Galimberti,
per così dire gioca in casa, dato che vive a Lugano, ma si nota un
lavoro di studio e preparazione che fa compiere un salto di qualità
al racconto ed alle descrizioni. Sotto il profilo più strettamente
legato al genere la tensione non manca, in diversi passaggi ben
dosata e accostata al gusto, personale e professionale, dell'autore.
La scrittura in alcune pagine si lascia andare a termini e
costruzioni sintattico-grammaticali che possono risultare strane al
lettore odierno, come se l'utilizzo di parole desuete (un
po' come questo aggettivo che ho scelto) sia
un cedimento individuale alla propria preparazione e cultura. Ma,
secondo chi scrive, quella che può essere, magari fondatamente,
rivolta come una critica rivela invece l'intuizione di inserire anche
nelle descrizioni e nel parlato elementi storici che invitino il
lettore ad immergersi negli anni 30 del secolo scorso.
Risulta così
piacevole leggere di questo umanissimo delegato di polizia, degli
abitanti di un quartiere che non esiste più, diviene stimolante
incuriosirsi di un periodo storico e di una nazione, la Svizzera di
lingua italiana in particolare, che si conosce poco e si tende a
valutare peggio. Personalmente non farei confronti con il precedente
romanzo, dal momento che almeno per ora non siamo di fronte ad una
evidente serialità (sebbene accoglierei con
piacere un terzo volume con Beretta protagonista),
poiché “Un'Ombra sul Lago”
ha tutte le carte in regola per essere goduto ed apprezzato,
senza rispettare l'ordine di pubblicazione. Rimane la soddisfazione
di una lettura e l'impressione che alla fine del romanzo ci sia un
arrivederci a presto, non un addio.
Lugano,
29 ottobre 1934.
Il delegato Ezechiele Beretta, massima autorità della polizia
cittadina, se ne sta rintanato in un angolo del bar Lugano a gustarsi
il primo caffè del mattino, quando il trambusto proveniente
dall’esterno attira la sua attenzione. Gli abitanti del malfamato
Sassello avanzano verso il centro della piazza al seguito di Mosè
Guerreschi che incede lentamente con la piccola Ombretta aggrappata
ai suoi pantaloni vecchi e logori e un fagotto stretto in braccio.
Non portano problemi. Quella processione è una richiesta d’aiuto.
Beretta afferra il fagotto, una vecchia coperta militare da cui
spunta la testa di un bambino esanime, Agostino Guerreschi, e si
precipita in ospedale dove si assicura che il piccolo riceva cure
adeguate. La ricostruzione di Agostino viene archiviata come una
fantasia infantile, un modo per coprire le marachelle che hanno
portato a quell’incidente quasi mortale. Pochi giorni dopo, però,
quando Ombretta viene rapita in circostanze analoghe sotto gli occhi
della madre e di una vicina, Beretta maledice le sue conclusioni
affrettate e capisce che non c’è un attimo da perdere se vuole
restituire a quella povera famiglia la bambina sana e salva. Tra
false piste, intuizioni geniali e squarci sulla vita privata del
tormentato protagonista, le indagini procedono faticosamente,
ostacolate dai poteri forti della città che non vogliono guai,
mentre ombre sempre più minacciose si allungano sulle acque blu del
lago che bagna la città.
Ah, ogni molo è una nostalgia di pietra! E quando la nave salpa e subito ci accorgiamo che s'è aperto uno spazio tra il molo e la nave, non so perché, mi coglie un'angoscia mai provata, una nebbia di sentimenti di tristezza che brilla al sole delle mie angosce rifiorite come la prima finestra sulla quale riverbera l'alba, e mi avvolge come il ricordo di un'altra persona che fosse misteriosamente mia.
Ormai
sette anni fa, alle prime settimane di vita di questo blog, presentai
unpost celebrativo dei primi 50 annidel James Bond
cinematografico. In quell'occasione feci una veloce e del tutto
personale disamina dei film fino a quel momento presentati al
pubblico. Con un po' di leggerezza ed in fondo senza neanche
prendermi particolarmente sul serio assegnai addirittura un voto ad
ogni film.
A
lungo è stato uno dei post maggiormente letti, o anche solo
intercettati, per cui, sempre giocando, ma non troppo, riprendo
quell'opera, parlando, sinteticamente degli altri due film nel
frattempo usciti nelle sale, in attesa dei prossimi.
Agente
007 – Skyfall (2012) voto 7+: Daniel Craig ha creato e
definitivamente imposto il suo James Bond. Abbandonata l'ironia, la
spavalderia, il tono sarcastico del primo Bond (l'originale?),
qui si ha di fronte un uomo molto più vicino alla realtà, non più
invincibile e con punti deboli e qualche problema che non sa
esattamente come gestire. Per alcuni cade un mito, per altri la
mutazione è apprezzabile. Personalmente un po' mi manca quella
disinvoltura e quel divertimento che viene a mancare, ma il film è
apprezzabile. A patto di accettare che sia in tutto e per tutto un
action movie, con più livelli di lettura, una serie di
stratificazioni, che lo allontanano dalla spy-story classica e forse
anche troppo semplicistica per questi tempi, e magari anche per il
pubblico attuale. Il confronto con i precedenti interpreti del più
famoso agente al servizio di Sua Maestà è probabilmente poco
consono, sebbene divertente da fare, dal momento che siamo di fronte
ad un'altra cosa, ad una rinascita vera e propria, come mostrato
chiaramente nel film. Per quanto riguarda azione e tensione, queste
non mancano, così come le scene di inseguimento e di duello, con un
villain suggestivo, sebbene a mio parere Javier Bardem a tratti
sembra gigioneggiare oltre il sopportabile. Bene gli altri
interpreti, con Judy Dench (M) in un ruolo insolito e dai risvolti
psicanalitici.
Agente
007 – Spectre (2015) voto
6-: quanto di buono, o comunque di maggiormente originale visto nel
precedente qui si perde. Sembra che a regista e sceneggiatori
interessi solo l'azione in quanto tale, con trascuratezza nella
scrittura del plot ed una certa svogliatezza nel gestire e
approfondire il nostro amato Bond. Daniel Craig continua nella sua
strada, con maggiore atletismo e meno ironia e sarcasmo, riuscendoci
anche bene, ma viene sprecato, sottoutilizzato e mal gestito il
sempre apprezzabile Christoph
Waltz,
villain che avrebbe meritato una migliore sceneggiatura. Qualche
esagerazione di troppo, non calata nell'adeguato contesto e ritmo,
fanno storcere il naso, come se ci si fosse rimangiati quanto fatto
in precedenza, forse non convinti o non sicuri di dove volersi
dirigere. Allora ci si affida alle scene d'azione, alle belle auto
lanciate a folli velocità in centri storici, qualche inquadratura ad
effetto ed altri stratagemmi per coprire una certa insicurezza e
povertà di idee. Non proprio un passo falso, perché l'insieme
comunque intrattiene nonostante la lunghezza, ma ci si potrebbe
aspettare di meglio.
Peter Parker: Senti, mi dispiace, devo chiarire alcune cose...
Mary Jane Watson: Io non ti riconosco più. E non posso continuare a pensare a te. Fa troppo male.
Peter Parker: Sto leggendo poesie adesso.
Mary Jane Watson: Mi spieghi che vuol dire?!
Peter Parker: "Giorno dopo giorno, egli la fissava. Giorno dopo giorno, si struggeva di passione. Giorno dopo giorno..."
Mary Jane Watson: Non attacca.
Peter Parker: ...Vado a prenderti un drink?
Mary Jane Watson: Sto con John, ci pensa lui al mio drink.
Peter Parker: John...
Mary Jane Watson:
A proposito, John ha visto la mia commedia cinque volte. Harry l'ha
vista due. Zia May l'ha vista. Mia madre, che è malata, si è alzata dal
letto per vederla. Perfino mio padre... È venuto in camerino a battere
cassa. Ma il mio migliore amico, che ci tiene così tanto a me, non
riesce ad arrivare in teatro per le otto. Dopo tutti questi anni... Per
me non è che un posto vuoto.
(Peter Parker/Tobey Maguire e Mary Jane Watson/Kirsten Dunst in "Spider-Man 2", di Sam Raimi - 2004)
I dreamed what what you were
offering Imagine lying next to me You should, and your
reputation talks I will write our story in my mind Write about
our dreams and triumphs This might be my innocence lost I can
taste the ocean on your skin That is where it all began I
dreamed that we were elephants Water, sun and clouds of dust And
woke up thinking we were free
I can taste the ocean on your skin That
is where it all began We all go back to where we belong We all
go back to where we belong This really what you want This
really what you want
I can taste the ocean on your skin That
is where it all began We all go back to where we belong We all
go back to where we belong This really what you want This
really what you want
La storia d'amore tra
la ricca e ambiziosa violinista Florence e il modesto e promettente
storico Edward nell'Inghilterra dei primi anni Sessanta, pochi anni
prima della rivoluzione sessuale, prigionieri dei tabù di un'epoca e
delle convenzioni familiari e sociali. La loro luna di miele a Chesil
Beach li porterà verso altre strade, altri destini, altre vite...
L'impianto
letterario, la componente drammaturgica, è fin troppo evidente,
forse più adatta ad una messa in scena teatrale, la sceneggiatura
direttamente tratta dal romanzo omonimo di Ian McEwan ne
risulta costretta e soffre nel risultato totale, ma “Chesil
Beach” è tutt'altro che un film trascurabile.
Dominic
Cooke, lui sì regista teatrale, dimostra di saper utilizzare lo
strumento cinematografico, riuscendo a limitare ed a volte
superare i limiti propri del tentativo di portare sul grande schermo
la scrittura dell'autore britannico. Inquadrature studiate, campi
lunghi e medi, qualche intenso ed emozionante primo piano, cambi di
prospettiva e di punto di vista per raccontare ciò che le parole e
dialoghi non riescono a comunicare allo spettatore. Non c'è
verbosità nel parlare dei protagonisti, anzi, sembra che ogni frase
sia stata opportunamente pensata, scelta e dosata, ma rimane comunque
una certa distanza fra lo scritto su carta e l'ascoltato dallo
schermo. Le immagini vengono in aiuto e così “Chesil Beach”
si fa vedere ed apprezzare.
Non
un grande film, onestamente, ma la recitazione di Billy Howle, ma
soprattutto di una bravissima Saoirse Ronan permettono di
seguire il racconto di una complicata storia d'amore, dove privato e
pubblico, storie dei singoli e storia del Costume si incontrano,
animando e rendendo uno dei passaggi sociali e culturali, e perché
no etici, del secolo scorso. Il costrutto testuale appassionante
riesce così a non soverchiare totalmente le immagini, con il
risultato di non farne un piatto radiodramma teatrale ma ponendo
l'elemento visivo al servizio del testo senza però risultarne
schiacciato.
Quella
che dovrebbe essere la scena madre, ovvero il non compiersi (il
pessimo “non consumarsi” lo detesto) dell'incontro sessuale
fra i due neosposi, è più volte interrotta e rimandata da una serie
di flashback (che creano una certa tensione narrativa) e poi flashforward, che illustrano il nascere
dell'amore fra una giovane donna ed un giovane uomo nati
nell'Inghilterra post seconda guerra mondiale. I due sentono che
qualcosa sta cambiando, in loro e nella società in cui vivono, ma
rimangono a metà del guado, fra la morale e le consuetudini dei loro
genitori e ciò che i giovani come loro stanno proponendo e cercando
di vivere, in tema di amore, sesso, emancipazione, convivenza e
relazione fra uomo e donna. Non andrà bene tra loro, sotto l'aspetto
sessuale, dal momento che si sono innamorati e credono di conoscersi,
ma quello che non conoscono è il proprio corpo e quello dell'altro,
non sanno cosa ci sia nell'intimo e nel profondo dell'una e
dell'altro e non riusciranno ad andare oltre, sospesi fra il passato
ed il presente.
Ebbene
gli attori e le musiche sottolineano bene tutto questo, lo rendono
alla portata, almeno in parte, del pubblico e le scene da lodare non
mancano, specie per le scelte registiche, ma in fondo anche il film
nel complesso rimane un po' al di sotto di quanto fosse legittimo
aspettarsi da una sceneggiatura e da una scrittura che promettevano
molto e anche di più. Ultimo elemento che sottolineo è come i
due giovani vengano separati, ostacolati nel loro amore, non tanto da
agenti esterni, famiglia o società come in numerosi e classici
drammi, bensì dai loro costrutti psichici, da ciò che hanno
introiettato e non sono riusciti a gestire e metabolizzare, ancora
non in grado di crearsi una loro identità e farsi autori di proprie
scelte e costruttori del proprio destino accettandosi e accettando
l'altro.
Ogni
canzone d'amore Si perde nel tempo e non sai dove va, Ogni
canzone d'amore È la stessa di ieri, di mille anni fa:
Bella
raggiungimi al fiume, Capelli di rame ricordati di me, Bella se
parto non piangere
Che quando ritorno Ritorno
da te.
Ogni canzone d'amore Svanisce nel vento e lo sai
dove va? Va da una donna sognata, Perduta per sempre Che non
tornerà,
Ma la canzone ritorna Ritorna per dirti che
un'altra verrà, Che non finisce mai niente E il cuore lo
sente E il cuore lo sa Portami via questa notte, Portami
ovunque tu vai, Portami dove le stelle Non si addormentano
mai
Portami via, Portami via da qui, Portami via, Non
voglio perdermi
Ci siam sorrisi e in un lampo Ci siamo
trovati con trent'anni in più, Ma son trent'anni
rubati All'invidia del tempo e sei sempre tu.
Ogni
canzone d'amore Dall'alba del mondo era scritta perda te, Ma
trovatori e poeti cantavano un'altra Chissà poi perché,
Ma
son sicuro, lo giuro, Che in tutte le donne vedevano te, E
s'inventavano un nome, Ma eri tu quella E un nome
cos'è.
Portami via, Se sbaglio insegnami, Portami
via, Se cado tienimi,
Non riconosco nessuno, Non c'è
più nessuno, Non conta più niente; Questo non è più il mio
tempo, Non è più il mio canto, Non è la mia gente.
Portami
via, Se ho freddo coprimi, Portami via, Se torno
stringimi,
Stringimi forte stasera, Ti sei primavera, Io
sono l'inverno, Stringimi stringimi ora, Perché ho seri
dubbi Di essere eterno
Stringimi stringimi ora Perché
ho seri dubbi Di essere eterno