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Post su Film, Libri, Mostre, Esperienze di vita, Fumetti, Cartoni Animati e quello che mi piace ed anche che mi piace di meno.
Con tremula nebbia d'argento
luna
riempi riveli i miei colli
Sciogliesi l'anima
e si abbandona ai ricordi
Il presente
come un sogno
nella nebbia mi sfuma
Ritornano volti
che non sono più.
“Tebani, abbiamo lance,
spade, frecce, mortaretti, tricche tracchi e castagnole. E con queste armi
potenti, dico armi potenti, noi, noi, spezzeremo le reni a Maciste e ai suoi
compagni, a Rocco e i suoi fratelli! Valoroso soldato tebano, mio padre da
lassù ti guarda e ti protegge. Armiamoci e partite! Io vi seguo dopo”
(Totokamen/Totò in “Totò
contro Maciste”, di Fernando Cerchio - 1962)
Difficilmente
potrà piacere a chi desidera capire tutto quello che accade o non accade in un
film e sente l’esigenza di una spiegazione razionale, oltre che di una totale
coerenza logica interna.
Infatti
“Predestination”, scritto e diretto
dai fratelli Michael e Peter Spierig, lascia spiazzati e nel solco della narrativa di fantascienza
effettivamente genera una serie di domande su trama, sviluppo della storia e
personaggi proposti.
È
un thriller fantascientifico, dove
non ci sono effetti speciali, che si sviluppa interamente con tre protagonisti
che sono, a conti fatti, la stessa persona. Quindi è possibile fare
fantascienza con pochi mezzi e senza necessariamente utilizzare effetti visivi
digitali, centrando più della metà del film su un lungo flashback che altro non è che un racconto-prologo che ritorna
su sé stesso per autogenerarsi.
Messa
giù in questo modo non è effettivamente chiaro cosa accade, altrimenti ne rovinerei
la visione, che comunque consiglio, pertanto posso aggiungere che i riferimenti
alla migliore narrativa di genere (Robert
A. Heinlein) sono godibili e rendono il film un piccolo gioiello.
Le
interpretazioni di Ethan Hawke,
molto efficace, ma soprattutto quella (doppia)
di Sarah Snook donano un valore
aggiunto al prodotto, facendo sì che la presenza pervasiva di una voce narrante
che predomina sui comunque azzeccati dialoghi
venga accolta di buon grado dal pubblico, che si lascia convincere a farsi
guidare nella straniante storia di una donna che diventa uomo essendo nata
donna/uomo.
Il
ritmo è per circa un’ora abbastanza lento, ma i fratelli Spierig sanno quando
ed in quale momento pigiare sull’acceleratore, dosando suspense e gestendo l’azione con molto mestiere e padronanza del
soggetto. I viaggi nel tempo non
sono una novità, ma qui tutto viene ben gestito e non manca il gusto di
sorprendere lo spettatore e proporre l’imprevedibilità. Pochi mezzi, per fare
qualcosa che Cristopher Nolan, con i suoi esercizi di stile al limite dello
sterile, fa con budget elevatissimi, avvicinandosi al contempo al Terry Gilliam
de “L’Esercito delle 12 scimmie” per scelte estetiche. Conquista l’idea di
presentare un antieroe che si guarda
e si interroga, ponendosi in fondo sempre le solite fondamentali domande (Chi sono? Da dove vengo? Dove sto andando?),
ma senza la pesantezza spesso legata a tali tematiche. Già sottolineato il
valore della prova di Sarah Snook,
che in una doppia (tripla?) veste
regge su di sé più della metà del film.
Nell'albo
n. 184 di Dampyr, I Dimenticati”,
abbiamo a che fare con un gruppo di soldati giapponesi, apparentemente rimasti
in una remota isola nell'oceano Pacifico dai tempi della Seconda Guerra
Mondiale. Fedeli all'imperatore ad oltranza? Considerando la serie in cui è
inserito l’albo siamo legittimati ad aspettarci qualcosa di ben più intrigante
ed il ruolo di un demone ce lo
conferma.
Ci
godiamo l’incontro, firmato da Diego Cajelli,
fra guerra, mostri, yakuza, antiche maledizioni e lo storico senso del dovere tipico
della cultura giapponese. La narrazione
è intrigante e condotta con un buon ritmo, alternando e distribuendo i momenti horror, le scene d’azione e i flash back.
Fabrizio Russo ai disegni ha reso con una certa abilità i
diversi contesti e scenari in cui agiscono i protagonisti. Da sottolineare la cura
nella resa degli ambienti, degli abiti e delle antiche armature dei demoni
soldati di Tamasaburo, una figura
che mi sarebbe piaciuto veder sviluppata maggiormente, magari all'interno di
uno speciale o di un maxi, con più pagine a disposizione.
Un
buon albo, che ripropone personaggi che avevamo conosciuto in passato (n.77 "Kwaidan" e n.78 "Il Castello dei Mille Soli"), e che svolge anche una funzione di passaggio, in attesa degli sviluppi annunciati sul percorso di
Harlan e compari.
L’amico giapponese
di Harlan, l’ex-yakuza Hasegawa Kenshin, sta cercando di rifarsi una vita con
l’identità di un onesto pescatore, accanto alla bella Keiko, reincarnazione
della donna che ha amato per secoli. Ma Keiko viene rapita da un commando dei
suoi ex-nemici. Kenshin chiede aiuto ad Harlan. Per riavere indietro Keiko, i
due dovranno sbarcare su un’isola remota sperduta nell’Oceano e affrontare la
legione di irriducibili combattenti del generale Tamasaburo. Peccato che non di
soldati umani si tratti, bensì di invulnerabili demoni Han’a! (da sergiobonelli.it)
Gianmaria Contro, curatore della
serie, firma la sceneggiatura dell’albo n.34, “L’Innocente”, e probabilmente mostra senza alcuna possibilità di
dubbio lo spirito de “Le Storie”. Non abbiamo tra le mani una possibile
miniserie costretta ad essere ridotta ad una uscita unica, tantomeno siamo di
fronte ad un personaggio e ad una storia retrocessa, per così dire, da serie
regolare a fugace apparizione. La storia presentata è unica e conclusa,
pressoché perfetta nell'omaggio ai classici
ottocenteschi del gotico e dell’orrore.
Un
soggetto “classico” reso con grande efficacia e precisione nella ricostruzione di atmosfera,
ambientazione, personaggi e temi. Suggestivo, rodato e perciò perfettamente
fruibile e stimolante l’incipit dell’albo,
che si apre con il finale e procede a ritroso, nella migliore tradizione del
genere, con felici riferimenti alla narrativa ed al cinema, anche per quanto riguarda la cadenza, la presentazione ed il "montaggio" delle scene
Le
didascalie vengono usate al meglio,
per dettare i tempi, riassumere eventi, illustrare stati d’animo ed emozioni,
mai pesanti o fuori luogo, tanto che contribuiscono ad accentuare la sensazione
di leggere un romanzo sullo stile
della narrativa 19° secolo. Niente “spiegoni” insomma!
La
voce narrante ed il relativo personaggio
rendono bene, sia dal punto di vista narrativo e di ritmo che da quello di
accompagnamento alla vicenda. I caratteri
presentati sono riconoscibili e chiari, quasi, nella più positiva accezione
del termine, prevedibili, ma la padronanza e la sapienza con cui sono
tratteggiati affascina il lettore, che fatica a non farsi coinvolgere e a
desiderare di procedere nello sfogliare le pagine. E a quel punto tornano in soccorso
le didascalie a cui si accennava, che rallentano il ritmo e accarezzano il
lettore invitandolo a gustare le parole
e le immagini. I testi sembrano
effettivamente tratti da un romanzo di genere e i disegni sembrano trovare
giusta collocazione in questo “L’Innocente”,
come forse difficilmente potrebbe accadere con altre differenti atmosfere e
tematiche.
D’altra parte anche nella precedente prova di Francesco Ripoli in questa serie, il numero 11 “Il Lungo Inverno”, il mistero, l’indefinito e la indeterminatezza
nel distinguere il vero dal falso, il reale dall'onirico-allucinatorio la facevano
da padrone. Un certo gusto amaro rimane tra le pagine, ma in fondo è un bene,
giacché solo le storie valide lasciano qualcosa nell'animo di chi legge.
Ultima
nota per la copertina di Aldo Di Gennaro,
tra le migliori proposte, per costruzione della scena, impostazione e resa
grafico-illustrativa del tema dell’albo.
Inghilterra del
Nord, 1827. Il villaggio di Coltonbridge sonnecchia sotto una pioggia che pare
eterna, all’ombra dell’antica magione dei Kilgorne. Gravi lutti si sono
abbattuti sulla casata e tutto sembra oppresso da un’aura di decadenza… Ma,
oltre il velo della malinconia, fermentano forze ben più temibili. Una presenza
spettrale sta per manifestarsi. Una presenza che terrorizza e… uccide! (da
sergiobonelli.it)
Ho
respirato aria “familiare” leggendo “La
Grande Madre”, numero 33 della collana Le
Storie della Sergio Bonelli Editore. Non per l’ambientazione canadese,
comunque suggestiva, ma grazie alla sceneggiatura di Lorenzo Calza, conosciuto sulle pagine di “Julia” (serie che consiglio per qualità delle
storie e attenzione ai dialoghi) ed ai disegni di Francesco Bonanno, già ammirato sul Dr Morgue della Star Comics.
Trama
efficace, personaggi accattivanti anche se non eccezionalmente inquadrati, ritmo
quanto basta per una lettura piacevole e disegni belli e definiti. I riferimenti letterari e cinematografici sono evidenti, ma l’originalità
non era probabilmente il fine principale a cui Calza puntava, poiché la vicenda
scorre bene e tutto sommato accade quello che ci si aspetta da un prodotto,
buono, come questo. Magia, mistero, omicidi ed un contesto da crime story si incontrano bene, anche
con quel tocco di soprannaturale che
dona respiro ed un pizzico di ironia, La sensazione di deja-vù torna più volte nella lettura, forse perché alcuni schemi narrativi e di sviluppo della
trama, nonché alcune soluzioni drammaturgiche e resa delle situazioni sono
ormai radicati, specie per chi legge anche la già citata serie della
criminologa Julia Kendall, ai cui caratteri sembra essersi ispirato lo
sceneggiatore. Inoltre il tema dell’uomo
di legge, che vive nel west moderno a cavallo e diviso (lacerato?) tra due realtà/mondi, che deve ritrovare armonia ed equilibrio
è evidentemente un tema molto sentito negli ultimi anni in casa Bonelli (come ad esempio in Cuore di lupo n.14 de Le
Storie e nella serie Saguaro), come anche nel cinema e nella fiction.
Un
albo che mostra qualità e onesta
capacità di confezionare buone storie da
leggere e gustare, accettando anche qualcosa che sa di già letto e visto,
ma ben sceneggiato e reso graficamente con stile e invidiabile “mestiere”. Questo
fa accettare una conclusione della storia un po’ stereotipata e tutto sommato
prevedibile, ma prima ce la siamo goduta tutta ed in fondo chiediamo questo
alla buona narrazione per immagini.
Il paese di
Stockville sonnecchia nella neve, ai piedi delle Rocky Mountains canadesi. Il
capo della Polizia Tribale, lo sceriffo nativo Spike Trudell, non ha grossi
grattacapi, almeno fino a quando… la follia non esplode! Misteriose sparizioni
e cruenti fatti di sangue colpiscono la comunità e danno avvio a un’indagine
destinata a scavare nel passato di Stockville, fino alle radici di un segreto
che doveva rimanere sepolto… (da sergiobonelli.it)
Von Luger: Bene, maggiore Ramsey, in quattro anni di guerra il
Reich è stato costretto ad impiegare una grande quantità di tempo, di energia,
di uomini e di mezzi, per rintracciare ufficiali prigionieri fuggiti dai campi.
Ramsey: Fa piacere sentire che ci tenete tanto a noi.
Von Luger: Non è cosa da prendere alla leggera. La avverto che
non ci saranno fughe da questo campo.
Ramsey: Colonnello Von Luger, lei sa che è dovere di tutti
gli ufficiali tentare la fuga. Se ciò è impossibile è comunque loro dovere
costringere il nemico ad impegnare molte truppe per tenerli a bada, cercando
soprattutto di logorarne i mezzi in ogni modo possibile. Von Luger: Sì, lo so... E gli uomini alle sue dipendenze non hanno certo
tradito la consegna. Questo qui, Hasley Pitt, per esempio: catturato sul
mare del nord, fuggito, ripreso, fuggito, ripreso. Archibald Ralph Ives: undici
tentativi di fuga, ha anche cercato di saltare dal camion venendo qui. Dicks
William, ha partecipato allo scavo di undici tunnel, per poter fuggire. Tenente
pilota Velinski, quattro evasioni, MacDonald nove, Hendley, l'americano, sette,
Heins quattro, Sedwich sette e l'elenco continua ancora... Questo qui poi, ha
effettuato diciassette tentativi di fuga: maggiore questa è una vera follia.
Ramsey: Infatti.
Von Luger: E deve finire.
Ramsey: Vi illudete che gli ufficiali dimentichino il loro
dovere?
Von Luger: No... È proprio perché non ci facciamo illusioni
che vi abbiamo portati qui. Questo campo è nuovo, è stato costruito apposta per
lei ed i suoi uomini, e l'organizzazione è stata curata facendo tesoro di tutta
la nostra esperienza, e con me non avrete a che fare con un comune carceriere,
ma con un ufficiale dello stato maggiore chiamato ad assolvere a questo compito
dal quartier generale della Luftwaffe. In pratica abbiamo voluto mettere tutte
le mele marce in un paniere, sì, in modo da poterle sorvegliare con molta cura. Ramsey: È un'idea.
(Colonnello Von Luger/Hannes Messemer e Maggiore
Rupert Ramsey/James Donald in “La Grande Fuga”, di John Sturges - 1963)
Annamaria
Fassio
sceglie la formula e la struttura del giallo
per toccare e mescolare diversi temi, tutti più o meno di stringente
attualità, sebbene non proprio del tutto nuovi. Troviamo lo smaltimento legale
ed illegale dei rifiuti, il ruolo che ricopre la Mafia Russa, il rapporto fra Italia,
Russia e Ucraina, le adozioni internazionali, la prostituzione minorile ed
altro ancora.
Proprio
la compresenza di tante tematiche, peraltro collegate tra loro all’interno di
una storia fortemente connotata di poliziesco
e di giallo, non solo per le procedure di indagine e l’atmosfera che se ne
respira, potrebbe essere un limite. Vengono suggerite ed accennate molte cose
ed il lettore, specie se non propriamente smaliziato, rischia di restarne un
po’ disorientato. Fortunatamente in questo “Controcorrente”
i personaggi sono ben descritti e presentati, rivelando l’interesse e la cura
che l’autrice rivolge a loro ed alle vicende e vicissitudini che si trovano a
dover gestire. Protagonisti e comprimari molto vivi e reali, in una storia che
solo in parte è violenta, poiché sembra che non si voglia esagerare su
quell’aspetto. Si privilegia la proposta e la riflessione sull’umanità che si
trova a dover affrontare i propri problemi e le proprie personali storie, che
entrano a far parte di una attualità ben proposta da una scrittura veloce e “nervosa”
quanto basta, con il ricorso a qualche flashback, efficaci, anche se rischiano
di complicare la storia.
Il
finale tende ad essere forse eccessivamente prevedibile, ma la lettura risulta
piacevole e si rimane affezionati ad Erica
Franzoni, commissario capo della Mobile di Genova, ed al vicequestore Antonio Maffina.
C'è un filo
misterioso che collega Viktor Blinskij, cacciatore di orsi nella regione di
Cernobyl, agli ambienti malavitosi di Genova. Un filo che si congiunge a Olga,
una ragazza di origine ucraina arrivata da bambina in Italia con la madre, in
carcere per spaccio e prostituzione, e ora fuggita dalla casa dei genitori
adottivi. Un filo che si intreccia con il barbaro omicidio di un uomo, visto in
gravi condizioni da una donna lungo una strada e poi ritrovato cadavere dalla
polizia, evirato e gettato in un burrone. Fili che si intersecano e sembrano
perdersi in un groviglio inestricabile per Erica Franzoni, commissario capo
della Mobile di Genova, e per il vicequestore Antonio Maffina. Esistenze
indissolubilmente legate, tra la vita e la morte, di cui dovranno al più presto
sciogliere l'enigma.
(da amazon.it)
"Del più gran
segreto del mio sviluppo spirituale il libro non dice una parola: per ciò mi
misi a sorridere. Tutto vi è detto bene, ma l'essenziale manca. Mi descrive, ma
non mi spiega. Parla di me, ma non mi rivela. L'accurato registro contiene
duecento nomi: ma ne manca uno, quello da cui ebbe vita l'impulso creativo, il
nome di chi determinò il mio destino e che adesso mi richiama con forza alla
mia gioventù. Di tutto fu detto, eccetto che di chi mi diede la parola e
attraverso il cui fiato io parlo: e mi sentirei colpevole se vigliaccamente
continuassi a tacere".
Torno
a proporre un’opera di Stefan Zweig,
autore che credo possa ambire ad occupare un po’ di spazio nel mio cuore, o
comunque nei miei pensieri.
Il
suo stile elegante, a tratti “alto”, in questo “Sovvertimento dei sensi” reso ancora più affascinante dall’impegno
di Berta Burgio Ahrens nella traduzione, mi soddisfa e mi raggiunge per donarmi
appagamento e allo stesso tempo lasciarmi con il desiderio di gustare altre
pagine, così dense e coinvolgenti. In merito alla scrittura mi permetto di
aggiungere che la scelta di una certa cura nel tradurre un autore raffinato
come Zweig, con momenti narrativi al limite del solenne ma che possono essere
resi “alla portata” di tutti senza tradirne l’essenza, può consentire di
rendere maggiormente fruibili le sue opere, anche all’attuale popolo di lettori
e aspiranti, auspicabili tali.
Stefan
Zweig riesce a basare la sua narrazione unicamente sul vissuto del protagonista, del cui monologo il romanzo è costituito,
creando un coinvolgente ritmo narrativo, che pone il lettore ad assorbire una
serie di eventi e dinamiche intime e private dei personaggi presentati.
I
“fatti” e gli avvenimenti passano ad un certo punto in secondo piano, per
lasciare l’onore della ribalta alle reazioni
emotive ed alle esperienze e vicende psicologiche che quegli stessi
fatti ed avvenimenti hanno generato nella profonda umanità ed individualità di
chi si trova a viverle.
A
conti fatti ci si trova di fronte ad un breve romanzo di formazione, nella tradizione del Bildungsroman di liceale memoria, dove Zweig, abilmente e
finemente, riesce a proporre il tema del desiderio e dell’amore, dell’impossibile
convivenza fra passione e morale, con al centro l’incontro di un giovane
studente con un appassionato professore di letteratura. L’omosessualità doveva essere una questione delicata da proporre
alla metà degli anni 20 del novecento, per cui la mia ammirazione aumenta,
soprattutto per la maestria nel presentare e analizzare desiderio, conflitto,
turbamento e senso di colpa che compongono una ardente passione, dotata di irreprimibile
e a tratti oscura forza.
Mi sono immaginato quale ambientazione una città come Heidelberg, sede della più antica università tedesca
Nella Berlino di
inizio Novecento, il giovane Roland de D. vive perso in un turbine di
dissoluzione e oblio. Fino a quando suo padre decide di iscriverlo alla piccola
università di una sonnolenta città di provincia. Qui Roland si appassiona alle
lezioni di un rispettabile e affascinante professore di letteratura. Il
professore accoglie benevolmente il giovane e tra i due si sviluppa un rapporto
intimo e amichevole, ma anche profondamente contraddittorio, sconvolto dagli
improvvisi cambi d'umore del professore che sempre più spesso ripudia il
giovane protetto. Roland è disorientato, non comprende il motivo di questa
"confusione dei sentimenti" che, presto, diventa un doloroso tormento
interiore. Ne capirà il motivo solo all'indomani di una sconcertante
rivelazione del suo mentore. (da ibs.it)
Leggo che la Marvel intende produrre un nuovo film
su l’Uomo Ragno, ovvero Spider-Man. Sarebbe già stato deciso
l’attore destinato ad impersonare il giovane Peter Parker, ovvero l’attore
britannico Tom Holland.
Negli ultimi anni, dal 2002 al 2014, sono
stati proposti ben 5 film su Spider-Man. Prima ci fu la “trilogia”, o
meglio, i tre film diretti da Sam Raimi (Spider-Man 1, 2, 3), con
protagonisti Tobey Maguire (Peter Parker), Kirsten Dunst (Mary Jane
Watson), James Franco (Harry Osborn) e, nel primo, Willem Dafoe, che
inevitabilmente interpretò la parte del “cattivo”, ovvero Goblin.
In fondo c’era da essere sufficientemente
soddisfatti, anche perché se si escludono alcune produzioni USA anni 70, che in
fondo erano episodi di una serie televisiva adattati per essere spacciati per
film, si era rimasti ai cartoni animati un po’ ingenui che si guardava
da bambini.
Però nel 2012 e nel 2014 il regista Marc Webb, anche se in fondo non se ne sentiva il bisogno,
ci "regala" “The Amazing Spider-Man” e “The Amazing Spider-Man 2” (evidentemente
anche lui temeva non sapessimo contare), che oltre ad avere come
protagonista Andrew Garfield (nessuna parentela con il gatto pare, anche se
quest’ultimo recita meglio), ha almeno il merito di introdurre il personaggio di
Gwen Stacy, interpretato da Emma Stone, che di lì a poco andrà non solo a
recitare per Woody Allen ma addirittura a vincere un Oscar come attrice non
protagonista in “Birdman” (evidentemente, anche se si hanno gli occhi da rospo, essere l’amore sfortunato di un supereroe fa curriculum!).
Non so esattamente quando quest’ultima produzione
giungerà sugli schermi, forse a quella data potrò accompagnare al cinema mio
figlio, giusto come scusa per poter vedere ancora in azione Peter Parker, anche
se non sono sicuro di volermi sorbire nuovamente la trafila “morso del ragno -
zio Ben che muore – Norman Osborne che strippa e con un senso estetico
opinabile si mette una maschera e diventa Goblin”!
Nel frattempo mi
riascolto Ode To A Superhero di
"Weird Al" Yankovic(una gustosa
parodia di cui propongo anche il testo) e Spider-man dei Ramones(con immagini del già citato cartone
animato, tra l’altro!!). In fondo tutto il precedente pistolotto era per
giustificare i due video!
Ode To A Superhero
Peter Parker was pitiful
Couldn't have been any shyer
Mary Jane still wouldn't notice him
Even if his hair was on fire
But then one day he went to that science lab
That mutated spider came down
Oh, and now Peter crawls over everyone's walls
And he's swingin' all over town
La
li la, li de da
La la, li le la da dumb
Sling us a web, you're the Spider-Man
Sling us a web tonight
'Cause we're all in the mood for a hero now
And there's evil doers to fight
Now Harry the rich kid's a friend of his
Who horns in on Mary Jane
But to his great surprise it seems she prefers guys
Who can kiss upside down in the rain
"With great power comes great
responsibility"
That's the catch phrase of old Uncle Ben
If you missed it, don't worry, they'll say the line
Again and again and again
Oh,
la la la, di de da
La la, di di da da dom
Now Norman's a billionare scientist
Who never had time for his son
But then something went screw and before you knew he
Was trying to kill everyone
And he's ridin' around on that glider thing
And he's throwin' that weird pumpkin bomb
Yes, he's wearin' that dumb Power Rangers mask
But he's scarier without it on
Sling us a web, you're the Spider-Man
Sling us a web tonight
'Cause you're brave and you're strong and so limber now
But where'd you come up with those tights?
It's a pretty sad day at the funeral
Norman Osborn has bitten the dust
And I heard Harry's said he wants Spider-Man dead
Aw, but his buddy Pete he can trust
Oh, and M.J. is all hot for Peter now
Aw, but Peter, he just shuts her down
Mary Jane, don't you cry, you can give it a try
Again when the sequal comes 'round
Oh,
la la la, di de da
La la, di di da da dumb
Sling us a web, you're
the Spider-Man
Sling us a web tonight
'Cause we all sure could use us a hero now
And we think that you'll do all right.