Mia madre era sempre così ubriaca che quando ci siamo decisi di farle fare un controllo medico hanno trovato il 2% di sangue nel suo alcol.
(Rupert Pupkin/Robert De Niro in “Re per una notte”, di Martin Scorsese - 1983)
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Mia madre era sempre così ubriaca che quando ci siamo decisi di farle fare un controllo medico hanno trovato il 2% di sangue nel suo alcol.
(Rupert Pupkin/Robert De Niro in “Re per una notte”, di Martin Scorsese - 1983)
Il film di Michael Cimino "I Cancelli del Cielo" (Heaven's Gate il titolo originale) uscì 40 anni fa.
Spesso è stata raccontata la storia di quello che fu allo stesso tempo un disastro ed un capolavoro.
Un disastro all'epoca e poi, dopo diversi anni, rivalutato ed ora, giustamente, considerato un film bellissimo.
Probabilmente fra chi già allora intuì l'importanza dell'opera di Cimino ci fu Raymond Carver, o quantomeno ne fu stimolato, poiché nella sua raccolta "Racconti in forma di poesia" dedica uno scritto al regista e ad uno dei suoi personaggi.
Il Giocoliere de Le Porte del Paradiso
per Michael Cimino
Dietro il tavolino sporco dove Kristofferson sta facendo
colazione, c'è una finestra che si affaccia su una strada del secolo
scorso a Sweetwater, nel Wyoming. Un giocoliere
è alo lavoro, là fuori, in frac e cilindro,
un tipetto allampanato che tiene in aria
tre clave. Rifletteteci un attimo.
Su questo giocoliere. Sullo stupefacente atto mentale e manuale.
Uno che si guadagna da vivere facendo il giocoliere.
Tutti, una volta o l'altra, hanno incontrato un divo
o un pistolero. Ad ogni buon conto qualcuno un po'
prepotente. Ma un giocoliere! C'è fumo azzurrino nell'aria
di questo orribile locale e sopra quel tavolino sporco dove due
tipi grandi e grossi discutono del futuro di una donna. E di qualcosa
che ha a che fare con l'Associazione Allevatori.
Ma lo sguardo continua a tornare su quel giocoliere.
Quel minuscolo spettacolo. In questo istante, la condizione di Ella
o il fato degli emigranti
non sono così importanti quanto le acrobazie del giocoliere.
Ma come ha fatto a insinuarsi nell'azione? Che storia ha dietro?
È la sua storia che voglio conoscere. Tutti sono capaci
di portare una pistola e di fare gli spavaldi. Oppure di innamorarsi
di qualcuno che ama qualcun altro. Ma fare il giocoliere
per l'amor di Dio! Dedicare la vita a quell'arte.
Tirarci avanti. Facendo il giocoliere.
(trad. Riccardo Duranti)
Zorba: Certo che sono veramente strani questi umani...
costruiscono dei musei nuovi e ne abbandonano uno così bello qui nel
centro della città!
Colonnello: Sai, gli ultimi umani con un
po' di senno risalgono al tempo degli antichi egizi, che adorando il
dio gatto gli avevano costruito le piramidi...
Segretario: La sfinge, Colonnello!
Colonnello:
E che cosa ho detto io, la sfinge! E noi invece con che razza di umani
abbiamo a che fare, quelli di oggi ci trattano come se fossimo degli
stupidi cani smidollati, bleah...
Pallino: Diderot! Diderot!
Diderot: Terribilmente terribile! Quegli ignoranti di topi si sono mangiati una pagina dell'atlante! Abbiamo perso il Portogallo!
Colonnello: Gli faremo pagare anche questa, figliuolo, ma... ora sta a sentire, abbiamo un altro problema!
(Zorba, Colonnello, Segretario, Pallino e Diderot in "La Gabbianella e il Gatto", di Enzo D'Alò - 1998)
Dopo un anno di pubblicazioni una serie può esaurire la forza data dalla “novità” e quindi allungarsi senza particolare convinzione, oppure acquisire e dotarsi di una sua dimensione composta anche da tratti ripetitivi che possono annoiare il lettore, consolidare le proprie caratteristiche e tentare di svilupparsi poggiando su punti fermi e così via fra le tante possibilità che ci sono e che dipendono dai creatori, dagli autori, i disegnatori, la casa editrice, la distribuzione e l'accoglienza, entusiastica o scettica che sia, di chi acquista gli albi. Certamente c'è l'aspetto economico e l'andamento delle vendite che rivestono un importante ruolo, ma su queste tematiche sono molto più che sprovveduto, per cui non mi ci addentro.
Samuel Stern da qualche settimana è in edicola con il dodicesimo numero della serie, per cui anche la pubblicazione della Bugs Comics è in qualche modo soggetta ad una analisi. Come detto lascio da parte il bilancio fra tiratura e vendita, con annessi calcoli, e mi soffermo su come io mi rapporto alle storie pubblicate in questo ultimo anno.
In sintesi ritengo Samuel Stern un fumetto più che interessante, che riesce ad unire tematiche trattate in modo non banale, con più di una originalità, attenzione alla sceneggiatura ed alla caratterizzazione dei personaggi, anche quelli secondari od occasionali, oltre ad una certa qualità complessiva che mi fa sperare possa continuare ad essere distribuito. In poche parole ritengo che abbia le carte in regola per divenire un buon fumetto seriale, cosa di cui lettori e mondo dell'editoria hanno bisogno.
Ne è buon esempio “La Casa delle Farfalle”, numero 12 come detto. Albo in cui si aggiungono particolari sulla vita di Samuel, sul rapporto con la figlia, sul suo passato e si valorizza ulteriormente la coralità delle diverse figure che si avvicendano tavola dopo tavola. Questo elemento permette agli sceneggiatori di toccare e sviluppare diversi temi e contesti, in modo tale da potersi permettere sia di centellinare informazioni che di tenere vivo l'interesse.
Sulla storia in particolare posso dire che mi ha soddisfatto e aiutato ad entrare ancora di più nel personaggio e nel mood della testata. Tratti cupi e un po' angoscianti, comunque coinvolgenti, permettono una lettura appassionante e convincente, anche grazie al lavoro di Salvo Coniglione ai disegni, con il suo ottimo lavoro che poggia sui giochi di luci e ombre, a cui si aggiunge una certa pulizia e linearità che favorisce la leggibilità e la fruizione da parte del lettore, senza perderne in complessità visiva ed espositiva.
Titolo: Il Messaggio nella bottiglia
Autore: Jussi Adler Olsen
Traduttore: Maria Valeria D’Avino
Editore: Marsilio - 2013
Terzo episodio della serie dedicata alla Sezione Q composta da Carl Mørck e dai suoi due colleghi-assistenti, il siriano Assad e la imprevedibile Rose. Dopo i primi due libri letti il timore era di trovarsi di fronte ad un certo calo di tensione e di qualità. Se la prima non manca, anche se il lettore di fatto conosce già l'identità dell'assassino a differenza dei protagonisti, la seconda a volte sembra latitare, con qualche passaggio non propriamente soddisfacente. La lunghezza del romanzo però viene in aiuto, dal momento che Jussi Adler-Olsen dimostra di sapere come giocarsela, con la trama che sebbene complessa e sviluppata su piani e visioni diverse viene abilmente tenuta in piedi, alimentando la curiosità di legge.
Le indagini sono a conti fatti più di una e portate avanti dai diversi componenti della squadra, di cui vengono rilevati ulteriori particolari e note relative alla vita privata. Espediente che consente di prolungare ed allo stesso tempo aumentare l'attesa per gli sviluppi della vicenda principale, tenendo così viva l'attenzione.
L'autore ha creato una serie dai caratteri definiti e riconoscibili, con elementi che ricorrono ed altri che via via si aggiungono ad arricchire una narrazione ed una ambientazione che sfrutta il parallelo fra contesto socio-ambientale e vissuti privati.
In questo libro il crescendo emozionale gioca il suo ruolo e nell'ambito della letteratura di genere dimostra di possederne i tratti tipici, tra cui azione, buon ritmo, colpi di scena al punto giusto, tecnica investigativa che fa il paio con l'approfondimento dei caratteri.
Ulteriore nota di merito è la presentazione e trattazione dell'assassino, che non solo agisce, ma anche parla, abbondantemente. Racconta e si racconta, ricorda ed offre al lettore un passato doloroso e terribile, che dovrebbe giustificare il proprio modo d’essere nel presente. La narrazione permette, attraverso alcuni dettagli e le rivelazioni dell'assassino, di far emerge con una certa lucidità il problema delle sette religiose, mondo monolitico, violento e schizofrenico, che si nutre di messaggi e forme di fede volte a plasmare, anche con la coercizione e la brutalità non solo verbale, le menti dei giovani e meno giovani adepti.
A questo punto, quando il quadro si complica ulteriormente, sempre sul filo del rasoio e con pochi attimi di respiro, si giunge ad un finale che solo apparentemente sembra liberatorio. Il linguaggio a quel punto diviene maggiormente duro e secco, ad alimentare un sottile senso di sconforto, che ci si accorge era presente lungo tutto il racconto.
Dopo aver galleggiato sulle acque del mare per chissà quanto tempo, una bottiglia che racchiude un vecchio messaggio finisce sulla scrivania dell’ispettore Carl Mørck. Un grido di aiuto scritto con il sangue: due fratelli imprigionati in una rimessa per le barche chiedono di essere liberati. Chi sono i due ragazzi, e perché nessuno ne ha denunciato la scomparsa? Potrebbero essere ancora vivi? Carl Mørck e il suo assistente siriano Assad dovranno usare tutte le risorse disponibili per svelare la spaventosa verità che le onde del mare hanno trascinato alla deriva troppo a lungo. (da marsilioeditori.it)
Un congiuntivo in più, un dubbio esistenziale di troppo e venivi bollato per sempre come finocchio.
(Piero/Edoardo Gabbriellini in “Ovosodo”, di Paolo Virzì - 1997)
Soir bleu, di Edward Hopper 1914 - New York, Whitney Museum
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Edward Hopper ai più è noto per la tipica pittura di paesaggio, con i fari, le barche a vela e le case lungo la costa. In questo caso, invece, si dedica alla rappresentazione di una umanità composita e varia. Soir Bleu rappresenta una scena di genere che esprime una certa inquietudine con forti rimandi simbolici.
Hopper aveva soggiornato a Parigi e della città europea mette in scena, fin dal titolo, una serata, il momento del crepuscolo che spesso ha assunto la funzione di ispirazione per artisti, scrittori e poeti.
Ai tavoli di una terrazza con sullo sfondo un paesaggio poco definito vediamo personaggi diversi per professione ed estrazione sociale. A sinistra, da solo, un operaio. Al centro, un pittore e un militare di alto grado siedono davanti ad un Pierrot. Dietro di loro, in piedi, probabilmente una prostituta. A destra, una coppia della ricca borghesia, elegantemente abbigliata.
Hopper qui introduce un discorso di ancora grande attualità, operando una traslazione, ai limiti del fantastico, di un momento di vita, per suggerire all'osservatore l'idea di incomunicabilità e di alienazione che coinvolge persone diverse ma che condividono gli stessi spazi, gli stessi atteggiamenti, le stesse frequentazioni. I personaggi ritratti non si guardano tra loro, l'unico che incontra lo sguardo della probabile prostituta è lo spettatore, noi, quasi risultasse un monito che rende palese la nostra condizione.
Ricorda di aver letto qualcosa sulla preghiera perpetua.
Era una disciplina a cui si sottoponevano monaci e pellegrini russi.
Ripetute per anni le invocazioni devote finivano per fiorire spontaneamente tanto sulle loro labbra quanto nel loro spirito.
“Ti amo”: allo stesso modo queste due parole fioriscono in lui di continuo ora in modo silenzioso e ora a fior di labbra e ora dette a voce alta.
(da “Musica nella casa accanto”, di Giovanni Mariotti – Mondadori 1999)
Sto lavorando a un romanzo, è la storia della mia vita e di quella delle mie sorelle.
(Jo March/Saoirse Ronan in "Piccole Donne", di Greta Gerwig - 2019)
L'esaurimento nervoso di Horselover Fat cominciò il giorno in cui ricevette la telefonata di Gloria, con cui gli chiedeva se avesse del Nembutal. Lui le domandò perché lo volesse, e lei rispose che aveva intenzione di uccidersi.
(Philip K. Dick, Trilogia di Valis – trad. Delio Zinoni)
Pasquale: Non pigliare la pasta grossa che non la digerisco.
Felice: Pasqua', tu con questa fame digerisci pure le corde di contrabasso.
(Pasquale/Enzo Turco e Felice/Totò in "Miseria e Nobiltà", di Mario Mattòli - 1954)