Mi è stato prestato “Nameless”, opera a fumetti di Grant Morrison e Chris Burnham.
Sicuramente un gesto di cortesia, una gentilezza poiché sebbene gli autori siano considerati dei maestri nel loro genere, pressoché imprescindibili per chiunque sia un po' innamorato della letteratura per immagini e di fantascienza, si fa fatica ad acquistare e leggere anche solo una parte di tutto ciò che viene pubblicato.
Quindi gratitudine nei confronti di chi mi ha messo a disposizione la sua copia. Nel corso della lettura si è poi fatta strada una sensazione ulteriore, quella che nel cortese gesto fosse nascosta un po' di malizia. Questo perché “Nameless” è una storia complicata, densa e di difficile fruizione. Piena di riferimenti e citazioni colte, ricca di nozioni e richiami a temi di esoterismo, cabala ebraica, cartomanzia, storia delle religioni, filosofia e probabilmente altro ancora che non sono stato in grado di cogliere.
Mi è stato quindi richiesto un certo impegno nel corso della lettura, che ha reso necessarie ricerche nella Rete, anche solo per decifrare qualche passaggio e così evitare di perdermi del tutto nel gioco narrativo (nonché ermeneutico e di sfoggio di erudizione) messo in atto.
Parto da ciò che mi è più chiaro. Ovvero i bellissimi disegni e la splendida colorazione di evidente efficacia.
I disegni di Chris Burnham sostengono la lettura e suppliscono ai limiti di questa frammentata narrazione, con un segno realistico e dettagliato, arricchito dai colori di Nathan Fairbairn. L’elemento onirico viene ben reso, particolare estremamente importante, perché costituisce il caotico (unico?) collante di due linee di narrazione, nei fatti un delirio.
Il montaggio delle tavole è dinamico, con incastri inconsueti ed evocativi degli elementi magici e totemici presenti nella storia. Si fa ricorso a splash pages, che a volte diventano lo sfondo per vignette più piccole, così da mostrare lo svilupparsi dell’azione, secondo un montaggio consueto nel fumetto USA. In sostanza l'utilizzo degli spazi e della struttura della pagina sviluppa la compresenza, dai tratti psichedelici, di più piani narrativi e di conseguenza di più campi di realtà, rappresentando così l'inquietudine derivata dalla non linearità della narrazione, dato questo che (mi) mette in difficoltà.
La magia pop di Morrison viene qui esposta e rappresentata in grande stile, ma rimane la sensazione di smarrimento e un pizzico di insoddisfazione, che alla fine della lettura fa esprimere una certa perplessità. I quesiti metafisici e le riflessioni sull'essenza dell'essere sono ben posti, con un certo gusto della provocazione, si aggiunge il tema ecologico che si affianca a quello della violenza agita dall'Uomo come riflesso di una volontà divina o demoniaca che sia, ma dopo ciò sembra che tutto si limiti ad un erudito gioco nozionistico per eletti, per appassionati. Un elegante, raffinato, affascinante gioco dedicato al lettore che desideri e goda del perdersi (e forse ritrovarsi) in un gioco di simboli, criptici rimandi e riferimenti ad una cultura iniziatica. Ecco, per apprezzare pienamente “Nameless” probabilmente aiuta essere un appassionato, o anche solo pensare, ambire ad esserlo o, al limite, atteggiarsi come tale.
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