Cogliendo al volo una serata “libera” e sostenuto
dall’entusiasmo della paziente donna che, incautamente, anni fa ha deciso di
starmi accanto, ho visto “Mommy” al cinema!
Si può fare un onesto e notevole film d’autore senza che
il pubblico se ne renda conto? È possibile rappresentare la realtà, senza
filtri, ma allo stesso tempo offrire agli spettatori un melodramma che faccia
incontrare gusto europeo e stilemi hollywoodiani? Si può esibire talento,
permettendosi anche qualche eccesso di ego?
“Mommy”, del canadese Xavier Dolan, risponde sì a
tutte le domande.
Film intenso, denso, che non lascia spazio allo
spettatore, lo obbliga all’emozione di vivere quello che gli stessi
straordinari interpreti vivono. Asciutto ed immediato come raramente accade,
vagamente rassicurante (appena qualche istante) quando è necessario
concedere una breve tregua a chi è seduto in platea. Chi invece non può
permettersi pause sono i tre protagonisti, considerata l’insistenza con
cui Dolan gli rimane appiccicato, con l’inquadratura che si stringe sui visi e
le loro intense espressioni. Il formato 1:1, a cui si fa presto l’abitudine
dopo le prime scene, lascia spazio, in precisi passaggi, ad un emozionante
“panoramico”, per distinguere ed esaltare la distinzione dei momenti e dei vissuti
di questi antieroi destinati a cadere e tentare di risorgere, ciclicamente. Una
modalità da cinema muto, forse necessaria, che esalta la recitazione della
madre, Anne Dorval, del problematico e seccante figlio, Antoine-Olivier
Pilon e della familiarmente sensuale Suzanne Clément, ultima
componente di un trio tanto improbabile quanto “vero” e aderente ad una
condizione narrata e rappresentata con rigore e rispetto.
Forse solo Ken Loach e gli inizi di Jane Campion
hanno potuto arrivare a tanto, ma quello che qui risulta veramente meritevole
di attenzione è la cura nella costruzione della sceneggiatura, tanto
efficace e difficile da rendere, da risultare, di contro, l’unica e la più
facile da presentare. Un compito arduo che il giovane canadese Dolan assolve
con grande merito, poiché la realtà è la cosa più difficile da filmare e far
“vivere” gli attori, quasi come se non recitassero, la sfida più grande.
il regista Xavier Dolan |
“Un'esuberante giovane vedova,
madre di un ragazzo, si vede costretta a prendere in custodia a tempo pieno suo
figlio, un turbolento quindicenne affetto dalla sindrome da deficit di
attenzione. Mentre i due cercano di far quadrare i conti, scontrandosi e
discutendo, Kyla, l'originale, nuova ragazza del quartiere, offre loro il suo
aiuto. Assieme, troveranno un nuovo equilibrio, e tornerà la speranza.” (da
cinematografo.it)
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