Difficilmente
potrà piacere a chi desidera capire tutto quello che accade o non accade in un
film e sente l’esigenza di una spiegazione razionale, oltre che di una totale
coerenza logica interna.
Infatti
“Predestination”, scritto e diretto
dai fratelli Michael e Peter Spierig, lascia spiazzati e nel solco della narrativa di fantascienza
effettivamente genera una serie di domande su trama, sviluppo della storia e
personaggi proposti.
È
un thriller fantascientifico, dove
non ci sono effetti speciali, che si sviluppa interamente con tre protagonisti
che sono, a conti fatti, la stessa persona. Quindi è possibile fare
fantascienza con pochi mezzi e senza necessariamente utilizzare effetti visivi
digitali, centrando più della metà del film su un lungo flashback che altro non è che un racconto-prologo che ritorna
su sé stesso per autogenerarsi.
Messa
giù in questo modo non è effettivamente chiaro cosa accade, altrimenti ne rovinerei
la visione, che comunque consiglio, pertanto posso aggiungere che i riferimenti
alla migliore narrativa di genere (Robert
A. Heinlein) sono godibili e rendono il film un piccolo gioiello.
Le
interpretazioni di Ethan Hawke,
molto efficace, ma soprattutto quella (doppia)
di Sarah Snook donano un valore
aggiunto al prodotto, facendo sì che la presenza pervasiva di una voce narrante
che predomina sui comunque azzeccati dialoghi
venga accolta di buon grado dal pubblico, che si lascia convincere a farsi
guidare nella straniante storia di una donna che diventa uomo essendo nata
donna/uomo.
Il
ritmo è per circa un’ora abbastanza lento, ma i fratelli Spierig sanno quando
ed in quale momento pigiare sull’acceleratore, dosando suspense e gestendo l’azione con molto mestiere e padronanza del
soggetto. I viaggi nel tempo non
sono una novità, ma qui tutto viene ben gestito e non manca il gusto di
sorprendere lo spettatore e proporre l’imprevedibilità. Pochi mezzi, per fare
qualcosa che Cristopher Nolan, con i suoi esercizi di stile al limite dello
sterile, fa con budget elevatissimi, avvicinandosi al contempo al Terry Gilliam
de “L’Esercito delle 12 scimmie” per scelte estetiche. Conquista l’idea di
presentare un antieroe che si guarda
e si interroga, ponendosi in fondo sempre le solite fondamentali domande (Chi sono? Da dove vengo? Dove sto andando?),
ma senza la pesantezza spesso legata a tali tematiche. Già sottolineato il
valore della prova di Sarah Snook,
che in una doppia (tripla?) veste
regge su di sé più della metà del film.
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