giovedì 12 dicembre 2013

Qualcosa sui "forconi"




Negli ultimi giorni sono stato un pizzico più attento alla cronaca italiana e perciò ho letto ed ascoltato qualcosa sulle recenti dimostrazioni ed iniziative di disturbo messe in atto da alcuni italiani. Se ho capito bene non amano essere definiti “Movimento dei Forconi”, alcuni fanno riferimento ad un “Comitato 9 Dicembre” e quindi già fin dal nome del gruppo o dei gruppi attivi c’è incertezza e difficoltà nel presentare un’analisi.

Sembra che non ci sia una connotazione precisa, in senso di partito o movimento politico-sociale distinto o distinguibile, anche se da più parti si fa notare una certa prevalenza di elementi che si riferiscono a formazioni di destra, estrema destra e destra popolare (non mi soffermo su quest’ultima definizione per mancanza di voglia e improvviso appello alla pietà…).

Comunque questi signori ce l’hanno un po’ con tutto e tutti, non sono certo i primi, anzi ci sono addirittura deputati e senatori che si sono fatti eleggere (meglio, nominare) strillando su ogni cosa gli passasse davanti e appellandosi ad una insaziabile voglia di distruggere e “mandare tutti a casa”, pertanto il gioco non è del tutto nuovo.

Ciò che è nuovo, almeno per quanto riguarda i concetti base di una protesta o rivendicazione e che differenzia questi tizi dai mai sufficientemente deprecati parlamentari 5 stelle, poiché a loro facevo esplicito riferimento nel precedente paragrafo, è la modalità di gestire la “protesta”.
 
Fin da quando frequentavo, con scarso risultato, le scuole superiori, ho capito e mi hanno mostrato come sia necessario “preparare una manifestazione”, ordinare idee e necessità, definire un programma evidenziandone i punti salienti e le priorità e soprattutto chiarire cosa si sta chiedendo, per cosa si protesta, quali sono i risultati a cui si vuole o si vorrebbe arrivare e quali sono i portavoce o, in alcuni encomiabili o deprecabili casi, chi siano i leader o gli ispiratori di un movimento e per conto di chi stiano parlando. Successivamente vengono gli slogan, le canzoni, gli striscioni e tutto il fondamentale e necessario folklore che arricchisce e corrobora un movimento di protesta, un comitato, una dimostrazione, un corteo o qualsiasi altra iniziativa a cui si desideri dedicarsi.

In questo caso, quello della protesta dei “forconi” (mi adeguo alla terminologia più semplice), invece, non si capisce bene cosa si chieda, chi lo sta chiedendo e a nome di chi. Le ragioni, i motivi della protesta e ciò che viene chiesto alla classe politica, alla Politica e alle amministrazioni ed istituzioni non è affatto chiaro. C’è di sicuro un generico “basta!” applicato praticamente a tutto: ai politici, a tutti i politici, viene chiesto di lasciare i loro incarichi, al Governo di dimettersi, alle Amministrazioni ed Enti locali di non pagare più consiglieri e assessori, a Equitalia di non effettuare più riscossioni e allo Stato in generale di non tassare più la popolazione. Probabilmente trascuro qualcosa, ma il nocciolo mi sembra riassumibile così.

Poi, di fatto, non c’è chiarezza su chi siano gli interlocutori a cui questi dimostranti si rivolgono. Ora, sulla base della mia esperienza, so che si tratti di una ancorché generica o specifica protesta, è necessario che si identifichi e sia chiaro con chi si vuole parlare, trattare o anche solo a quale indirizzo inviamo messaggi e rivendicazioni. Si parli delle condizioni abitative di una parte della popolazione, di questioni private o di interesse pubblico, di una Riforma della Scuola (raggiunta “l’età della ragione”, dal ministro Falcucci in poi, tutte quelle proposte hanno generato manifestazioni e proteste) o dei lavori condominiali da effettuare, chi protesta sa e fa capire quale sia il proprio interlocutore.

In questi giorni manca un interlocutore unico e per questo motivo le Istituzioni faticano a organizzare la loro risposta alle proteste e quelli come me rimangono dubbiosi e perplessi. Avercela con tutti è come non rivolgersi a nessuno, dire “devono andare tutti a casa” è una sciocchezza in termini di gestione delle proprie rivendicazioni. Certi toni possono pagare in termini mediatici o di appoggio temporaneo, ma se si ha uno straccio di programma in mano, o nella mente, prima o poi bisogna presentarlo e rivolgersi ad un interlocutore che venga riconosciuto e legittimato come tale. A scuola era il Preside, a cui rivolgere appelli o presentare richieste, nell’ambito lavorativo è il capoufficio o il datore di lavoro, in famiglia sono i genitori o la moglie e così via.

Questi tizi, ho ascoltato, detestano tutti, parlamentari e amministratori locali, secondo loro delegittimati perché pensano solo agli affari loro (sai che novità dire una cosa del genere), industriali e gruppi bancari, Enti ed Istituzioni e così via. Poi quando si chiede loro cosa effettivamente vogliano partono con frasi ad effetto tipo “se ne devono andare”, “siamo stanchi”, “siamo stufi”, “siamo cittadini italiani”. Solo loro sono cittadini italiani? Lo sono anch’io e cosa mi rispondono quando chiedo loro cosa esattamente stiano rivendicando e come io possa eventualmente sostenerli e perciò, secondo i loro ragionamenti, sostenere me stesso? Mi dicono di scendere dalla macchina, uscire di casa e unirmi a loro, dargli una mano. Per fare cosa? “Riprendiamoci l’Italia!” mi dicono.

A parte il fatto che questa esortazione, in diverse sfumature e fogge, è utilizzata fin dal Risorgimento e ha lasciato tracce persino in partiti e movimenti politici dei più svariati colori e ispirazioni, rispondermi così equivale a non dire niente. Che cosa vuol dire riprendersi l’Italia? Farne roba nostra? A scapito o beneficio di qualcuno? Abbandonare la vita politica, perché sono tutti ladri? O cos’altro?

Non c’è chiarezza nei messaggi e nelle richieste. Forse sono troppe perché si cerca di allargare il cerchio e sperare in un sostegno più ampio possibile e magari “trasversale”. Oppure l’obiettivo è attirare attenzione, creare clamore, fare casino e poi puntare a qualcosa di più specifico e circoscrivibile e perciò meglio individuabile. Oppure è semplice situazionismo, ed ammetto che in questo caso un sorriso mi nascerebbe.

Approfitto quindi dell’occasione per dire che se si vuole qualcosa, se si ha una necessità, un’esigenza e si punta ad un obiettivo è necessario chiarirsi le idee e parlare. Mediare, intessere rapporti con qualcuno in modo serio e rispettoso delle regole democratiche e civili, “uscire dalla tenda”, come alla fine anche Achille fece, e accettare le regole del gioco. Forconi, bastoni, fucili o chissà cos’altro lasciamoli stare, protestiamo e manifestiamo pure, magari ci fa bene, usiamo slogan e striscioni, ma rivolgiamoci ad un interlocutore e parliamo una lingua che possa essere capita e analizzata, per comprendere noi stessi e far comprendere cosa desideriamo e quale cambiamento auspichiamo.

“Dateci tutto in mano a noi”, “Ridateci la dignità”, “Riprendiamoci l’Italia” equivale a dire “quando avremo il 51% governeremo da soli e faremo quello che è giusto fare”. Mi sembra chiaro a chi mi sto riferendo.




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