martedì 17 febbraio 2015

Mommy (2014)

Cogliendo al volo una serata “libera” e sostenuto dall’entusiasmo della paziente donna che, incautamente, anni fa ha deciso di starmi accanto, ho visto “Mommy” al cinema!

Si può fare un onesto e notevole film d’autore senza che il pubblico se ne renda conto? È possibile rappresentare la realtà, senza filtri, ma allo stesso tempo offrire agli spettatori un melodramma che faccia incontrare gusto europeo e stilemi hollywoodiani? Si può esibire talento, permettendosi anche qualche eccesso di ego?
“Mommy”, del canadese Xavier Dolan, risponde sì a tutte le domande.


Film intenso, denso, che non lascia spazio allo spettatore, lo obbliga all’emozione di vivere quello che gli stessi straordinari interpreti vivono. Asciutto ed immediato come raramente accade, vagamente rassicurante (appena qualche istante) quando è necessario concedere una breve tregua a chi è seduto in platea. Chi invece non può permettersi pause sono i tre protagonisti, considerata l’insistenza con cui Dolan gli rimane appiccicato, con l’inquadratura che si stringe sui visi e le loro intense espressioni. Il formato 1:1, a cui si fa presto l’abitudine dopo le prime scene, lascia spazio, in precisi passaggi, ad un emozionante “panoramico”, per distinguere ed esaltare la distinzione dei momenti e dei vissuti di questi antieroi destinati a cadere e tentare di risorgere, ciclicamente. Una modalità da cinema muto, forse necessaria, che esalta la recitazione della madre, Anne Dorval, del problematico e seccante figlio, Antoine-Olivier Pilon e della familiarmente sensuale Suzanne Clément, ultima componente di un trio tanto improbabile quanto “vero” e aderente ad una condizione narrata e rappresentata con rigore e rispetto.
Anne Dorval
Forse solo Ken Loach e gli inizi di Jane Campion hanno potuto arrivare a tanto, ma quello che qui risulta veramente meritevole di attenzione è la cura nella costruzione della sceneggiatura, tanto efficace e difficile da rendere, da risultare, di contro, l’unica e la più facile da presentare. Un compito arduo che il giovane canadese Dolan assolve con grande merito, poiché la realtà è la cosa più difficile da filmare e far “vivere” gli attori, quasi come se non recitassero, la sfida più grande.



il regista Xavier Dolan


“Un'esuberante giovane vedova, madre di un ragazzo, si vede costretta a prendere in custodia a tempo pieno suo figlio, un turbolento quindicenne affetto dalla sindrome da deficit di attenzione. Mentre i due cercano di far quadrare i conti, scontrandosi e discutendo, Kyla, l'originale, nuova ragazza del quartiere, offre loro il suo aiuto. Assieme, troveranno un nuovo equilibrio, e tornerà la speranza.” (da cinematografo.it)

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