Non
sono appassionato di horror, in
particolare di quelli dove si fa abuso di scene splatter e il sangue scorre a
fiumi. Mi è toccato subirne la visione durante l’adolescenza, poiché sembrava
fosse “necessario” dedicarci qualche serata in compagnia, ma il mio entusiasmo
non era propriamente palpabile.
Di
solito, quindi, li evito con cura, sebbene per ragioni lavorative ancora adesso
mi trovi a vederne alcuni. Il numero dei film horror pessimi è alto, ma ogni
tanto mi è capitato di vederne alcuni non del tutto disprezzabili, almeno per
rispetto del “classico” e perché offrivano qualche scena ben costruita. Le
sceneggiature tendono ad essere molto simili, ma la differenza, spesso, la fa
la resa e la costruzione di tematiche e situazioni.
Dopo
questo “pistolotto introduttivo”, superfluo quanto fastidioso, arrivo a parlare
di un horror: “Shadow – l’Ombra”,
per la regia di Federico Zampaglione (proprio
quello dei Tiromancino).
Non
avevo programmato la visione del film, ma già dalle prime scene, ben introdotte
da musica e titoli di testa, ho riconosciuto le Alpi Giulie ed i laghi di
Fusine con i boschi che li circondano. Luoghi a me molto cari, per cui la
mia attenzione era, anche se casualmente, catturata!
Ebbene
me lo sono visto tutto e devo riconoscere di averne apprezzato vari aspetti. La
prima parte sfrutta la bellezza dei
luoghi per un efficace contrasto con le tematiche propriamente horror, dove
l’accattivante protagonista e la immancabile giovane donna devono confrontarsi
con una altrettanto imprescindibile leggenda
che, da collaudato copione, si rivela essere ben più di una storia inventata
per spaventare bambini e curiosi. Nel corso del film si passa ad un horror claustrofobico, in spazi ed
ambienti chiusi, difficilmente localizzabili, dove la narrazione perde di
originalità ed il ritmo sostenuto quanto basta non è sufficiente a mascherare
qualche cliché di troppo (scopiazzature
od omaggio? la questione spesso è questa!).
Una
sorta di favola nera, in questo
sembra risolversi “Shadow – l’Ombra”,
dove realtà e fantasia fanno a gara in tema di crudeltà e orrore.
L’attenzione all’elemento “politico” rischia di stonare un po’ nell’insieme, ma
se lo spettatore non ne è urtato risulta funzionale ad una visione (tesi?) che si
rivela nel finale, niente affatto banale, poiché recupera una serie di elementi
e “indizi” sparsi nelle scene. Il “cattivo”
fa abbastanza paura e rimane impresso, evitando involontari e grotteschi
rimandi al già visto che risulterebbero ridicoli. Non un horror puro e “duro”, non
si punta al “memorabile”, ma questa mia personale incursione in un genere che
trascuro mi è risultata piacevole.
“David, un giovane soldato di ritorno dall'Iraq, decide di ritirarsi in una isolata località di montagna per ricomporre i pezzi della sua vita. In mezzo ad una foresta David incontra Angeline e insieme a lei inizia a esplorare la zona, venendo a conoscenza anche di una terrificante leggenda locale. Ben presto il giovane sarà costretto a rendersi conto che la credenza popolare è più vera di quanto si creda, diventando suo malgrado testimone di eventi ben più orribili e crudeli di quelli vissuti durante la guerra...” (da cinematografo.it)
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