Non che sia una questione così importante o essenziale per
dare un senso a questi tempi, che sembra che un senso non l’abbiano, ma ora
tento di delineare quelle che, a mio parere, sono le due principali ragioni che
hanno “impedito” a Leonardo Di Caprio di ricevere quest’anno il premio
Oscar come miglior attore protagonista.
Al netto di altre motivazioni e questioni, legate al
business hollywoodiano e ai vari “giochi” in cui sono impegnate le Major
cinematografiche e “poteri forti” vari, sono dell’opinione che il buon Leo
Di Caprio nell’ultima cerimonia non avesse poi tante speranze di ricevere (finalmente?)
l’Oscar per la sua interpretazione in “The Wolf of Wall Street” di
Martin Scorsese.
Hollywood tende ad emozionarsi, farsi empaticamente colpire e
coinvolgere da attori e attrici che mortificano sé stessi, ingrassano o
dimagriscono in modo evidente e clamoroso, che si “imbruttiscono” per meglio
interpretare il proprio ruolo, si “nascondono” dietro un pesante lavoro di
trucco e mistificazione del proprio fisico, edulcorano e “ingabbiano” la
recitazione. Nel corso degli anni si ha l’esempio di Robert De Niro in “Toro
Scatenato” (sempre Martin Scorsese), oppure di Dustin Hoffman
in “Rain Man”, più recentemente abbiamo assistito alla premiazione di Christian
Bale, ex pugile tossicomane e problematico in “The Fighter”, e di Charlize
Theron per la sua interpretazione in “Monster”. L’elenco potrebbe
continuare, con nomi più o meno eccellenti, ma il concetto è che spesso viene
premiato l’attore o l’attrice che supera i propri limiti fisici, “si
tratta male” e stravolge la propria immagine, sia in senso estetico che
interpretativo e di ruolo (ruoli scomodi, ai margini, pericolosamente
borderline e così via.)
Quest’anno, sfortunatamente per Leonardo Di
Caprio, in gara c’era Matthew McConaughey per quanto messo in campo
in “Dallas Buyers Club”. Da molti considerato uno degli uomini più belli
del mondo, l’attore statunitense è praticamente irriconoscibile, causa un
evidente e massiccio dimagrimento, un “imbruttimento” notevole e il ruolo,
abbastanza scomodo, di un texano omofobo che contrae l’AIDS ed inizia un
proprio personale percorso di “malato” e di uomo. McConaughey ha vinto
l’Oscar.
Seconda ragione, secondo me, legata più direttamente al tipo
di film in cui l’attore in corsa per l’Oscar recita, è da far risalire a come
viene presentata la vicenda in “The Wolf of Wall Street”.
Il film di Martin Scorsese racconta,
illustra, mostra, ma non esprime giudizi, non presenta una “morale”, non
impartisce una lezione o lancia ammonimenti o avvertimenti. È una storia, che
viene proposta per quello che è. Scorsese prende le distanze, per quanto serve,
dagli avvenimenti e li presenta al pubblico, senza esprimere una propria
opinione.
Questo, alla fine, è risultato un limite. Hollywood
conosce i vizi e le aberrazioni, le vuole vedere e mostrare, desidera
che vengano presentate le peggiori qualità del genere umano, spinge affinché
gli uomini e le donne vengano esposti nei loro limiti e si mostrino mentre
commettono ogni tipo di nefandezza. Ma, allo stesso tempo, Hollywood esige che
venga presentata anche la redenzione, oppure il giusto castigo
per chi ha commesso peccati e si è macchiato di gravi colpe, al limite che
venga emessa, dal regista e nella sceneggiatura, una chiara condanna del
“cattivo” e delle azioni da lui compiute. Un po’ di puritanesimo
cinematografico insomma.
Oliver Stone l’aveva capito, quando nel 1987 girò “Wall
Street”, con Gekko/Michael Douglas, che infatti vinse l’Oscar per
questa interpretazione. Anche perché è evidente per tutto il film che Gekko è
il “cattivo”, colpevole, tra le altre cose, di traviare e ingannare il giovane Bud/Charlie
Sheen.
In “The Wolf of Wall Street” non vi è alcuna
condanna, neppure un po’ di biasimo nei confronti del personaggio messo in
scena da Leonardo Di Caprio. Credo che questo abbia influito, perciò anche
quest’anno niente Oscar per il pur bravo e coinvolgente attore di Los
Angeles.