Qualche
sera fa in TV hanno trasmesso “Trainspotting”,
di Danny Boyle, tratto dal romanzo omonimo di Irvine Welsh.
All’epoca della sua
uscita nei cinema italiani, una cara amica rimase perplessa alla visione del
film, stupendosi che lo ritenessi uno dei migliori visti in quegli anni.
Certo, la droga, le
parolacce, le situazioni “limite”, un certo squallore diffuso e quello strano
nichilismo facile da fraintendere, pesavano sulla reazione di chi andava al
cinema, giustamente, per rilassarsi e trascorrere serenamente un paio d’ore.
La riflessione a quasi 20
anni di distanza dall’uscita del film la sintetizzo così: un film immediato e
godibile, con i personaggi giusti al momento giusto.
A metà degli anni 90 ci voleva un gruppo di
spiantati e devianti come quello composto da Mark, Spud, Sick Boy, Tommy e
Begbie. Gli attori che davano volto e corpo ai personaggi risultano perfetti ed
efficaci e confortavano quelli che, come me, erano infastiditi dai caratteri
che allora andavano per la maggiore.
Insomma a me stavano
sinceramente sulle balle i fighetti di Beverly
Hills, con villette e auto sportive. Per non parlare poi dei finti
alternativi di “Giovani, carini e
disoccupati”, diretto e recitato da un irritante Ben Stiller, capace di
rendere antipatici persino Winona Ryder e Ethan Hawke, annullando l’intrigante
impostazione teatrale e rendendo quasi vana l’intelligente ironia.
Aver conosciuto quei
tossici e delinquenti ragazzi scozzesi, mi ha anche reso immune alle moine e
seghe mentali dei trentenni de “L’Ultimo
Bacio” di qualche anno dopo, ai quali ho augurato di essere presi a testate
da Robert Carlyle ubriaco come pochi.
Anche a livello di
locandine non c’è gara!!
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