lunedì 27 aprile 2015

Citazioni Cinematografiche n. 94

Marty: Doc, ok rilassati, Doc, sono io, Marty.
Doc: No, non può essere, io ti ho rimandato nel futuro!
Marty: Lo so, mi hai rimandato indietro nel futuro, ma sono tornato... sono tornato dal futuro.
Doc: Grande Giove!

(Marty McFly/Michael J. Fox e Doc E. Brown/Chtristopher Lloyd in “Ritorno al Futuro – Parte II”, di Robert Zemeckis - 1989)



sabato 25 aprile 2015

25 aprile 1945 - 25 aprile 2015

“Una sera di settembre l’Agnese tornando a casa dal lavatoio col mucchio di panni bagnati sulla carriola, incontrò un soldato nella cavedagna. Era un soldato giovane, piccolo e stracciato. Aveva le scarpe rotte, e si vedevano le dita dei piedi, sporche, color di fango. Guardandolo, l’Agnese si sentì stanca. Si fermò, abbassò le stanghe. La carriola era pesante.
Ma il soldato aveva gli occhi chiari e lieti, e le fece il saluto militare. Disse: - La guerra è finita. Io vado a casa. Sono tanti giorni che cammino -. L’Agnese si slegò il fazzoletto sotto il mento, ne rovesciò le punte sulla testa, si sventolò con la mano: - Fa ancora molto caldo -. Aggiunse, come se si ricordasse: - La guerra è finita. Lo so. Si sono tutti ubriacati l’altra sera, quando la radio ha dato la notizia -. Guardò il viso del soldato e sorrise, un sorriso rozzo e inatteso sulla sua faccia bruciata dall’aria. – Io credo che i guai peggiori siano ancora da passare, - disse improvvisamente, con la rassegnata incredulità dei poveri; e il soldato si fregò le mani: era un ragazzo molto allegro.”


 
















“In quel momento i due soldati si scostarono: - Raus! Raus! – L’Agnese corse dietro gli altri, sbatté le palpebre nella luce viva, s’incontrò prima col tenente, poi con un’altra faccia di tedesco, si fermò. Quella faccia divenne a un tratto sformata, malsana, mosse le labbra, certo gridava. Ma l’Agnese non intese la voce, vide soltanto chiaro il disegno di un nome: Kurt. Vide anche il maresciallo, questa stessa faccia, seduto sul muretto con la Vandina, risentì l’odore di quella sera, odore di erba bagnata sotto il pesco. Due ceffoni furibondi la sommersero in uno stordito giro di circoli rossi.
Il maresciallo gridò ancora; prese la pistola, le sparò da vicino negli occhi, sulla bocca, sulla fronte, uno, due, quattro colpi. Lei piombò in giù col viso fracassato contro la terra. Tutti scapparono urlando. Il maresciallo rimise la pistola nella fondina, e tremava, certo di rabbia. Allora il tenente gli disse qualche cosa in tedesco, e sorrise.
L’Agnese restò sola, stranamente piccola, un mucchio di stracci neri sulla neve”

(“L’Agnese va a morire”, di Renata Viganò)


giovedì 23 aprile 2015

Once (2006)


“Dublino. Un giovane cantautore irlandese in cerca di successo, che si mantiene riparando aspirapolveri e suonando per le strade, incontra una ragazza emigrata dalla Repubblica Ceca che mantiene se stessa, sua madre e sua figlia facendo vari mestieri. In realtà lei è una pianista di talento e deciderà di aiutarlo nella realizzazione di un disco da presentare ad una casa discografica di Londra. Insieme, i due ragazzi incideranno una serie di canzoni in cui raccontano le loro vite e i loro amori passati.” (da cinematografo.it)

Un pizzico di vita privata “influenza” il mio entusiasmo per questo film. Lo vidi poche settimane dopo la nascita di mio figlio, che quella sera decise di dormire più a lungo e tranquillamente di quanto fosse solito fare, permettendo a sua madre e me di poterci far incantare dalle immagini e dalla musica. L’ho rivisto, anche se non interamente, di recente, a conclusione di una giornata “difficile”, regalando al mio animo un po’ provato una delicata carezza, capace, allo stesso tempo, di rallegrarmi e commuovermi.



Un musical basato su una storia d’amore, raccontata attraverso le canzoni, dove i testi delle stesse, i versi accompagnati dalla musica si sostituiscono ai dialoghi ed alle parole che caratterizzano questo intenso, quanto pudico rapporto sentimentale. Non c’è spazio per volgarità, ammiccamenti, melensaggini o gesti affettati. Lo spettatore è rapito dai due protagonisti, che si incontrano e sentono nascere dentro loro un sentimento puro, che la macchina da presa, con piglio documentaristico, ritrae e rispetta nella sua pienezza.

Un’esperienza uditiva, ancora più che visiva, perché le parole e le canzoni sembrano dotate di forza propria. Allora le immagini, curate in modo sincero e attento, assecondano un ragazzo ed una ragazza che grazie ed attraverso la musica scoprono l’altro ed anche una parte di sé.

Un’occasione rara e preziosa, da vivere intimamente. Si evitano luoghi comuni e banalità, riuscendo con gusto e stile ad inserire musica e canzoni senza forzature, anzi richiedendone la presenza per godere totalmente di quanto viene raccontato.

Interpreti “familiari” e mai sopra le righe, Oscar per la migliore canzone per “Falling Slowly”.



lunedì 20 aprile 2015

Citazioni Cinematografiche n. 93


“Ti rimanderò indietro nel futuro!”

(Dott. Emmett Brown/Christopher Lloyd in “Ritorno al Futuro”, di Robert Zemeckis - 1985)



domenica 19 aprile 2015

Le Storie #31 - “Il Prezzo dell’Onore”


Un western duro, polveroso, asciutto e spietato, questo “Il Prezzo dell’Onore”, albo numero 31 della collana “Le Storie”.
Una vicenda che sa di picaresco, dove il peggiore la fa franca e per gli altri rimane solo dolore e morte.

Fabrizio Accatino confeziona una sceneggiatura che pesca a piene mani dalla narrativa e dal cinema di genere, aggiungendoci qualche scena dal gusto “tarantiniano” o “alla Peckinpah”, per condire ed arricchire una vicenda forse non originalissima, ma che funziona alla grande.

Elementi drammatici e caratterizzazioni grottesche donano ritmo e coinvolgimento, con inquadrature astute ed efficaci, debitrici dello “spaghetti western” (bagaglio culturale pressoché imprescindibile), molto ben utilizzate dal sempre ammirevole Paolo Bacilieri. Il disegnatore veneto forse non è proprio del tutto a suo agio nel disegnare cavalli, ma per il resto dona spessore e caratterizzazione a tutti i personaggi, mettendone in risalto volti e dettagli (due dei protagonisti sembrano ispirarsi ad Alan Ford e Bob Rock)
Un racconto insolito per un editore come la Bonelli, ma negli ultimi anni da quelle parti stanno proponendo con maggiore frequenza storie con protagonisti dal comportamento e dalle peculiarità non proprio edificanti. In una serie come questa, slegata da vincoli di tematiche e di personaggi seriali, ci si allontana dal mito dell'eroe buono ed esemplare, per un racconto fatto di individui probabilmente più vicini alla realtà. “Il Prezzo dell’Onore” rientra in questo filone, con una vicenda sporca e cattiva ed un finale niente affatto rassicurante e che, anzi, tende a lasciare un po’ di amaro in bocca.




venerdì 17 aprile 2015

La sete e la rosa


Pochi sanno che la rosa ha sete
e pensano che Dio l’abbia
creata per loro,
la mettono sul seno
di vecchie baldracche
e la lasciano morire nell’ombra.
L’amatore stacca la rosa
e la regala ad un’altra
e pensa di farle un dono.
La rosa muore di malinconia,
diventa un gambo
ed a lungo andare un chiodo.
Così verrà un giorno
che il mondo sarà pieno di chiodi
perché nessuno ha dato
da bere alla rosa.
Così quando io scrivo i miei versi
tu credi di meritarli
e li metti sulla punta d’uno spillo
e li doni a una stupida ragazza.

(Alda Merini, da "Un Segreto Andare" - Tallone 2006)




lunedì 13 aprile 2015

Citazioni Cinematografiche n. 92

Verne: Senti RJ, se ci avessi detto subito che il cibo ti serviva per placare un orso infuriato, noi te l'avremmo dato. È così che si fa in famiglia.
RJ: Avrei tanto voluto saperlo prima.
Verne: Be', si tratta di mancanza di comunicazione. Succede spesso in una famiglia.

(Verne la tartaruga e RJ il procione in “La Gang del Bosco”, di Tim Johnson e Karey Kirkpatrick - 2006)


domenica 12 aprile 2015

Dampyr # 181 - La Lunga Notte dell'Odio


Quando sfoglio un nuovo albo a fumetti Bonelli una delle prime cose che cerco è il nome del disegnatore. A volte “gioco” un po’ con me stesso nel riuscire a capire chi sia sbirciando qualche tavola prima di trovare il tempo di dedicarmi alla lettura. Nel caso di Dampyr, Nathan Never o Dylan Dog a volte ci azzecco.

Subito dopo tocca a chi si occupa della sceneggiatura e all’autore del soggetto. Nel caso del numero 181 di Dampyr, soggetto e sceneggiatura sono a firma di Rita Porretto e Silvia Mericone. Ma chi sono? Eppure mi sembra che i loro nomi richiamino qualcosa. Qualche minuto di incertezza e poi “ma certo! Dr Morgue!!”

DrMorgue è il nome della miniserie che la Star Comics mandò in edicola qualche anno fa, dove la Porretto e la Mericone offrirono un sorprendente personaggio, protagonista “speciale” in una Montreal inquietante e dai tratti noir.


Al loro esordio su Dampyr, con l’albo dal titolo “La Lunga Notte dell’odio” si mostrano perfettamente in linea con il personaggio e le atmosfere. Narrazione fluida, resa vivace da una serie di eventi e colpi di scena che non offrono pause o momenti di riflessione, bensì un albo cupo, denso e dal ritmo veloce e costante.

Ritornano Anyel, amesha quanto mai accattivante, ed il demone ramingo del numero 116 “Pioggia di Demoni” (da leggere!), per un’avventura che si inserisce bene nella continuity della serie e riprende quanto era stato lasciato in sospeso. Il buon Harlan fa la sua parte e gli altri protagonisti, tra cui la giovane e poi vecchia Cathy e lo sceriffo locale, non sono da meno.


Rimane da “svelare” il nome del disegnatore. Nicola Genzianella presenta uno stile graffiante, suggestivo, specialmente nelle scene sotto la pioggia battente, e riesce a caratterizzare e rendere al meglio volti ed espressioni, per una appagante lettura di un albo che giustifica la presenza della serie nel panorama fumettistico italiano.



“Sulla cittadina di Winter, Iowa, è in arrivo una terribile tempesta, che potrebbe superare in potenza distruttiva quella famigerata di mezzo secolo prima, quando molti abitanti persero la vita in circostanze misteriose... Sul posto arrivano anche Harlan e l’Amesha Anyel, persuasi che con il temporale riapparirà un loro vecchio e demoniaco avversario... E il cuore oscuro del Male, destinato a espandersi e a travolgere l’intera comunità, si nasconde nella cantina della casa maledetta dei McDougal...” (da sergiobonelli.it)

venerdì 10 aprile 2015

Maori, la Via Umana - Editoriale Cosmo


Un bel noir, ambientato in Nuova Zelanda.

Una sorpresa dalla Editoriale Cosmo, che propone una sceneggiatura dello scrittore Caryl Ferey, illustrata da Giuseppe Camuncoli e Stefano Landini.

Il detective Jack Kenu, “assalito” da problemi, rimpianti e vicissitudini personali, come da copione dei migliori “polar”, si trova ad affrontare un difficile caso, dove violenza politica e fisica, temi sociali ed economici, corruzione e desiderio di riscatto si inseriscono in una visione futura (ma non troppo!) dell’isola del Pacifico.

Kenu, oltre ad essere un poliziotto, è un Maori e la questione è di non poco conto. Infatti uno dei temi centrali della vicenda è, appunto, la frattura che ancora oggi è visibilmente dolorosa fra i “nativi” ed i discendenti degli europei, i Pakeha.

I problemi sociali ed economici vengono presentati all’interno della disgregazione sociale della comunità Maori e della lotta politica fra due differenti e distanti visioni, entrambe candidate alla guida del Paese.

Non vi sono intenti didattici ed il rischio di una narrazione didascalica non è neppure sfiorato, poiché ritmo e sviluppo della trama e dell’indagine fanno leggere con gusto e trasporto ogni singola tavola, a cui il colore dona atmosfera aggiungendo ulteriore connotazione a quanto vi è rappresentato.

Jack Kenu è un bel personaggio, con una evidente dignità letteraria, gli altri caratteri non sono da meno ed i diretti interlocutori del detective godono di una efficace resa, con dialoghi non banali e ben gestiti, alternando asciuttezza e sintesi con un gradevole gusto per la narrazione.

lunedì 6 aprile 2015

Citazioni Cinematografiche n. 91

Belloq: Che peccato che debba finire così tra noi due dopo tanti incontri stimolanti. In fondo mi dispiace. Dove troverò un nuovo avversario che riesca a stare al mio livello?
Indiana Jones: Perché non prova in qualche fogna?

(Dott. Belloq/Paul Freeman e Indiana Jones/Harrison Ford in “I Predatori dell’Arca Perduta”, di Steven Spielberg - 1981)





venerdì 3 aprile 2015

La Cina non era vicina


Nei giorni dei fatti di Piazza Tienanmen (primavera 1989) ero uno studente delle scuole medie, alle prese con scombussolamenti ormonali ed altre problematiche adolescenziali, un po’ confuso e poco avvezzo alle cose del mondo.
Pertanto mi mostravo sufficientemente suggestionabile e influenzabile, in particolar modo da chi coglieva in un atto di barbarie, in un massacro come quello avvenuto nei primi giorni di giugno di quell’anno a Pechino, un’ulteriore occasione per indicare a giovani menti in formazione quanto fossero malvagi e inumani i “comunisti”.

A distanza di 26 anni dovrei forse riflettere sulle mie frequentazioni di allora, ma rimangono i fatti, i morti ed anche l’uso di certe immagini negli anni a seguire, odioso e spregevole in particolare quello fattone da un movimento politico-religioso italiano fondato da un sacerdote lombardo.

Comunque non è per evidenziare quanto io sia ostile a Comunione e Liberazione che scrivo queste righe, bensì per sottolineare che a quell’età non sapevo pressoché nulla della Cina, a parte qualche dato ed informazione assunta a scuola ed i soliti cliché che circolavano. A proposito, allora, come adesso, non riuscivo a comprendere quale affinità o vicinanza ci potesse essere tra i cinesi “comunisti” e quelli che, comunisti anch’essi (o almeno così si definivano) amministravano i comuni della mia zona, venivano intervistati in televisione o anche solo frequentavano il circolo ARCI vicino al parco giochi. Forse era solo un limite semantico, pigrizia catalogativa o semplice scorciatoia nel definire caratteri e avvenimenti, ma insomma la Cina era comunista, forse non proprio come l’URSS o Cuba, ma comunque erano tutti “cattivi”. E la Cina rimaneva un mistero.

Qualche anno dopo, ampliato (migliorato?), anche se di poco, il mio giro di conoscenze e frequentazioni e letto qualche libro in più, avrei avuto l’occasione di “incontrare” nuovamente la Cina.
Fu grazie a Zhang Yimou ed al suo “Lanterne Rosse”, tratto dal romanzo di Su Tong “Mogli e Concubine”. Fu una sorpresa! A dire il vero, sorpresa difficile da definire, poiché ancora sapevo ben poco di quel paese, della sua situazione politico-culturale e pertanto anche del suo Cinema.

La Repubblica Popolare Cinese, almeno sapevo come realmente si chiamava, si era messa lungo il mio cammino, sotto forma di proiezione di un film in un cinema non particolarmente comodo della mia città.
Lanterne Rosse mi rivelava qualcosa della storia di quel paese, con un evidente talento figurativo e drammatico, espresso mediante un’impostazione teatrale, tanto misteriosa e lugubre, quanto affascinante. Rigore e serietà stilistica che venivano esaltate dalla bravura e bellezza di Gong Li, che riusciva a rendere digeribili persino gli eccessi di manierismo. 
Un’esperienza cromatica (il rosso delle lanterne, il nero di inquietanti veli, il bianco della neve caduta e della follia) che scandisce la lentezza di quanto raccontato. Quasi una visione ad ostacoli, poiché osservavo gli “esotici” protagonisti attraverso le grate, gli oggetti che Zhang Yimou frapponeva fra loro e lo spettatore, quasi a proteggere gli uni dagli altri.
Suggestioni ed emozioni che avrei ritrovato in altri film dello stesso regista che, nel corso degli anni, ho di fatto “seguito”, anche nei suoi “ripensamenti” e “passi indietro”.